
L’ultimo eroe romantico nei gialli di Charles Williams
25 Agosto 2018
C’è un problema all’o.d.g.: chi comanda in Italia?
26 Agosto 2018La chiesa di San Martino a Passons, come ci appare oggi, risale al 1756, quando venne consacrata; ma era già il terzo edificio sacro che sorgeva nel sito. Del primo non sappiamo quasi nulla, tranne che esisteva già nel XV secolo, ma doveva essere poco più di una modesta chiesetta campestre, con un altare di legno; del secondo, che venne a sostituire il primo, non si sa esattamente quando, ma pare che non fosse nemmeno consacrato, almeno fino alla metà del XVIII secolo, allorché venne sostituito dall’attuale. Passons è all’estremo hinterland occidentale di Udine, oltre il torrente Cormôr, a circa quattro chilometri dal centro, ma fa già parte del comune di Pasian di Prato. Arrivarci è facile: da piazzale Diacono si prende via Martignacco e si va sempre dritti: non c’è alcuna possibilità di sbagliare. Oppure, da piazzale Cavedalis, si prende viale Leonardo da Vinci e lo si segue fino all’incrocio con via Martignacco, all’altezza del Villaggio del Sole: in entrambi i casi, è un percorso abbastanza gradevole da fare in bicicletta, o, meglio ancora, a piedi, se si dispone di un paio d’ore di tempo e si hanno occhi per guardarsi intorno, per soffermarsi sulle facciate delle vecchie case basse, con gli scuri alle finestre, i coppi sui tetti e la piccola foresta di camini. Però bisogna saper vedere la poesia nelle piccole cose, altrimenti non si vedrà nulla di speciale, un paesaggio urbano che ad alcuni potrebbe anche apparire squallido, trascurato. Per noi, questa è una zona affascinante, e lo è sempre stata: quasi la porta verso un mondo rurale, sobrio e sereno. La bellezza, se c’è, è nell’occhio che guarda, più che nelle cose.
Specialmente il tratto iniziale di via Passons è rimasto come una volta: percorrerlo è come fare un tuffo indietro nel tempo e, se non fosse per qualche caseggiato moderno, peraltro non tropo alto, una persona che sia partita cinquant’anni fa, e che ci ritorni adesso, non troverebbe molto di cambiato. Tuttavia, lo scorre del tempo si nota, se non altro nel fatto che il traffico automobilistico è aumentato, mentre la presenza delle persone che vanno a piedi è diminuita. Ci sono molte più macchine, e di modelli decisamente più costosi, e molti meno pedoni e ciclisti. Soprattutto i bambini, dove sono andati? Anziani, se ne vedono parecchi; siedono ai tavolini dei bar, discorrono sulla porta dei negozietti. Ma i bambini, è come se fossero stati risucchiati via dal pifferaio di Hamelin. In compenso, si vedono donne straniere con due o tre figli per mano, uno in carrozzina o appeso sulla schiena: lo sì, che fanno bambini. Le scuole elementari e gli asili sono sempre di meno, e perfino i pochi rimasti forse sarebbero già chiusi, se non fosse arrivata l’onda degli immigrati: ma in molte classi i bambini italiani sono ormai in minoranza. Minoranza in casa loro; ed è per questo che qualche maestra e qualche direttore didattico scriteriati pensano bene di far sparire i simboli che identificano la nostra civiltà, specie quelli religiosi, a cominciare dai crocifissi, o dai canti di Natale, o dal Presepio: errore imperdonabile, perché non è rinunciando ad essere qualche si è, che si insegna agli altri il rispetto dovuto alla loro nuova patria d’adozione: questa è una resa incondizionata, stupida per giunta, perché molto spesso la smania febbrile di auto-censurarsi e di auto-mortificarsi sorge spontaneamente nel cervello bacato dei nostri bravi campioni del progressismo, non parte nemmeno da una richiesta delle famiglie straniere. Sono cose che devono far riflettere: le nota chiunque abbia un paio d’occhi per vedere e una testa per pensare. Forse che i nostri legislatori non le sanno, mentre si affannano ad approvare la legge sulle unioni di fatto, comprese quelle omosessuali, invece di pensare a come ridar vita alle famiglie italiane, quelle vere, formate da un uomo e una donna?
La terza cosa che colpisce, rispetto a quaranta o cinquant’anni fa, nonostante l’aspetto urbanistico complessivo sia rimasto quasi uguale, oltre all’aumento del traffico e alla diminuzione dei bambini, è che molti negozi sono stato sostituiti da agenzie di servizi: agenzie immobiliari, assistenza elettronica, agenzie assicurative, agenzie pubblicitarie, agenzie turistiche, perfino agenzie ippiche o di scommesse varie, centri estetici e per l’abbronzatura, palestre private; e gl’immancabili centri per tatuaggi e piercing. Non si vendono più merci, ma servizi; non si vedono più donne o uomini con le borse della spesa, né bambini coi palloncini o i lecca-lecca, ma gente che entra ed esce senza comprare nulla, in compenso lascia un bel po’ di soldi a delle persone che faranno un certo servizio per conto loro. La spesa si va a farla il sabato, o meglio ancora la domenica, nei grandi centri commerciali: con l’automobile, naturalmente. Gli anziani si arrangiano come possono: ci pensano i figli, o la badante, o magari nessuno. Qualche negozio porta ancora la merce a casa. Ormai intere vie, interi quartieri sono rimasti senza un negozio di alimentari, un panificio, una macelleria, una bottega di barbiere, una farmacia. Per comprare il giornale, bisogna fare mezzo chilometro; per trovare un calzolaio, bisogna andare all’altro capo della città. Molte persone, del resto, la merce non la comprano nemmeno nei supermercati, ma direttamente via internet, facendosela arrivare a domicilio per corriere. Questo, naturalmente, è un problema molto vasto, che riguarda tutta l’Italia, anzi, tutti i Paesi industriali avanzati, o, per meglio dire, tutti i Paesi del terziario avanzato, post-industriali e post-moderni. La crisi ha fatto il resto. Risultato: le botteghe a conduzione familiare chiudono quasi tutte, anche le edicole, anche i tabaccai, anche il bar di quartiere; si moltiplicano i supermercati stranieri, come i Lidl, o i centri commerciali stranieri, come il Bennet. Per ognuno di questi mostri della grande finanza che apre, ci sono venti o trenta botteghe di onesti commercianti italiani destinate a chiudere: schiacciate dalle tasse, travolte da una concorrenza insostenibile, proibitiva. Per non parlare della sicurezza: ci sono alimentari o tabaccherie che hanno subito cinque, sei, sette rapine nel giro di neppure un anno. Alla fine, si scoraggerebbe e chiuderebbe anche Nembo Kid. È una partita persa, e la cosa peggiore è che chi dovrebbe proteggere il commercio nazionale, l’interesse nazionale, le merci italiane, brilla per la sua assenza, anzi, si direbbe che faccia del suo meglio per mandare in fallimento chi ancora ha voglia di aprire un’attività commerciale, o imprenditoriale, e per spalancare le porte e stendere il tappeto rosso al capitale straniero che vuol comprarsi tutto a prezzi stracciati. Il sospetto che i nostri governanti siano puramente e semplicemente dei traditori, al servizio di interessi contrari al nostro, è più che legittimo, e comincia a diffondersi. Le ultime vicende politiche ne sono la prova: sia nelle elezioni del 4 marzo 2018, che hanno portato alla nascita del governo giallo-verde (che il presidente Mattarella, per conto del vecchio establishment, ha cercato di sabotare ancor prima che nascesse), sia nella reazione furibonda dei poter spodestati, dei signori della sinistra sconfitti e umiliati, e ora pieni di rancore, dei vescovi progressisti, delle banche, dei turbo-capitalisti alla Benetton, dei padroni dei giornali, delle radio e delle televisioni, che hanno in mano la narrazione del discorso, e quindi l’immaginario collettivo, e soprattutto di quelli che hanno realmente in mano il potere, in Italia, da sempre: i magistrati. La vicenda della procura di Agrigento, che ha messo sotto inchiesta il ministro degli Interni per sequestro di persona, abuso d’ufficio e incitamento all’odio razziale, e ciò per aver voluto difendere i confini della nostra nazione, ne è una testimonianza eloquente.
Ma torniamo alla passeggiata dal centro di Udine verso Passons. Il primo tratto di via Martignacco si distende all’ombra di una doppia fila di alti pioppi cipressini, ed è affiancata da via Passons, con la sua lunga successione di vecchie, modeste casette, e il canale Ledra che scorre nel mezzo: in pratica, è come se fosse un unico, larghissimo viale, con dei ponticelli che si susseguono vero Nord e che gli danno un insolito aspetto quasi "veneziano". Questo è il tratto più trafficato del percorso, ma, in compenso, è anche il più caratteristico, e ha un suo fascino di periferia non orrenda, non industrializzata e, si direbbe, quasi pre-moderna. Le case a due piani, dei primi anni del Novecento, con qualche bottega, qualche bar un po’ vecchiotto, quell’aria di paese, la ringhiera che si snoda lungo la riva e l’acqua che scorre veloce in basso, specchiando le fronde dei pioppi: tutto questo ha sempre esercitato uno strano fascino su di noi. Chi ama le passeggiate in centro, fra negozi eleganti e vetrine scintillanti, non venga qui: non ci troverebbe niente di bello o d’interessante. Questo è un luogo per chi ha un animo introspettivo, per chi sa andare oltre le apparenze e vedere ciò che sfugge all’occhio distratto o frettoloso; un luogo per chi ama le cose di una volta, le vecchie atmosfere, gli arredamenti dei locali stile anni ’60. Non ci sono nemmeno quelle tipiche palazzine in stile liberty che impreziosiscono altri viali della periferia udinese: questa è sempre stata una zona popolare, le famiglie della buona borghesia non hanno mai abitato qui. Dopo l’incrocio con via del Cotonificio, la passeggiata si fa più tranquilla, il traffico è più che dimezzato; si succedono casette e piccoli condomini, intervallati da orti e giardini, fino al cavalcavia autostradale.
Arrivati a Passons, si ha l’impressione di un piccolo paese a sé stante, che non ha nulla a che fare con la città vicina, a parte l’autobus che arriva dal centro e poi riparte con regolarità. C’è il tempo di scendere, bere un bicchiere di buon vino bianco all’osteria, visitare la chiesa e ripartire; non c’è altro da vedere, ma l’insieme è gradevole e sereno. Una città più dinamica, nel corso di questi ultimi decenni, l’avrebbe già raggiunto e inglobato nella sua periferia, invece qui, venendo dal centro, si notano ancora ampi tratti di campagna vera e propria. La stessa via Martignacco è poco trafficata, non solo perché il traffico pesante è convogliato verso l’autostrada, ma perché questo non è un asse viario di fondamentale importanza: pur essendo una strada statale (SR 464 di Spilimbergo), ha l’andamento pacifico di una arteria fuori mano, e questo perché non conduce ad alcuna città, ma solo a dei piccoli paesi: Martignacco, Fagagna, San Daniele del Friuli; Mereto di Tomba, Flaibano, Dignano. Se si andasse verso qualche grosso centro o qualche importante zona industriale, il traffico sarebbe ben più intenso, il paesaggio sarebbe imbruttito e l’aria ben più inquinata. Bisogna pur dire che, in questa parte d’Italia, l’industrializzazione graduale e diffusa, sempre di piccole o medie dimensioni, ha scongiurato i disastri che si sono verificato altrove; potrebbe essere perciò presa a modello. Forse i friulani non lo sanno, ma questa è stata la loro fortuna.
La facciata della chiesa è in tipico stile settecentesco, con la facciata a capanna e quattro lesene su alti basamenti che la spartiscono in tre spazi; una sola finestra a lunetta sopra il portale, timpano triangolare con un oculo al centro; nessuna decorazione, nessuna pittura, solo una grande iscrizione dedicatoria, sopra il portale: D.O.M. Ad Honorem Martini Episcopi. La svela, elegante torre campanaria è staccata dal corpo centrale dell’edificio, quasi di fronte ad essa. L’interno, a navata unica, ampio, luminoso, col soffitto alto e la volta a botte, dà al fedele che vi entra un senso di calma e pace. Ecco la descrizione della chiesa tratta dal sito www.chieseitaliane.chiesacattolica.it:
Edificio ad aula rettangolare, orientato sud-nord, con il sedime del sagrato rialzato di tre gradini sul piano stradale. Presbiterio a pianta rettangolare di volumetria inferiore e abside semicircolare di volume inferiore. Lateralmente aggettano lungo la fiancata sinistra due cappelle concluse a timpano con al centro il portale secondario, lungo la fiancata destra un’unica cappella identica e il corpo di sacrestia a due piani con il locale caldaie e l’ingresso laterale preceduto da piccola gradinata a quattro scalini. Torre campanaria autonoma antistante la chiesa sul fianco sud-est all’incrocio del percorso viario. Prospetto tripartito dalle quattro lesene dal capitello dorico impostate su alto basamento lapideo, frontone impostato sulla trabeazione con oculo di areazione; portale lapideo con piedritti e architrave, piccolo sporto su mensoline arcuate; superiore epigrafe dedicatoria e finestre termale a cornice. L’interno voltato a botte con dipinto centrale quadripartito da profondi unghioni a contenere la controfacciata, l’arcosanto del presbiterio, le due finestre termali. L’intero perimetro della chiesa è perimetrato dalla trabeazione impostata su lesene dal capitello dorico all’altezza dei pilastri d’imposta dell’arco a tutto sesto delle due cappelle laterali; le fiancate dell’aula sono tripartite da quattro lesene dal capitello ionico. In ciascun lato delle cappelle, a destra una nicchia tutto sesto con statua devozionale, a sinistra l’ingresso secondario. Il presbiterio, rialzato di tre gradini, prospetta tramite l’arcosanto a tutto sesto impostato su colonne a mo’ di serliana con lesene angolari dal capitello ionico; l’interno è decorato da lesene angolari, voltato a botte, decorato e dipinto, e due finestre contrapposte; ai lati si aprono due profonde scarselle. L’abside prospetta ad arcata a tutto sesto impostata sulla trabeazione e il catino absidale dipinto è impostato sul cornicione a correre. Sul lato destro antistante il presbiterio il fonte battesimale. In controfacciata la bussola lignea con la cantoria alla quale si acceda con scala a chiocciola posta a levante. Pavimentazione in lastre quadrate di marmo bicromo disposte a losanga.
Vale la pena di venir fin qui per vedere questa chiesa di paese e percorrere questa strada? Forse sì. Ma la cosa più bella da vedere è la quercia di Bonavilla: un gigante verde che ha vari secoli di vita…