
Omaggio alle chiese natie: S. Paolino d’Aquileia
17 Agosto 2018
Le radici luterane della gnosi contemporanea
18 Agosto 2018La chiesa della Beata Vergine di Fatima è un edificio dallo stile moderno situata in via Polonia, una piccola strada parallela a via Colugna, la lunghissima arteria che parte dal piazzale Chiavris e taglia rettilinea come una freccia in direzione nord-ovest, lambendo il lato nord dell’Ospedale civile e proseguendo fino a via del Cotonificio e oltre, sempre dritta, fino al paese di Colugna, frazione del comune di Tavagnacco. È una zona molto periferica ma anche molto tranquilla, con strade larghe e ben tenute, tanto verde e un traffico ragionevole, per non dire modesto: una tipica zona residenziale disseminata di villette e piccoli condomini con giardino. La chiesa è stata consacrata nel 1959 e riflette certe spinte innovative, tipiche degli anni precedenti il Concilio. È un edificio dalle linee semplici e la facciata quasi disadorna, in posizione sopraelevata, a cui si accede per mezzo di un’ampia scalinata; alle spalle, sulla sinistra, una macchia d’alberi, cedri, abeti e cipressi, che fanno risaltare la superficie chiara e liscia delle pareti. Niente finestre ai lati del portone, ma un solo, enorme finestrone rettangolare al centro, spartito da una griglia di colonnine oblique che creano delle figure rombiche: una superficie che, anche grazie al gioco dei chiaroscuri, conferisce all’insieme un aspetto delicato e molto caratteristico, un po’ come un pizzo o un merletto. Sulle pareti laterali, le uniche sole finestre che si notano sono all’estremità superiore, sotto il tetto, e coprono l’intera superficie da uno spigolo all’altro; hanno forma triangolare e assecondano la linea del cornicione fortemente aggettante. Le cappelle laterali all’esterno si presentano come delle semplici espansioni rettangolari, non belle, tanto più che sono sostenute da colonne per via del piano rialzato della chiesa, il che dà loro l’aspetto di baracche edificate su palafitte; e, al di sopra di esse, la parete bianca assolutamente spoglia, pare quella di una fabbrica o di un cementificio. Se la facciata possiede una sua grazia appena accennata, i lati sono da dimenticare: meglio cercare di non vederli addirittura, cosa però non facile data la sopraelevazione dell’edificio rispetto al piano stradale. Certi delitti architettonici andrebbero consumati di nascosto, in un angolo buio; questo invece è stato commesso alla luce del sole e non si nasconde per nulla, anzi pare si vanti. È come certe donne che farebbero meglio a vestire in maniera più sobria, per non attirare troppo gli sguardi su di sé, sulle proprie forme sgraziate o su altri difetti del corpo, e invece pare che facciano di tutto per richiamare l’attenzione, evidentemente credendosi belle e degne d’ammirazione. Certo è questione di gusto, e anche di come ci si sente; però non si può impedire agli altri di vedere e di fare le proprie valutazioni: liberi tutti, l’uno di mostrarsi, l’altro di giudicare. Ad ogni modo, proprio come con le persone, non bisognerebbe fermarsi ad un giudizio affrettato, perché la vita è più complessa di quel che non si creda e può riservare delle sorprese. Infatti, se il nostro viandante resiste alla tentazione di scappare davanti alla bruttezza delle pareti laterali, e a reprimere l’irritazione per non vedere da nessuna parte il campanile, e si decide a salire la scalinata e a varcare il portone, una sorpresa lo attende: valeva la pena di entrare. L’interno dalle alte pareti, poligonale e a capanna, luminoso grazie al finestrone centrale, è impreziosito da una serie di grandi affreschi in stile bizantino del pittore friulano Paolo Orlando, realizzati nel 1997, che ricoprono quasi tutta la superficie superiore delle pareti con varie feste dell’anno liturgico, mentre quella inferiore è stata lasciata interamente bianca, e con la loro brillante policromia e le linee morbide delle figure, trasmettono un senso di spiritualità fervida e gioiosa, che afferra il visitatore e lo trasporta in una dimensione estatica e rarefatta. Ci si accorge solo da dentro, specie se è una bella giornata di sole, che vi sono anche dei lunghi e stretti finestroni che attraversano le pareti verticalmente, e da fuori quasi non si notano, ma concorrono a lasciar entrare abbastanza luce da distribuirla in modo copioso e delicato al tempo stesso. L’effetto complessivo è sorprendente: si entra un po’ prevenuti, aspettandosi di trovare qualcosa di mediocre, invece si resta piacevolmente stupiti dalla semplice eleganza dei dipinti parietali e dalla luce che trasfigura l’ambiente e smaterializza le cose.
Quello che ci ha maggiormente colpiti di questa chiesa, tuttavia, lo confessiamo, non è tanto la qualità estetica dell’edificio, quanto una riflessione che il suo parroco, don Luigino Bernardis, ha voluto condividere con i lettori del Messaggero Veneto, sollecitato da Laura Pigani, nel contesto di un’inchiesta intitolata Viaggio nelle parrocchie, ben sedici anni fa, il 6 maggio del 2002, ma che noi abbiamo trovato molto significativa e straordinariamente attuale; ci piace perciò riportarla (dal sito Mondo crea. Il mondo dei creativi, che vanta circa 10.000 visite giornaliere):
Bisogna dare un senso alla propria vita e i miei parrocchiani lo fanno: una stretta minoranza si rivolge a Dio, altri pensano soltanto al lavoro e non manca chi si affida alle parole dei due maghi operanti in zona». Con una punta di malcelata ironia, il parroco di Madonna di Fatima, don Luigi Bernardis, osserva un calo dell’interesse spirituale da parte degli abitanti nel territorio della parrocchia, a favore di altre "soluzioni" capaci di dare una svolta alla propria esistenza. Prime fra tutte la ricerca spasmodica di una soddisfazione economica e le arti occulte connesse al mondo della superstizione.
Don Luigi Bernardis — che regge la parrocchia (istituita nell’aprile del 1959) dal 27 marzo 1966 — confessa di non credere che per attirare più gente la Chiesa debba farsi promotrice di altre attività parallele. «Una volta — spiega — lo pensavo anch’io, ma in 36 anni che sono qui mi sono accorto che non è vero. In parrocchia ci sono vari campi sportivi, quattro di tennis, una pista di pattinaggio, un campo di pallacanestro, diversi giochi per i bambini: però tutto questo non porta in chiesa. Sono scettico — ammette ancora il sacerdote — sul fatto che sia davvero utile organizzare, per esempio, campeggi, sagre o iniziative simili, che possono essere benissimo portati avanti da altri». «Ora — informa sempre don Bernardis — è al vaglio della Curia un progetto riguardante la realizzazione della discoteca cattolica. Probabilmente si vuole in questo modo implementare il numero di giovani che frequentano la chiesa. A mio avviso, però, l’azione della Chiesa, intesa come guida per un percorso spirituale, deve rimanere assolutamente distinta dalle altre attività».
E dopo questa premessa il parroco sottolinea il suo compito, volto «a indirizzare le persone che chiedono di incontrare Dio».
Ma su circa 3 mila residenti nel territorio parrocchiale «soltanto il 10 per cento partecipa attivamente» e, escludendo chi fa riferimento ad altre parrocchie o chi per altri motivi non può prender parte con costanza alla vita religiosa, «un buon 80 per cento — secondo don Bernardis — dà importanza ad altre cose». Come detto, infatti, la gente preferisce dedicarsi ad altre attività e decide di credere a "idoli" diversi. «La natura umana — riprende il parroco — ha bisogno di rimettersi a un qualcosa che dia un valore alla propria vita.
Per chi non si lascia guidare dalla fede, si rende necessaria un’alternativa. Molti parrocchiani puntano tutto sul lavoro, pensando sia importante il fattore economico, altri, invece, ritengono indispensabile credere ai ragionamenti occulti e alle superstizioni di due "chiromanti" che operano nel quartiere. Ma le scelte possono essere ancora altre».
Oltre alle ricorrenze previste nel calendario liturgico, in parrocchia si festeggia la consacrazione della chiesa (avvenuta il 7 dicembre 1969) in concomitanza con l’8 dicembre (festa dell’Immacolata). Il 13 maggio, poi, è la volta della commemorazione della Madonna di Fatima, con rinfresco e musica per tutti. Infine, si organizza la Veglia pasquale dove, per l’occasione, si celebrano battesimi per immersione.
Oltre che una riflessione sulla pastorale e, più in generale, sullo stato di salute della Chiesa odierna, questa intervista ci sembrata anche una sorta di onesto bilancio delle proprie speranze e delle proprie illusioni, da parte di un parroco intelligente che all’epoca aveva quarantotto anni di sacerdozio sulle spalle, e che è ancora lì, al suo posto, avendone ormai toccati i sessantaquattro; e ci sia permesso di credere che, alla luce di quanto sta accadendo in questi ultimi anni, egli non abbia cambiato opinione, semmai si sia rafforzato nelle conclusioni cui era giunto dopo un così lungo periodo di esperienze pastorali. Perché le esperienze pastorali non le ha fatte solo don Lorenzo Milani: le hanno fatte, umilmente e in spirito di servizio, migliaia di sacerdoti che non sono diventati famosi per aver sparato a zero sui loro vescovi "conservatori" o per essersi improvvisati altrettanti Lutero in sedicesimo, e neppure per aver sobillato i bambini delle loro parrocchie a compilare delle requisitorie di fuoco contro le loro professoresse, colpevoli di bocciare all’esame gli alunni ignoranti e sgrammaticati, ma anch’essi hanno avuto modo di ripensare a ciò che hanno fatto come parroci, a ciò che avrebbero potuto fare di più e meglio, e, qualche volta, anche ciò che, forse, avrebbero potuto evitare di fare.
Don Bernardis parte da una ovvia constatazione: non si può vivere senza un qualcosa che conferisca significato alla propria esistenza. Resta da vedere cosa sia questo qualcosa: non è detto che sia la religione cattolica, e neppure che sia qualcosa di serio; può essere anche la religione del lavoro che, specialmente in Friuli, ha sempre avuto caratteristiche quasi sacrali. Ci sono persone che si ammazzano di lavoro e non cercano mai qualcos’altro, non si fanno domande: si direbbe che vogliano stordire la loro domanda di senso con l’eccesso di lavoro e la fatica che ne deriva. La constatazione è che un buon 80% dei suoi parrocchiano non mette la fede al primo posto. E questo, sedici ani fa; oggi, con l’avvento della neochiesa, che ha ulteriormente raffreddato la ricerca "forte" di assoluto, la percentuale è sicuramente scesa, e di molto. Possiamo considerare questa parrocchia udinese come un tipico campione della società secolarizzata e post-cristiana ormai diffusa pressoché ovunque. Dopo di che, don Bernardis passa all’autocritica: anche lui, un tempo, ha creduto che per attirare più gente, la Chiesa doveva farsi promotrice di altre attività sociali, ricreative, sportive, e che tale strategia avrebbe finito per dare dei risultati, specialmente fra i giovani; ma ha dovuto prendere atto che così non è stato. I ragazzi vengono in oratorio, frequentano il campo sportivo, approfittano delle possibilità di svago e di socializzazione offerte dalla parrocchia, ma non si fanno vedere in chiesa: vanno per un’altra strada. È un errore, pertanto, voler puntare su tali attività per recuperare le persone che, altrimenti, non verrebbero in chiesa: non ci verranno lo stesso. E anche l’idea di una discoteca cattolica è una sciocchezza — questo lo diciamo noi, ma la critica traspare dalle sue parole -, una perfetta contraddizione in termini, Discoteca per discoteca, i giovani preferiscono una discoteca "vera", cioè una discoteca laica, dove si sentono assolutamente liberi. Perché dovrebbero preferire la brutta copia all’originale? Se vuol tornare a essere credibile, la Chiesa deve tornare a fare un suo discorso esistenziale, deve tornare a proporre, con forza, il suo modello educativo e morale, che naturalmente è quello del Vangelo. Deve tornare a dire sì, sì, e no, no, come ha raccomandato di fare Gesù stesso: nessuna ambiguità, nessun cedimento per conservare ad ogni costo la "clientela". Non è seguendo una tal via che ci si rende credibili. Il sacerdote deve anche saper andare controcorrente, deve anche saper opporsi a certe mode, a certi riti, a certe tendenze del mondo moderno; altrimenti, sarà visto e percepito come una povera mosca cocchiera, come uno che cerca di arrancare dietro l’autobus giusto, terrorizzato dall’idea di dover andare a piedi. Le attività parrocchia, per esempio: è sbagliato ciò che fanno molti preti e anche non poche suore e religiosi, offrire ai ragazzi il divertimento, l’intrattenimento, ma non farli mai pregare, non insegnare loro che ogni cosa va fatta nella prospettiva del Vangelo. Se credono che il Vangelo verrà da sé, sbagliano: i ragazzi frequenteranno la parrocchia finché ci sarà da divertirsi, poi spariranno. E allora tanto vale prendere il toro per le corna: tanto vale proporre apertamente il modello di vita del cattolicesimo, unendo i momenti di svago e divertimento a quelli di preghiera e adorazione. Non si possono separare le due cose; se lo si fa, si insegna loro che si può anche vivere rimandando indefinitamente la parte che spetta a Gesù Cristo, ma questo non è il messaggio autentico di Gesù. Egli non ha mai detto, o dato a credere: Fate i vostri affari, inseguite pure i vostri sogni; e poi se potete, quando potete, rivolgete anche un pensiero al Padre celeste, che vi ama. Niente affatto: Gesù ha sempre insegnato che il Vangelo deve essere vissuto sempre, ogni giorno, ogni ora, e che niente ha un senso nella vita, se lo si separa dalla volontà di Dio. Ha insegnato che si è nel giusto quando ci si rimette interamente alla sua volontà, e si è nell’errore quando si cerca di soddisfare unicamente la propria. La vita umana non ha senso lontano da Dio, perché solo Dio è amore. Signore, e da chi andremo?, dice san Pietro a Gesù Cristo; tu solo hai parole di vita eterna!