
Vogliono farci diventare razzisti a ogni costo
14 Agosto 2018
Omaggio alle chiese natie: San Marco
14 Agosto 2018La chiesa di Sant’Osvaldo di Northumbria sorge in un quartiere molto periferico a sud-ovest della città. Nominare il quartiere di Sant’Osvaldo equivaleva ad alludere al manicomio che vi era stato costruito fra il 1902 e il 1904 per offrire cure sanitarie ai malati di mente friulani, in seguito alle lagnanze che si erano levate nei riguardi del manicomio di Venezia, dove sino allora erano stati internati. Un numero enorme di persone è passato di lì, si calcola 100.000, fino al 1996, quando il manicomio è stato definitivamente chiuso e riconvertito in una struttura sanitaria finalizzata alle terapie personalizzate. Si trattava di un complesso veramente enorme, articolato in ben 33 edifici, che ne facevano uno dei manicomi più grandi d’Italia. Ma in città, dire: dovrebbero mandarti a Sant’Osvaldo significava: Sei matto da legare, e questa nomea non troppo simpatica, gli abitanti del quartiere hanno dovuto sopportarla per quasi un secolo.
Non capita tutti i giorni che un santo sia, nello stesso tempo, un martire e un re; sant’Osvaldo di Northumbria, vissuto dal 604 al 642, fu tutte e tre le cose. Figlio di un re britannico, dopo travagliate vicende politiche e militari rientrò in possesso del suo regno, che gli era stato tolto, e poiché durante l’esilio in Scozia si era convertito al cristianesimo, si adoperò con tutte e sue forze affinché anche i suoi sudditi abbracciassero la nuova religione, chiamando un vescovo e facendo costruire chiese e conventi. Morì in battaglia, a soli trentotto anni, per mano del re pagano della Mercia; prima di spirare, pregò per i suoi soldati che morivano con lui. Veramente ci sono due santi che portano il none di Osvaldo, entrambi inglesi: oltre a sant’Osvaldo di Northumbria, c’è anche sant’Osvaldo di Worcester (di famiglia danese), monaco benedettino che poi divenne vescovo, vissuto nel X secolo. In Italia è diffuso il culto del primo, ma in ambiti ristretti, quasi solo a nord-est. In Friuli ci son diverse chiese a lui dedicate e sempre la sua presenza rivela l’influenza culturale tedesca, dato che in Germania era molto popolare; non a caso una delle chiese più importanti, fra quelle a lui dedicate, è il santuario di Sauris di Sotto, a oltre 1.200 d’altezza, in un’isola linguistica tedesca dell’alta Carnia; un’altra è a Paluzza. Perciò anche la chiesa udinese di via Basaldella (ma la facciata dà su via Basiliano, incrocio con via Pozzuolo), come quella di San Gottardo in via Cividale, all’altro capo della vasta periferia del capoluogo, denota l’esistenza di tenaci legami coi Paesi tedeschi risalenti al medioevo, quando, specie nella prima fase del Patriarcato temporale di Aquileia, i patriarchi erano tutti tedeschi di famiglie ghibelline, fedelissimi dell’imperatore, e avevano il compito di tenere aperti i valichi alpini da e per la Germania. Via Basaldella, però, è una vita tanto più tranquilla di via Cividale, quasi sonnolenta, immersa nella campagna, e tutto il quartiere è calmo e appartato, quasi vivesse in un modo a sé.
Il 27 agosto del 1917, due mesi prima di Caporetto, la città fu sconvolta da un boato spaventoso, dovuto all’esplosione di una serie di polveriere dislocate a Sant’Osvaldo, che provocò 27 morti fra i civili (non si sa quanti militari) e un centinaio di feriti, e le cui cause non furono mai chiarite. Ancora oggi gli storici s’interrogano se si sia trattato di un’azione di sabotaggio degli austriaci o dei tedeschi, di una bomba d’aereo o di un incidente dovuto a errori nello stoccaggio degli esplosivi. Sta di fatto che i danni furono enormi e si registrarono in un raggio di circa 15 km; totalmente distrutta anche la chiesa del quartiere, che allora era un villaggio staccato e ben distinto dal centro urbano. Pertanto la chiesa parrocchiale che si può ammirare oggi è moderna, ricostruita nel 1924 e consacrata nel 1928. Benché preceduta da un portico leggermente rialzato a tre fornici con archi a tutto sesto, la facciata ha uno sviluppo nettamente verticale, sottolineato dalla scansione trasversale in tre sezioni, ottenute mediante cornicioni, che si restringono verso il centro; nella sezione inferiore vi è solo il portone d’ingresso, senza finestre, in quella centrale un ampio rosone con vetrata istoriata, quella superiore è formata dalla cella campanaria sovrastata da una statua in bronzo della Madonna. L’interno, assai luminoso per le ampie finestre poste in alto, è a navata unica.
Questa parte della periferia cittadina, che, come si è detto, più che a una periferia fa pensare a un mondo a sé, né paese né periferia vera e propria, ci ha sempre fatto, da bambini, una strana impressione; un’impressione che non sapremmo definire altrimenti se non come sospensione. I rumori smorzati, la campagna silenziosa, rarissimi i passanti, niente locali o botteghe, solo prati, alberi e case tranquille, e la presenza incombente del grande manicomio, che s’intuiva anche senza vederlo; ma chissà, forse erano le suggestioni dell’infanzia, quando ogni cosa si presenta sotto una luce mitica e favolosa, non appena se ne offra il più piccolo pretesto. Ricordiamo una scampagnata con gli amici, in un bel pomeriggio di primavera: tutto pareva magico, sospeso, insolito, vagamente surreale: non avevamo incontrato letteralmente nessuno, pur avendo camminato per un paio di chilometri, e cominciavamo a scherzare fra di noi sulla possibilità di salti nella dimensione spazio-temporale e altri misteriosi fenomeni che operano una improvvisa distorsione nella realtà di tutti i giorni. Avevamo visto alla televisione un affascinante episodio di una serie di telefilm americani di fantascienza, Ai confini della realtà, in cui un uomo capita in una città deserta, dove il vento fa sbattere dolcemente le porte, nei locali vuoti ci sono sigarette che bruciano sul posacenere, la musica di un juke-box parte da sola, e la linea del telefono pubblico è staccata: in un crescendo angoscioso, egli si rende conto di esser finito in una città fantasma, improvvisamente ed inspiegabilmente abbandonata da tutti gli abitanti. Ma dove se ne sono andati, e perché? Tale ci sembrava la nostra situazione, metà divertiti e metà vagamente preoccupati. Alla fine del telefilm si scopriva che quell’uomo era un astronauta che veniva sottoposto a delle prove d’isolamento in una capsula spaziale, in vista di un viaggio fuori dall’atmosfera terrestre, e che si era sognato tutto, avendo perso completamente la nozione di chi fosse e dove si trovasse.
È piuttosto curioso il fatto che oggi molte persone provino una analoga sensazione d’inquietudine e quasi d’irrealtà, senza bisogno di fare ricorso a romanzi o telefilm di fantascienza, semplicemente perché il mondo sta cambiando troppo in fretta, e non in meglio: in pochi decenni è diventato pressoché irriconoscibile, non solo e non tanto in senso materiale, ma sotto l’aspetto culturale e morale, sicché le persone che hanno più di cinquant’anni hanno la sensazione di non capir più nulla, di essere superate dal progresso e relegate in un limbo da cui possono solo osservare, sgomente e impotenti, la dissoluzione di tutto ciò che è stato loro insegnato, che hanno creduto e che ha rappresentato per loro una ragione di vita. È ciò che il sociologo Alvin Toffler ha definito, efficacemente, lo shock del futuro: la difficoltà sempre più grande, per le persone, di tener dietro alla corsa del progresso tecnologico e del mutamento complessivo degli stili di vita, dei principi e dei valori. Non è una bella sensazione e non è un bel modo d’invecchiare: le persone di una certa età, che hanno lavorato e affrontato i loro sacrifici nel corso della loro vita, proprio quando si aspettavano di poter godere in pace la pensione, si trovano sottoposte allo stress di doversi adattare, con fatica sempre più improba, a un sistema di vita nel quale non si riconoscono e che a sua volta non le riconoscere, né sa che farsene di loro. C’è di che impazzire o cadere in uno stato di profonda depressione, e infatti queste sono possibilità che si verificano di frequente. Facciano l’esempio di un pensionato della piccola borghesia impoverita dalla crisi. Ha lavorato una vita intera per comprarsi l’appartamento, con la prospettiva di vivere in pace i suoi ultimi anni, e adesso, dopo venti o trent’anni, non ha ancora finito di pagare il mutuo, e si accorge che la pensione non gli basta più per vivere, è ridotto letteralmente alla fame. Intanto, nel corso di una generazione, il condominio di periferia in cui vive si è riempito di stranieri: su trenta famiglie, venticinque sono di nigeriani, ivoriani, senegalesi, cinesi e bengalesi. È vessato in casa, quasi non può uscire per i comportamenti incivili dei suoi nuovi vicini: gli parcheggiano le macchine davanti al suo garage; fanno pipì nel giardino interno e schiamazzano la notte; le prostitute stazionano lungo la via o ricevono i clienti in casa, con un continuo andirivieni di ospiti sgraditi. Rumori e odori insopportabili gli rendono la vita impossibile; alla moglie hanno scippato la borsa e la collana tre volte, e una volta è finita all’ospedale per le fratture dovute alla caduta. Il parroco predica l’accoglienza, il sindaco è impotente, i poliziotti non si fanno vedere e hanno le loro ragioni: se arrestano uno spacciatore o un protettore, oltre a rischiare una coltellata, rischiano pure di essere incriminati dal solito magistrato di sinistra, che sta sempre dalla parte del più debole, cioè… lo spacciatore e il protettore.
Nel caso delle persone religiose, lo shock è stato, se possibile, ancor più forte. Prendiamo il caso di quello stesso pensionato, al quale i politici di sinistra, gli intellettuali progressisti e ora anche la neochiesa di Bergoglio dicono che è dovere cristiano accogliere i "fratelli" meno fortunati (meno fortunati di lui?) e spezzare il pane della solidarietà e della condivisione. Tanto, a loro non costa nulla: Boldrini, Grasso, Martina e Renzi non abitano in quei quartieri, in quei condomini degradati; tanto meno ci abitano i sedicenti vescovi di strada, i Paglia, i Galantino, i Bassetti; e a Casa Santa Marta, quanti negri abitano? E non c’è solo questo; è tutto, ma proprio tutto, che non va. A quel brav’uomo, da bambino, hanno insegnato che c’è una sola religione vera, la sua: ora ode i più alti esponenti del clero, alla televisione, e il suo stesso parroco, a Messa, parlare come se fossero tutte vere e non ci fosse differenza alcuna, tanto Dio non è cattolico. Gli hanno insegnato che il peccato si combatte con la Grazia, ma ora pare che possano far la Comunione anche i pubblici peccatori, e perfino i non cattolici. Gli hanno insegnato che Lutero ha provocato uno scisma e affermato come verità una serie di gravissime eresie, prima fra tutte la negazione del libero arbitrio: ma ora ode che il papa va a celebrare con loro, dice che Lutero aveva ragione e il Vaticano emette un francobollo per commemorare il lieto evento della Riforma. Gli hanno insegnato che il divorzio, l’aborto, l’eutanasia e la sodomia sono peccati mortali: ma ora sente che molti, nel neoclero, non li considerano più tali, e ci sono perfino dei preti che si proclamano gay in chiesa, o che si sposano con un uomo e celebrano l’amore che li lega al loro marito. Da sempre era abbonato a Famiglia Cristiana, come lo erano i suoi genitori, e talvolta comprava L’Avvenire: ora ha smesso perché ci trova solo politica, migranti, rampogne contro Salvini e il razzismo degli italiani, mentre l’occhio nero di un’atleta di colore, che peraltro non c’entra col razzismo, spinge Marco Tarquinio a titolare Vergogniamoci, e silenzio sui 700 reati al giorno che commettono gli immigrati, quasi sempre ai danni di italiani: poveri pensionati come lui e come il tabaccaio sotto casa, sette rapine in pochi anni, alla fine ha dovuto chiudere. Un tempo trovava conforto nella Messa, nell’accostarsi al Sacrificio eucaristico e nell’ascoltare la Parola di Dio: ora non ci va più volentieri, anzi ha quasi smesso e, per dirla tutta, sta perdendo la fede. Il motivo è il suo parroco: giovane, capelli lunghi, mai vestito da prete fuori della chiesa, e, in chiesa, con la sciarpa arcobaleno sopra la veste. Le sue prediche sono la brutta copia degli editoriali di Famiglia Cristiana; la Comunione pretende di darla in mano, anche se il nostro pensionato vorrebbe riceverla in bocca; i canti "liturgici" paiono canzoni rock, l’abbigliamento di molti fedeli è da spiaggia, ma viene tollerato; le preghiere dei fedeli ruotano tutte intorno alla giustizia sociale, però nessuna si ricorda dei pensionati ridotti alla fame, come lui: ogni pensiero va ai migranti, ai rom, e naturalmente ai poveri gay, vittime di quel peccato spaventoso che è l’omofobia. La sera, infatti, la chiesa ospita le veglie di preghiera contro di esso; e il prete, per sottolineare il concetto, una volta, in piena Messa, ha fatto salire all’altare una copia di sodomiti sposati e felici, e li ha presentati ai fedeli esterrefatti come fulgido esempio di vero amore. Non può frequentare altre parrocchie, sono troppo lontane, sua moglie è malata, e poi la situazione non sarebbe molto diversa. Allora ha cercato di ripiegare sulla Messa in televisione, ma pure lì vede cose che non gli quadrano, senza contare che ha perso quasi l’unica occasione di uscir di casa in un giorno, e in un’ora, in cui l’assedio dei poco raccomandabili vicini si allenta un poco…
Queste cose ci vengono in mente ripensando alla vicenda di Sant’Osvaldo di Northumbria, caduto in battaglia contro i nemici del cristianesimo e quindi ucciso in odium fidei. Era un re, poteva regnare lasciando le cose come stavano: invece si mise interamente in gioco per amor di Cristo. Ma cosa direbbero di lui Paglia, Galantino, Kasper, De Kesel? Sant’Osvaldo è morto con la spada in mano: eh, che brutta cosa! I pagani, pardon, volevamo dire i non cristiani, vanno avvicinati con la dolcezza, con il dialogo, gettando ponti e non alzando muri. E il signor Bergoglio non ha appena cambiato d’imperio il Catechismo della Chiesa cattolica, decidendo che la pena di morte è sbagliata sempre e comunque? E non ha detto, il signore argentino, che il terrorismo islamico semplicemente non esiste? E dunque, vedete bene che la maniera d’esser cristiani di un Sant’Osvaldo, oggi, per la neochiesa, non è credibile, non è moderna: non è in linea con lo spirito del Concilio. Forse, mille anni e quattrocento anni fa, poteva anche esser giusta; ma ora no. Ora abbiamo compreso il vero spirito del vangelo, che è, in fondo, lo spirito di Marco Pannella, come sostiene monsignor Paglia…