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Omaggio alle chiese natie: San Gaetano da Thiene

Questa piccola, deliziosa chiesa che si apre su Via Scrosoppi, in posizione lievemente rialzata, ed è la cappella del convento delle suore della Provvidenza di San Gaetano da Thiene, una congregazione fondata dal santo di cui la via reca il nome: don Luigi Scrosoppi, infaticabile promotore dell’assistenza alle ragazze orfane o abbandonate, nato a Udine il 4 agosto 1804 e morto nella sua città il 3 aprile 1884, santificato da Giovanni Paolo II nel 2001. Il paradosso è che, in città, il nome di questo grande, umile santo non è conosciuto da tutti, anzi è probabile che il suo nome sia noto soprattutto perla lunga e stretta arteria cittadina che parte da Via Treppo e arriva fino a Via Ronchi; e un ulteriore paradosso è che ben pochi conoscono la chiesa e il convento che sorgono in quella via estremamente pacifica e silenziosa, che si allunga fra due facciate di muri bianchi e uniformi, con le finestre bene allineate, dietro i quali s’intuiscono orti e giardini, come in campagna; siamo pronti a scommettere che solo pochissimi si sono mai spinti a salire quei gradini e varcare il portone della chiesa, che peraltro è sempre aperto, e perfino quei pochi forse ignorano il nome della chiesa. Tutt’al più, qualcuno saprà che è la Chiesa delle Derelitte, perché questo è il nome originale della casa per ragazze abbandonate che il santo sacerdote venne chiamato a dirigere nel 1829, dopo che era stata fondata, dieci anni prima, da padre Gaetano Salomoni, della congregazione di San Filippo Neri. Ci sarebbero voluti più di tre lustri perché egli potesse fondare una sua congregazione, nel 1845, quella delle suore della Provvidenza, le quali si sarebbero ben presto guadagnate il rispetto e l’ammirazione della popolazione, soprattutto in occasione dell’assedio della città da parte delle truppe austriache, nel 1848. Erano tempi duri quelli della prima metà dell’Ottocento per questa città e questa terra: tempi di inverni freddissimi, di cattivi raccolti, di carestie, pestilenze e, per giunta, di guerre frequenti e distruttivi passaggi di eserciti; e in quei tempi calamitosi padre Scrosoppi e le sue suore si coprirono di gloria per l’impegno assiduo, incessante, straordinario a favore dei poveri e specialmente delle orfane e delle ragazze rimaste sole, le quali, senza aiuto né sostegno da parte delle famiglie, avrebbero rischiato di finire su una brutta strada. La chiesa delle Derelitte, o meglio la chiesa di San Gaetano da Thiene, non è perciò così recente, o così poco significativa nella storia di questa città, da poter essere ignorata dalle nuove generazioni:nel 2016 la congregazione ha compiuto la bella età di 200 anni e la chiesa ne ha ormai non molti di meno, benché non li dimostri, perché è simile a quelle donne dall’aria aggraziata e giovanile — se ci si perdona il paragone profano, ma non irriverente – che portano talmente bene la loro età, da ingannare chiunque le veda. E la congregazione è a tutt’oggi viva e vegeta: si occupa di minori costretti a vivere in situazioni difficili e ne ospita una cinquantina nelle sue comunità per famiglie sparse per il Friuli: oltre che a Udine, a Faedis, Orzano (Remanzacco), Tarcento, Cormons, Gorizia e Grado; fra essi, una ventina che sono stati allontanati dalle loro madri incapaci di accudirli. Le suore della Provvidenza hanno in via Scrosoppi anche una scuola primaria parificata.

La chiesa di San Gaetano fa Thiene venne costruita nel 1846-47 nelle svelte forme neogotiche che oggi vediamo. L’edificio rientrante e sopraelevato non si noterebbe, se il portone socchiuso con l’arco a sesto acuto, che si apre in un semplice muretto dipinto in un vivace colore ocra dalle sfumature rosate, sormontato dalle tegole a vista, posti fra il corpo dell’istituto e una vecchia casa con gli scuri di legno, non ne segnalasse l’esistenza, consentendo di accedere alla scala che adduce alla porta della chiesa, situata al primo piano. La facciata, rettangolare, intonacata con la stessa tinta ma con le sottili, elegantissime decorazioni più chiare, presenta un portone, sempre con l’arco a sesto acuto, una finestra rotonda centrale sopra di esso, e un timpano triangolare; il piccolo campanile s’intravede sulla destra. Nella mezzaluna sopra il portone, un dipinto con San Gaetano da Thiene nella tradizionale iconografia, un giglio in mano, simbolo di purezza, e il Bambino Gesù in braccio; al di sotto, le suore della congregazione. Padre Scrosoppi dava moltissima importanza alla semplicità, alla sobrietà e alla preghiera. Nel suo istituto le bambine e le ragazze imparavano un lavoro: c’erano un laboratorio di maglieria e calzettificio; uno di filatura e tessitura; uno di taglio, cucito e ricamo; una filanda di seta. La direzione era assicurata da una superiora e da quattro suore anziane. La semplicità era d’obbligo, sia negli edifici e nell’arredo, sia nell’abbigliamento dimesso delle convittrici; le più povere erano mantenute interamene a spese dell’istituto e restavano finché non avevano completato il loro corso di formazione. La forte spiritualità del fondatore pervadeva l’ambiente ed era d’esempio a tutti. La sua avversione per il superfluo lo spinse a non volere che i muri esterni della casa venissero intonacati, e così rimasero fin dopo la sua morte. Al tempo stesso, padre Luigi era un uomo di preghiera ed era un convinto fautore dell’adorazione perpetua; egli stesso, nonostante i numerosi e pressanti impegni della giornata, vi partecipava e si era scelto il turno della sera, dalle dieci alle undici, al quale non mancava mai, per nessuna ragione. La sua figura inginocchiata nella chiesa e assorta in preghiera era di sostegno e di conforto a tutta la comunità.

Possiamo facilmente immaginarcelo, le mani giunte, le spalle curve, in adorazione del Santissimo: una postura e un atteggiamento che sono diventati così rari, oggi, frastornati come siamo da un clero rumoroso, sin troppo affaccendato, a volte sopra le righe e perfino sguaiato, che veste in maniera discutibile, con sciarpe arcobaleno che alludono alla simpatia per i movimenti omosessuali, sempre pronti a twittare, a pontificare sui blog, a rilasciare interviste, a presentarsi alla radio e alla televisione per parlare di tutto e di più, tranne che di cose dello spirito. Ne abbiamo fin sopra le tasche di questi vescovi e preti che si autodefiniscono di strada, quasi civettando con l’idea del mestiere più antico del mondo, e della loro continua, fastidiosa, immodesta esibizione di solidarietà con gli "ultimi". Padre Scrosoppi, e con lui tanti altro santi "sociali" del XIX secolo, Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco, e suore come Francesca Cabrini, forse che si tiravano indietro, quando c’era da aiutare il prossimi, gli ultimi, i più diseredati? Ma se hanno dedicato a loro tutta la loro vita! Però non erano loro ad abbassare il cristianesimo al livello della strada; loro innalzavano le cose della strada alle altezze del cristianesimo. Avevano una fortissima carica di spiritualità, e nella preghiera, nella meditazione, nel digiuno, trovavano la forza per amare il prossimo, senza mai indulgere alla mentalità del mondo. Forse che Giuseppe Cafasso, il santo dei condannati a morte, fece della sua vita una battaglia contro la pena capitale? Oppure si batté contro la pena di morte Santa Caterina da Siena, che assisteva i condannati e li accompagnava sino al patibolo, dopo averli convertiti e fatti pentire, al punto che essi stessi piangevamo di gioia all’idea di scontare i loro peccati sul patibolo e ricongiungersi con Dio misericordioso? I veri santi non vogliono cambiare il mondo, non vogliono cambiare le leggi, non vogliono affermare dei diritti: vogliono cambiare le anime; e danno l’esempio mostrando il cambiamento che hanno saputo operare in se stessi, con la grazia di Dio. Nessun vero santo assume le pose e gli atteggiamenti dei cosiddetti preti di strada; nessuno scaglia anatemi e maledizioni contro i politici che non gli garbano, come fa adesso il neoclero progressista contro il ministro Salvini; nessun vero santo si è mai sognato di entrare a pie’ pari nel terreno della politica, di scendere nell’agone, né di salutare con il pugno chiuso (e il sigaro in bocca), come il defunto don Gallo, né, tanto meno, di spezzare una corona del Rosario, come fece padre Turoldo per insegnare ai fedeli che ci si deve liberare delle "superstizioni" medievali. No, i veri santi non fanno così, perché sono miti e umili di cuore, come ha insegnato il loro solo, il loro unico modello: Gesù Cristo. E inoltre pregano, pregano tanto, pregano sempre, seguendo, ancora, la raccomandazione del divino Maestro. Ma questi cardinali progressisti, questi Schönborn, questi De Kesel, questi Kasper, questi Marx, questi Bassetti; questi superiori di ordini religiosi, arcivescovi e vescovi, come Sosa Abascal, come Paglia, come Galantino, come Cipolla, come Lorefice, come Perego, come Zuppi, lo trovano il tempo per pregare, fra una esternazione e l’altra, fra una intervista e l’altra, fra una iniziativa di solidarietà gay-friendly e una pro immigrazione? E il signor Bergoglio, si mette mai in ginocchio, davanti al Santissimo, le mani giunte, la fronte bassa, per incontrarsi con Dio e anche, in qualità di successore di Pietro, per dare l’esempio ai fedeli di quanto sia importante la preghiera? Lo si vede mai partecipare all’adorazione perpetua, o raccomandarne la pratica, o spendere qualche parola, nel fiume di discorsi profani, o semi-eretici, sempre provocatori, qualche volta blasfemi, nei quali parla di tutto, per raccomandare ai cattolici di pregare, di recitare il Rosario, di adorare il Santissimo?

E se qualche cattolico progressista ci viene a dire che i personaggi che abbiamo citato sono i santi di oggi, perché hanno messo i poveri al centro di ogni cosa, noi rispondiamo che i santi di ieri, e i santi di sempre, facevano questo e quello: operavano instancabilmente per i poveri (ma senza cercare la pubblicità davanti alle telecamere, senza mettersi continuamente in mostra) e intanto pregavano, digiunavano e adoravano il Signore. Anzi: pregavano, digiunavano e adoravano, e ciò li metteva in grado di farsi tutto a tutti, e specialmente ai poveri (ma senza disprezzare i ricchi; i quali, da un punto di vista spirituale, possono essere più poveri dei poveri, e avere quindi bisogno dell’assistenza di un sacerdote o di un religioso quanto e più dei poveri in senso economico). I cattolici progressisti hanno scambiato il Vangelo per il Manifesto del Partito comunista, e credono che Marx e Cristo possano andare d’amore e d’accordo per il bene degli uomini, come sosteneva un altro famoso friulano, Pier Paolo Pasolini, il quale, secondo noi, del Vangelo aveva capito poco e niente. E il Friuli dovrebbe ricordare con orgoglio i suoi figli che avevano capito che lui non aveva capito, Giuseppe Marchetti, e ancor più Cornelio Fabro: perché la strada del Vangelo è la strada della santità; e quale santità può venire da chi indulge a una vita sregolata e dissoluta, a chi addirittura ne teorizza la perfetta liceità, come ora sta facendo quell’indegno gesuita americano, James Martin, la cui ombra malefica già si profila sul prossimo Incontro internazionale sulla famiglia? Se costui si presenterà a parlare come relatore, è certo che chiederà di riconoscere come "famiglie" anche le cosiddette famiglie arcobaleno: pretenderà, cioè, di far accettare ai cattolici non solo la pratica dell’omosessualità; non solo la pratica delle cosiddette coppie omosessuali; ma anche le adozioni omosessuali e la fecondazione eterologa, insomma le famiglie omosessuali, mettendole sullo steso piano della famiglia cristiana fondata sul legane naturale, e soprannaturale (ma di questo, padre Martin si è dimenticato?) fra l’uomo e la donna che confidano in Dio. Già molti vescovi, come Bonny, di Anversa, e molti sacerdoti, come don Scordato, a Palermo, sono d’accordo con questa linea: non si è forse visto il primo chiedere un riconoscimento della Chiesa alle unioni omosessuali, e il secondo presentare festoso una coppia di lesbiche sull’altare, in piena Messa, indicandole ai fedeli come modello ed esempio di autentico amore? Un discorso del tutto analogo si può fare per i migranti, dai quali il neoclero è letteralmente ossessionato, come del resto lo è il signor Bergoglio. A parte il fatto che costoro non sono veri profughi, ma dei falsi profughi, nel novanta per cento e più dei casi; a parte il fatto che prescrivere l’accoglienza di centinaia di migliaia e, in prospettiva, di milioni di africani islamici, significa alterare irrimediabilmente la fisionomia e la struttura materiale e spirituale della nostra società; a parte la continua invasione di campo nella sfera politica, e gli attacchi furibondi contro quegli italiani che non condividono la pratica della auto-invasione, bollati come populisti, razzisti, fascisti, e, naturalmente, come dei cattivi cristiani: a parte tutto questo, chi lo dice che la sola maniera di aiutare le persone sia quella di autorizzarle a trasferirsi in casa d’altri? Al contrario, ciò è profondamente sbagliato sia in senso materiale, perché equivale a "svuotare" sempre di più i Paesi di provenienza, privandoli delle braccia più valide e della sola speranza nel futuro, sia in senso morale, perché equivale a incoraggiare la fuga dalle responsabilità, l’abbandono dei parenti, dei genitori anziani, delle mogli, dei figli, inseguendo un miraggio di benessere che, oltre ad essere falso e illusorio, è anche totalmente contrario all’ideale evangelico. Non di solo pane vive l’uomo, ha insegnato Gesù Cristo, e ne ha dato continui esempi, durante tutta la sua vita terrena. Soddisfare le esigenze materiali, riempire lo stomaco delle persone non è sufficiente, se non si mira a operare una conversione, una purificiazione e un nuovo orientamento dell’anima, che, facendosi una cosa sola con la volontà di Dio, diventa capace di operare il bene. In altre parole: il bene non è solo quello materiale, e non è onesto, né cristiano, stare ad aspettarselo dagli altro senza far nulla, vivere di carità e di parassitismo, diventare dei bisognosi di professione; inoltre, è profondamente diseducativo regalare ogni cosa a chi non lavora e non intende guadagnarsi onestamente la vita, come nel caso dei rom. Chi si dimentica queste cose, chi vuol ridurre la Chiesa a una o.n.g., chi scambia il Vangelo per il Manifesto, semplicemente non è cattolico. Che se ne vada per la sua strada; oppure Cristo dovrà tornare a farsi crocifiggere, visto che noi rifiutiamo la croce…

Fonte dell'immagine in evidenza:

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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