
Omaggio alle chiese natie: Santo Spirito
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Dal Buon Selvaggio al Buon Parassita
7 Agosto 2018La chiesa di San Bernardino da Siena, o semplicemente, come la chiamano quasi tutti queli che ne conoscono il nome, di San Bernardino, è una delle più centrali e delle meno conosciute della città, per la semplice ragione che è la chiesa del seminario arcivescovile, e quindi non ha mai funzionata quale chiesa parrocchiale. Sicuramente tutti gli udinesi, una volta o l’altra, ci sono passati davanti, percorrendo l’ampio e rettilineo Viale Ungheria, coi suoi moderni edifici, sorto nel luogo dove i "liberatori", durante l’ultima fase della Seconda guerra mondiale, con le loro fortezze volanti opportunamente ribattezzate Liberator, hanno fatto il deserto a suon di bombe, per meglio liberare il popolo udinese dal fascismo e affrettare l’avvento della benedetta democrazia, risparmiandogli anche l’ingrata fatica di dover abbattere alcune centinaia di vecchie abitazioni per poter ricostruire un quartiere nuovo di zecca secondo i dettami della modernità, da loro stessi gloriosamente impersonata; però siamo cerri che non vi hanno mai prestato molta attenzione. La bella, ma semplice chiesa del XIX secolo in stile neoclassico, con la chiara facciata divisa orizzontalmente da una trabeazione fortemente rilevata, il timpano triangolare e quattro lesene con capitelli corinzi che conferiscono all’insieme una gradevole animazione, si presenta immersa nel verde degli alberi, anzi seminascosta da un maestoso Cedrus deodara, e non l’hanno mai vista se non attraverso le sbarre della cancellata in ferro battuto. Tranne i parenti dei seminaristi e qualche visitatore che aveva una ragione specifica per recarsi là, per esempio consultare la ricca biblioteca del seminario intitolata a don Pietro Bertolla che fu professore proprio fra queste mura, quello spazio privato non era fruibile e crediamo addirittura che solo pochissimi udinesi sappiano che quella chiesa è dedicata a San Bernardino; per tutti è solo "la chiesa del seminario" e fa parte del paesaggio urbano, sì, ma è come se appartenesse a un altro mondo, per cui tutti la guardano, passando, diretti ai loro affari, ma ben pochi la vedono. Insomma, non appartiene affatto all’immaginario collettivo; e se non c’è udinese che, vedendone la riproduzione fotografica, non saprebbe dire: Ma sì, la conosco; aspetta che ci penso un attimo: non è per caso la chiesa che si trova nel giardino del seminario?, nessuno però ce l’ha nella mente o nel cuore, con chiarezza e piena consapevolezza, come accade per il duomo, o per santa Maria di Castello, o per San Giacomo, o anche, se non altro per le dimensioni enormi della cupola, il Tempio Ossario, che spicca sul paesaggio urbano, osservando la città dall’alto del castello, in direzione sud-ovest.
Ora, poi, con la crisi dei seminari, dal 2009 la chiesa di San Bernardino è stata affidata agli ortodossi russi affinché possano disporre di un luogo di culto ove celebrare la Messa per le non poche badanti russe, moldave, ucraine e georgiane che sono venute qui a svolgere il loro lavoro. Una situazione che, solo cinquant’anni fa, sarebbe parsa semplicemente fantascientifica: come! La chiesa del seminario di una arcidiocesi, ancora fiorente di vocazioni al principio degli anni ’60 del Novecento, consegnata al clero di un’altra confessione cristiana, semplicemente perché qualcuno la utilizzi e non la lascia andare in rovina! Che tristezza. Durante l’episcopato di monsignor Giuseppe Zaffonato, dal 31 gennaio 1956 al 29 settembre 1972, le parrocchie erano cresciute fino a 438 unità e il numero dei preti, benché fosse ritenuto ancora inadeguato, era salito a 785. Sono numeri che pur considerata la vastità e la popolosità dell’arcidiocesi, in quasi tutto il rimanente dell’Italia Settentrionale se li potevano soltanto sognare: il Friuli era ancora una terra di grandi bestemmiatori, ma anche di tante vocazioni religiose. Diventare prete, da queste parti, così come diventare suora, era ancora un segno di distinzione: le famiglie, perlopiù, ne andavano fiere; è pur vero che erano ancora famiglie piuttosto numerose, come avveniva in tutte le società prevalentemente contadine. Attualmente i seminaristi dell’arcidiocesi diocesi Udine sono 31 (dato aggiornato al 2017) e sono tutti ospitati fuori città, nell’altra sede del seminario, quella di Castellerio di Pagnacco; il che spiega la cessione agli ortodossi della Chiesa di San Bernardino. Bisogna dire, però, che il dato dei seminaristi, che potrebbe anche sembrare non del tutto negativo, o perfino incoraggiante, vista la situazione ancor peggiore di altre diocesi (nel seminario della diocesi di Belluno e Feltre i seminaristi sono talmente pochi che vengono dirottati verso il seminario di un’altra diocesi, addirittura fuori regione, quella di Trento), comprende, oltre agli studenti di Udine, anche quelli di Gorizia e di Trieste, cioè, a parte la diocesi di Concordia-Pordenone, di quasi tutto il Friuli Venezia Giulia: e questo perché il seminario di Udine, dal 10 febbraio 1996, di fatto ha cessato di esistere, come quelli delle diocesi sorelle, per trasformarsi nel Seminario interdiocesano, dedicato a San Cromazio di Aquileia. Vale a dire che, mettendo insieme tre debolezze, i rispettivi arcivescovi hanno sperato di creare una forza; il che, naturalmente, è tutto da vedere: ma, come si suole dire, a volte bisogna far di necessità virtù, e questo è appunto il caso. Sta di fatto che ora entrare nel cortile del seminario, osservare la chiesa da vicino, aggirarsi per i locali, son divenute cose normalissime, mentre fino agli ani ’60 l’accesso era riservato, e chi non aveva titolo per entrare provava un po’ di soggezione — o, almeno, questo è quel che pareva a noi, bambini, già itimiditi davanti all’imponenza severa della facciata e dal Gesù Cristo, grandioso ma non sorridente, anzi un po’ corrucciato (forse per il colore scuro del busto in bronzo, che spicca sul biancore delle pareti) al di sopra dell’alto portone d’ingresso. Bombardato e raso al suolo, come dicevamo, dai "liberatori", pietra su pietra, nella notte del 20 febbraio 1945, a soli due mesi dalla fine della guerra, era stato ricostruito fra il 1948 e il 1956, secondo l’auspicio dell’arcivescovo Giuseppe Nogara, che di guerre mondiali ne aveva viste due: Il seminario deve sorgere presto e più bello di prima! A inaugurarlo era stato il nuovo arcivescovo, Giuseppe Zaffontato, proveniente dalla diocesi di Vittorio Veneto.
Il discorso sulla crisi delle vocazioni è molto complesso e ci porterebbe lontano; pure, è giusto e doveroso dedicarvi almeno qualche riflessione. Tanto per cominciare, parlar di crisi delle vocazioni, come si faceva quaranta o cinquant’anni fa, è decisamente riduttivo: non ci troviamo di fronte a una semplice crisi, perché la crisi è un evento drammatico ma temporaneo; ci troviamo di fronte, molto probabilmente a una tendenza strutturale della società moderna, a una tendenza costante e, forse, irreversibile, la quale sta raccogliendo quel che ha sempre seminato: incredulità, materialismo, irreligiosità, consumismo, idolatria del mondo, dei suoi miti (anche politici), dei suoi pseudo valori. Se è chiaro, da un lato, che nella società secolarizzata non esistono più le condizioni perché un giovane sia incoraggiato a seguire la sua vocazione religiosa, e le famiglie siano indotte a sostenerlo nella sua scelta, dall’altro ci sembra si possa dire che la peggior risposta possibile a questo stato di cose consiste nell’inaugurare la stagione dei saldi di fine stagione, vendere a prezzi stracciati la merce della fede e reagire al distacco degli uomini dal sacro, togliendo il sacro e laicizzandolo perfino più di quanto non pretendano di fare i nemici della Chiesa. Mettiamoci nei panni di un giovane dei nostri giorni. Per il tipo di società in cui vive, per la famiglia da cui proveniente, per l’educazione che ha ricevuto, per gli amici ha frequentato, per i film che ha visto e per i libri che ha letto, i casi sono due: o è diventato un perfetto deficiente, un prono adoratore del consumismo, un individualista di massa che biascica le giaculatorie del politicamente corretto, sì all’accoglienza, no al razzismo, Vade retro Salvini, eccetera (e il merito di averlo ridotto così va tutto, o quasi tutto, alla generazione degli adulti, insulsi e banali come lui), oppure, caso ovviamente più raro, anzi quasi miracoloso, ma non infrequente, ha sviluppato gli anticorpi contro l’idiozia sociale programmata, si è formato una propria coscienza, ha difeso la propria anima, e allora potrà essere e diventare qualsiasi cosa, ma non l’ennesimo cagnolino scodinzolante del sistema di menzogne in cui viviamo. Sarà generoso, appassionato, affamato e assetato di verità, di giustizia, di Parole di vita terna. Forse sarà arrivato a Gesù Cristo per una strada tutta sua; ma se pure avesse avuto un’educazione cattolica, l’avrà ripensata, si sarà guardato intorno, avrà fatto le sue deduzioni e si sarà accorto che qualcosa non torna, che i conti sono tutt’altro che in ordine e che, per dirla tutta, la Chiesa non è affatto quel che dovrebbe essere, quello che era ed è sempre stata, ma che è diventata una cosa nuova, ibrida, indefinibile, una gelatina che chiunque può stirare o accorciare secondo i propri desiderata, ma che, nel complesso, si trova in ostaggio di un clero eretico e apostata, che ha tradito, scientemente o meno, la propria vocazione, per farsi servitore e annunciatore di questo mondo (bella novità: lo fanno già, da almeno tre secoli, i laicisti e i nemici dichiarati dalla Chiesa: non si sentiva proprio la mancanza di questi adulatori tardivi, che si presentano festanti a tempo scaduto e a tavola ormai da anni sparecchiata). In lui vi è un fortissimo bisogno di raccoglimento, interiorità, spiritualità: non gl’interessa, né sa che farsene, di una chiesa che sia una brutta scimmiottatura del mondo, di una Messa che somiglia una kermesse, di un catechismo che si può cambiare in qualsiasi momento, di una pastorale che si riduce ad approvare tutto, a benedire tutto, anche il peccato, anche il male. Un giovane come quello che abbiamo delineato non sa che farsene di un monsignor Sosa che dice di non sapere cosa disse Gesù, perché all’epoca non c’erano i registratori: sono discorsi storicisti e razionalisti vecchi di tre secoli, sanno di muffa, altro che novità; via, nella spazzatura! E non sa cosa farsene di monsignor Paglia, che ha affrescare il duomo di Terni con una apoteosi del peccato e dei peccatori, tutti portati in Cielo senza conversione, né pentimento, né riparazione: via, robaccia di bassa lega, merce avariata, ammuffita e rosa dai vermi! Né sa cosa farsene di monsignor Galantino, che parla sempre e solo dei migranti, del loro diritto all’accoglienza, e che definisce lo scisma protestante un dono dello Spirito Santo: anche lui è in ritardo di cinque secoli, tanto valeva farsi luterani nel 1500; oggi è ridicolo, per non dir penoso. E meno di tutto sa che farsene di un papa che non fa il papa, che fa l’antipapa; che non incoraggia e non rafforza la fede, ma la mina e la mette in crisi; che non dà certezze ai fedeli, ma instilla continuamente dubbi; che passa il tempo a dir male dei cattolici, a insultare le loro credenze, e a cambiare a suo talento la dottrina, e intanto si profonde in lodi, dichiarazioni di stima e genuflessioni per tutti i peggiori nemici della Chiesa e della morale cristiana: per una signora che ha procurato personalmente migliaia di aborti, per un giornalista che da sempre capeggia il partito massonico, per gli imam che non sanno neppure cosa sia il terrorismo islamico, tanto sono pacifici e bene intenzionati verso i cristiani, si vede che li milioni di cristiani perseguitati a morte e costretti a fuggire dalla Siria, dall’Iraq e da altri Paesi sono un’invenzione dei fondamentalisti cattolici, una fisima dei conservatori.
No, di tutta questa gente, di questi discorsi, di questi esempi, un giovane che si senta spinto a entrare in semiario, oggi, per amore di Gesù, per servite il Vangelo e diffonderlo nel mondo, non sa cosa farsene: anzi, li detesta addirittura. Di questo sentimento abbiamo le prove, avendone parlato con numerose persone. A un giovane prete abbiamo chiesto che ne pensa di Bergoglio; ha risposto: Quando lo vedo alla televisione, provo un fastidio fisico e devo spegnere o cambiar canale. Anche se i mass media ci dipingono una realtà completamente diversa, anche se per L’Avvenire e Famiglia Cristiana questo è il papa migliore della storia, e vorrebbero farlo santo subito, ancora in vita, e già gli tributano un culto come se lo fosse, la realtà è che moltissimi cattolici, e anche un certo numero di sacerdoti, non lo sopportano più: non sopportano di vedere la sua faccia, di udire i suoi discorsi, quel suo tono di provocazione e di sfida, quel suo perverso gusto di scandalizzare, di turbare, di confondere. Non lo percepiscono come il buon pastore, ma come un lupo travestito da pastore. Sanno perché è stato eletto e da chi è stato eletto, e per fare cosa; vedono che sta facendo quel che gli è stato prescritto di fare, e ne sono inorriditi. Vedono chiaramente che costui sta distruggendo la Chiesa, sta polverizzando l’opera di duemila anni di storia, e che è stata scritto col sangue e coi sacrifici di generazioni e generazioni di santi, di vergini, di mistici e di martiri. Certo, non sta facendo tutto da solo: la situazione era matura per vibrare il colpo. Ora possiamo riconoscere almeno tre forze che concorrono a distruggere la Chiesa. La prima è la forza della secolarizzazione, che è passata dalla società profana al clero e soprattutto ai teologi, e che, attraverso i teologi, e facendo leva sulla loro superbia intellettuale, ha gettato la confusione e lo sconforto dentro il popolo cristiano, abbassando la prospettiva dell’altro mondo alle dimensioni di questo mondo, riducendo le verità eterne a verità storiche, la fede nella vita eterna in una fede nella vita presente. La seconda forza è la massoneria ecclesiastica, una cui importante diramazione è la lobby gay del Vaticano: un piccolo ma potentissimo gruppo di cardinali, vescovi e superiori di ordini religiosi, che hanno il compito di distrugger dall’interno la morale e la dottrina. La terza forza è data dal conformismo, dall’insipienza, l’opportunismo e l’ambizione di tutti quei personaggi, grandi e piccoli, consacrati e laici, che assecondano il colpo di mano dei gesuiti, per conservare le loro poltrone, le posizioni di potere e le carriere. Tuttavia il nostro giovane si chiede che senso abbia seguire Gesù, per imitare le cose più discutibili di quaggiù. Edonismo per edonismo, non è meglio la discoteca del seminario?…