
Chi è e che ci sta a fare il sacerdote?
21 Luglio 2018
Per trovare la verità bisogna essere in grazia di Dio
21 Luglio 2018È noto l’episodio — narrato da Henryk Sienkiewicz nel suo celebre romanzo – di san Pietro che, imboccando la via Appia per sfuggire alla persecuzione anticristiana di Nerone, incontra Gesù che gli viene incontro, diretto verso Roma, e al quale, sbigottito, domanda: Quo vadis, Doimine?, dove vai, Signore?; anche perché, sul luogo dell’evento, è stata poi costruita una chiesa, tuttora esistente, quasi all’incrocio con la Via Ardeatina. Ma forse dovremmo riflettere che quella stessa domanda saremo noi a riceverla, un giorno, dal nostro Signore; anzi, se aprissimo un poco i nostri orecchi, e smettessimo di ascoltare gl’inutili rumori di fondo che riempiono la nostra vita, probabilmente la sentiremmo spesso, quella domanda, ogni giorno, ogni ora: Dove vai? Dove stai andando?, che forse, se ascoltata meglio, suonerebbe come un: Dove credi di andare?
Ha scritto il padre francescano Gabriele Adani nel suo libro La più antica storia d’amore (Milano, Rusconi, 1978, p. 172):
Anche a noi, come all’apostolo Pietro, la voce dell’Uomo-Dio pone la domanda: "Quo vadis? Dove vai?".
Dove stai andando, tu, che orienti la tua vita in quella direzione, dimenticando il tuo vero bene?Non pensi al tuo futuro? Perché vuoi rovinare te stesso?
Il Cristo ha il diritto di chiederci queste cose. Egli ci mostra le sue mani trafitte dai chiodi e noi sappiamo benissimo quanto ha sofferto per darci la vera vita, per insegnarci a viverla. Ma, nonostante questo, noi speso andiamo verso altre mete, camminiamo nella direzione opposta, ci allontaniamo da lui.
Dove vai? Dove andrai oggi? Verso Cristo o verso mete umane che ti portano lontano da lui?
Ascolta la voce di Gesù che ti domanda: "Dove vai?". Spesso risuona di una tristezza infinita.
E non solo Gesù Cristo ha il diritto di chiedere a ciascun uomo dove sta andando, Lui che ha dato la sua vita per amor suo; ha il diritto di porre anche alla sua Chiesa, alla Chiesa da Lui fondata, la stessa decisiva domanda: Dove vai? Ha il diritto di porre a ogni religioso, a ogni sacerdote, a ogni vescovo e cardinale, e naturalmente anche al papa, la domanda: Dove vai? Che si può anche rendere così: Stai seguendo la mia strada, la strada che io ho tracciato? Senza dubbio tutti questi teologi neo modernisti, questi cardinali e vescovi massoni, questi preti di strada, come amano chiamarsi, e queste suore che cantano e ballano, e vanno in televisione e ai festival di musica leggera; e questi cattolici che giustificano e approvano, sorridenti, le unioni sodomitiche, come ieri giustificavano e approvavano il divorzio e l’aborto, risponderebbero: Ma certo, Signore! Non vedi come amiamo il prossimo, come ci diamo da fare per accogliere gli stranieri e per dar da mangiare agli affamati, sin dentro le chiese e le basiliche? Non vedi che siamo sempre impegnati ad accogliere, includere, a integrare i diversi, a far sentire accettati gli emarginati, e a proclamare che gli uomini sono tutti fratelli e che il regno dei Cieli è dei poveri?
Essi, infatti, sono certi, certissimi, d’interpretare il Vangelo a meraviglia: il Vangelo autentico, intendiamoci, quello che la Chiesa bigotta e reazionaria ha tenuto nascosto, o ha adulterato, per millenovecento anni, o giù di lì, e che papa Francesco ha finalmente riscoperto e che ora offre ai fedeli, nella gioia; non quello che veniva annunciato ai nostri nonni, i quali, poveretti, non sapevano che in chiesa non si viene per sentir parlare di Dio, ma per sentir parlare dei poveri, e che i poveri sono quelli che non hanno denaro in tasca (magari perché non hanno voglia di lavorare), dato che la povertà spirituale non esiste; non sapevano che in chiesa non si viene per incontrare il Redentore, nelle specie di Pane e del Vino, ma per stringere la mano ai propri vicini e mostrare agli altri la propria benevolenza, e anche, ogni tanto, per imbandire una bella tavolata e offrire un bel pranzo cucinato in sacrestia e offerto dalla Comunità di Sant’Egidio a tutti i migranti, i rom, gli esclusi, i rifiutati e le "mele marce" che don Ciotti non scarta, ma recupera, e che Bergoglio non condanna, né giudica, chi è lui per giudicare?, dopo averle amorosamente medicate; e credevano anche – poveretti, bisogna compatirli, non era mica colpa loro, ma della loro abissale ignoranza – che la pace di cui parla il sacerdote nella sacra liturgia è la pace di Cristo, e che Egli ce la dà, ma non come la dà il mondo, mentre invece noi sappiamo che la pace è l’augurio, tutto umano, che noi rivolgiamo al nostro vicino di stare allegro e che tutto gli vada bene, sempre umanamente parlando. Essi, i neopreti e i neocattolici, hanno finalmente penetrato il vero senso del Vangelo; e infatti hanno riconosciuti i loro maestri di teologia in Karl Rahner e Walter Kasper, e i loro maestri di pastorale in Lorenzo Milani e Carlo Maria Martini. Non si sono mica fermati alla lettera, loro; non si sono mica accontentati, come facevano i nostri nonni, di restare in superficie; no: ma sono scesi in profondità, hanno scavato, hanno meditato, hanno trovato ciò che era nascosto: mica per niente sono figli della psicologia del profondo, e nel profondo hanno trovato il vero Vangelo, quello che, come dice anche quel grande teologo che è Dan Brown, la Chiesa ha tenuto occultato per un paio di millenni, impegnata com’era a trescare coi potenti e ad arricchirsi a spese del popolo. Non vi è pericolo, dunque, che quei signori si lascino turbare dalla eventuale domanda di Gesù Cristo: Dove state andando?; perché essi hanno la lingua sciolta e non s’imbarazzano per così poco, ne sanno una più del diavolo (chiediamo scusa, volevamo dire: una più del buon Dio) e, fra poco, gli Andrea Grillo, gli Enzo Bianchi, gli Andrea Riccardi e i Bruno Forte spiegheranno a Gesù Cristo in che cosa è stato un po’, come dire, reticente; in che cosa non ha saputo essere proprio del tutto credibile, perché la loro parola d’ordine è: credibilità, e si affannano e si agitano per annunciare al mondo un Gesù Cristo che sia più credibile di quello del passato. Non pochi di loro, anzi, ne siamo convinti, alla domanda di Gesù risponderebbero, con prontezza (sono anche figli della cultura del sospetto, in senso freudiano, s’intende): E tu chi sei, che ci fai questa domanda? E se Lui, poniamo (ci sia perdonata l’irriverenza, ma è solo una costruzione ipoetica), rispondesse: Sono Io, quel Gesù di cui hanno parlato Matteo, Marco, Luca e Giovanni; non mi conoscete?, essi risponderebbero, con immutata prontezza: Eh, via, andiamoci piano! Mica c’erano i registratori, a quei tempi! Le tue parole, noi non le conosciamo con certezza; quel che sappiamo, è che gli evangelisti si esprimevano in un senso allegorico, figurato, che non si deve di certo prendere alle lettera. Il diavolo e gl’indemoniati, per esempio: essi dicono che tu ne hai scacciato chissà quanti; ma essi non sapevano quel che noi, cittadini della modernità, scientificamente e inoppugnabilmente, sappiamo: che si trattava solo di malattie psichiche, altro che diavoli! E dopo aver tenuto questa breve ma efficace lezioncina al nostro Signore Gesù, questo minicorso condensato di neoteologia kasperiana e modernista, impregnato di storicismo, razionalismo e naturalismo, passerebbero al contrattacco e direbbero, probabilmente: Tu, piuttosto, che c’interroghi, chi sei? Noi, lo sappiamo bene chi siamo; ma tu, lo sai chi sei veramente? Dici di essere il Messia? Benissimo: ma lo sai o no che il Messia, per gli ebrei di duemila anni fa, era un personaggio mitico, così come la Bibbia è tutta piena di miti, è un insieme di miti, non di verità storiche e tanto meno di certezze metafisiche? Oppure dici: Io sono il Figlio del Padre; benissimo. Ma anche noi lo siamo; siamo tutti figli di Dio, e dunque tutti fratelli; non c’è differenza fra chi si dice cristiano e chi si dice giudeo, o islamico; e non c’è differenza fra chi si dice cattolico e chi si dice luterano o calvinista. Dunque, anche tu sei un nostro fratello, sei uno di noi; dì, non ti sarai mica montato la testa? Non penserai mica di essere da più di noialtri? Non sarai mica venuto qui a seminare zizzania, eh?, altrimenti era meglio se non ti facevi più vedere, e ci lasciavi il bel ricordo di una volta.
Del resto, nei momenti di sincerità, cose di questo genere le dicono; non stiamo esagerando, non stiamo inventando niente. Le dicevamo già venti, trenta e quarant’anni fa; hanno cominciato a dire apertamente cinquant’anni fa, forti del Concilio Vaticano II, tutti ringalluzziti e più che mai smaniosi di recuperare il tempo perso (il tempo che i tre Pii, Pio X, Pio XI e Pio XII, avevano fatto perdere alla marcia vittoriosa del loro "rinnovamento"); e, più ancora, facendosi forti di un’entità impalpabile, invisibile, inafferrabile, lo "spirito" (con la minuscola) del Concilio, vale a dire quel che il Concilio avrebbe finito per decidere e approvare, se non fosse stato chiuso in fretta e furia (dopo più di tre anni, rispetto ai tre mesi che doveva durare!) e se non fosse subito scattata la tattica ostruzionista di quei cattivi dei cattolici tradizionalisti, chiusi e sordi a ogni rinnovamento, a ogni apertura, a ogni democratizzazione… Nei momenti di sincerità, dicevamo, i neopreti si lasciano scappar di bocca cose che non stanno né in cielo, né in terra; cose che denotano una totale ignoranza, o un totale rifiuto (fate un po’ voi quale delle due) del Vangelo, del Vangelo di sempre, di quello che la Chiesa, per unanime consenso, ha sempre insegnato, e con la massima chiarezza; sempre, fino al Vaticano II. La sofferenza? Non si sa cosa sia, che senso abbia. Ciò che Dio vuole da noi? Non si sa neppure quello. La croce? Non si sa neanche quello. O forse sì. La croce, badate bene, è l’impatto col sistema. Quando ci si scontra col sistema, quella è la croce. Parola di Marx, anzi, di Cohn-Bendit; scusate, volevamo dire, parola di Gesù Cristo. È il Vangelo secondo padre Turoldo, secondo i teologi della liberazione. Staremo a vedere adesso, che il sistema sono diventati loro; adesso che vanno d’amore e d’accordo con Soros, con la Bce, col potere finanziario mondiale; staremo a vedere quale impatto andranno a inventarsi. Per intanto, prendiamo buona nota: fin dagli anni ’80, sacerdoti come padre David Maria Turoldo, nelle loro meditazioni ed omelie presso la Comunità di Sant’Egidio (i neopreti se la cantano e se la suonano fra di loro, con le comunità che sono simili a loro), dicevano di queste cose. Non c’è da stupirsi se oggi abbiamo i don Corazzina che sanno predicare solo l’accoglienza dei migranti e l’inclusione degli omosessuali; i don Carrega che tengono corsi di affettività per fidanzati gay; i don Olivero che aboliscono il Credo perché non ci credono, e i don Farinella che aboliscono la santa Messa tout-court, anche il giorno di Natale, "per rispetto verso i migranti"; fino al vescovo Raffaele Nogaro, il quale regalerebbe tutte le chiese cattoliche agli islamici, affinché le trasformino in altrettante moschee (e poi non si deve pensare che tutta questa misericordia nasce da un profondo odio e da un profondissimo disprezzo di se stessi?).
Ecco, dunque, cosa diceva padre Turoldo alla Comunità di Sant’Egidio il 10 settembre 1989 (in: Turoldo, Il fuoco di Elia profeta, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 1993, pp. 112-113):
Però la croce non sono le malattie, non sono le sventure, non è quella la croce. Quelle son prove enormi, misteriose prove, su cui non so neanche cosa dire. Anzi, è la stessa liturgia di oggi: quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare cosa vuole Dio da me? So che un senso di deve essere, anche se non riesco sempre ad afferrare quale senso sia. Ma lo so, non è questa la croce. La voce, dicevo tante volte, non è neanche l’AIDS che pure è l’apice della sventura, e che è un flagello che non riusciamo a capire e ad arginare. Non è quello. Sapete qual è la croce? La croce è l’impatto col sistema. Non è il legno che Cristo portava, quello è uno strumento di patibolo, non è quella la croce. Quelle sono esemplificazioni della bassezza umana. Perché io posso anche capire che un uomo possa uccidere un altro uomo nell’impeto della follia, ma non posso capire la tortura e l’afflizione, non la capirò mai. Quello è uno strumento di tortura. La croce di Cristo è la sua fedeltà a Dio, per cui entra in lotta, in impatto col sistema, con la religione…
In queste poche frasi non c’è una sola parola che sia cattolica: siamo in pieno delirio eretico. Chi può immaginare cosa vuole Dio da me? Ma, in nome del Cielo, perché si è fatto prete, uno che la pensa così e che parla così ai fedeli? Si è sentito chiamato o ha tirato a indovinare? L’AIDS è l’apice della sventura? Ma l’AIDS, salvo rare eccezioni, è la malattia che contraggono gli omosessuali con il loro stile di vita, contrario alle leggi di Dio e della natura: definirlo l’apice della sventura, come se non fosse colpa di alcuno, equivale a insultare tutte le persone che soffrono senza aver commesso alcuna colpa, né aver fatto la minima imprudenza, e che hanno cercato di rispettare la sana morale cristiana. La croce non è il legno che Cristo portava? Si vede che quel legno era solo un incidente di percorso. La croce di Cristo è la sua fedeltà a Dio, per cui entra in lotta, in impatto col sistema. Nuovissima dottrina, certo non cattolica, di cui padre Turoldo si assume la responsabilità: quando ci si scontra col sistema, quella è la croce. Ma la Croce di cui pala il Vangelo è la croce di Cristo, non la croce degli uomini: ed è la croce dei loro peccati. Per essere seguaci di Cristo, anche gli uomini prendono la loro croce: ed è una imitatio Christi. Prendere la croce, perciò, è combattere il peccato: questo dice il Vangelo di Gesù. Ciò che dice il vangelo protestante di padre Turoldo non c’interessa.
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