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Difendersi dal veleno, preservare la purezza

Abbiamo detto, a suo tempo, che la peggiore disgrazia del nostro tempo, in termini spirituali, è la perdita dell’innocenza, e di conseguenza, l’affermarsi di una concezione della vita fondata sul disincanto, sull’amarezza e sul cinismo. Desideriamo riprendere quella riflessione, alla luce della necessità, sempre più vitale, di difendersi dai mille veleni che i meccanismi e gli interessi della civiltà moderna tentano ogni giorno d’iniettarci, per omologarci e renderci simili a sé, trasformandoci da persone in miseri zimbelli di un sistema edonista, consumista e immorale, ombre di noi stessi, fantasmi senza pace che si aggirano nel deserto dei veri affetti, inseguendo pazzamente sempre nuovi e più sregolati desideri e miraggi di pienezza e felicità. Nello stesso tempo, è in atto, e da molto tempo, una campagna, un tempo quasi sotterranea, poi, nel corso del XX secolo, sempre più esplicita, per mettere la virtù in cattiva luce, per far apparire la morale una cosa noiosa, per deridere come bigottismo ogni scelta e ogni atteggiamento ispirati a un sano sentimento di riserbo, di pudore e di difesa della propria dignità personale. E anche a questo, ovviamente, bisogna reagire, respingendo il ricatto psicologico e affrontando, se necessario, l’incomprensione, l’ironia e perfino la derisione degli altri, e anche delle persone più care, pur di non lasciarsi afferrare dal meccanismo perverso che, se riesce a catturare anche solo una piccola parte di noi, finisce per risucchiarci tutti interi, un passo dopo l’altro, spingendoci sulla via del conformismo, fatta di indifferentismo etico, di scetticismo e relativismo. Si tratta di difendere non solo il proprio pudore e la propria dignità, ma, a ben guardare, in ultima analisi anche la propria umanità, il rispetto dovuto a se stessi in quanto uomini e non bestie che si lasciano travolgere da tutti gli istinti, che si lasciano comprare dal migliore offerente e che non conoscono fedeltà, né onore, né lealtà, perché convinte che, nella vita, il fine giustifica i mezzi, sempre e comunque.

Di fatto, siamo talmente immersi in una greve atmosfera di volgarità, bruttezza e pornografia, che le persone, per difendersene, dovrebbero smettere di frequentare i cinema, di leggere romanzi, di ascoltare dibattiti televisivi e farsi eremiti, tagliare i ponti con il mondo esterno, cancellare la propria vita sociale. Questo, di fatto, è impossibile, almeno per la stragrande maggioranza delle persone; e inoltre, anche se fosse possibile, equivarrebbe a una resa e ad una auto-segregazione, che avrebbe il significato d’una capitolazione, e sia pure all’incontrario. Ci sono due modi di arrendersi: fare tutto quel che vuole il nemico e non fare nulla, ma sacrificare anche le cose belle e lecite che si avrebbe voglia, e diritto, di fare. Chi si riducesse in una tale situazione sarebbe simile a colui che, per non darla vinta a qualcun altro, si amputa di una parte della propria stessa vita. Ma per questa via non si va da nessuna parte, si peggiorano solo le cose, si aggiungono ai problemi che vengono da fuori, quelli che ci si crea da soli, adottando uno stile di vita basato sulla paura, sullo scoraggiamento, sulla perdita della fiducia e della speranza. Invece bisogna imparare a non sporcarsi, a non farsi insozzare, pur conducendo una vita normale, in cui ci si priva solo di ciò che è immediatamente pericoloso, e si opera un quotidiano discernimento su tutto il resto. Televisione, cinema, letture, conferenze, teatro, sport, compagnie, queste cose vanno usate, ma con intelligenza, con attenzione, con i sensi desti per non lasciarsene usare, ma per usarle, e solo nella misura in cui servono. Se si resta legati ad esse un minuto più del necessario, se ci si lascia suggestionare dalle fantasie che esse accendono, quello è un campanello d’allarme, che ci avverte che stiamo perdendo il controllo della situazione, stiamo diventando dipendenti e stiamo sottostando a dei messaggi che non fanno parte del nostro modo di essere, ci stiano arrendendo e quindi dobbiamo riprenderci, finché siamo ancora in tempo.

C’è un episodio significativo e commovente, nella biografia di Fréderic Ozanam (Milano, 1813-Marsiglia, 1853) storico, giornalista, apologista cattolico, che coronò la sua breve esistenza terrena fondando la Società San Vincenzo De Paoli, e che è stato beatificato da Giovanni Paolo II nel 1997. Da giovane, appena giunto a Parigi, appassionato, ma timido, avrebbe voluto conoscere il grande scrittore François-René de Chateubriand, ma non ne aveva il coraggio. Ecco come Ines Belski Lagazzi ha rievocato quel fatto nella sua biografia Federico Ozanam, Roma, Edizioni Paoline, 1982, pp. 59-60):

Ebbene, Ozanam moriva dalla voglia di conoscere colui che era stato ministro degli esteri di Carlo X, ne era trattenuto soltanto dalla gran timidezza, anche se aveva portato per lui da Lione una lettera di presentazione firmata da un alto prelato.

Si decise infine il giorno di Capodanno del 1832.

Era mezzogiorno, Chateaubriand era appena tornato dalla messa. Accolse il giovane studente con estrema bontà, si interessò dei suoi progetti, dei suoi studi. Infine gli chiese se fosse mai andato a teatro. Saputo che no, gli chiese se desiderasse andarci.

Federico esitava, pensava che la verità sarebbe apparsa ben puerile al suo grande interlocutore, principe degli intellettuali sofisticati. In realtà in quel tempo il teatro era stato brutalizzato da opere disgustosamente immorali. Frequentarlo era però considerato segno di indipendenza intellettuale.

Chateaubriand non lasciava con gli occhi il ragazzo: sembrava annettere molta importanza alla risposta che gli avrebbe dato.

Il giovane si decise: per amore di verità disse che sua madre gli aveva fatto promettere che non avrebbe mai messo piede in un teatro.

– Ho fatto una promessa e desidero mantenerla — mormorò.

Il grande letterato sorrise, abbracciò Federico, dicendogli: affettuosamente: – Continuate a seguire il consiglio di vostra madre. Non guadagnereste nulla a teatro, poteste invece perdere molto…

… Forte di questa autorevole ammonizione potrà a cuor leggero rispondere ai compagni moralmente emancipati che lo sollecitavano ad andar con loro a questo o quello spettacolo:

– Il signor Chateaubriand mi ha detto che non è buona cosa l’andarci.

Ad ogni modo, la situazione odierna è talmente peggiorata, rispetto alla metà del XIX secolo, che evitare i teatri, o anche i cinema, non servirebbe a nulla: è sufficiente andare in strada per imbattersi ad ogni passo in una umanità che ha smarrito il senso del pudore e che esibisce il proprio corpo e la propria sensualità con una dose sempre maggiore di aggressività e d’impudicizia. Donne di tutte le età e di tutte le corporature indossano dei pantaloni aderentissimi, che modellano le gambe e il fondo schiena in maniera inequivocabile, come se fossero nude: si vede ogni più piccolo particolare, e quel che non si vede, s’intuisce. Oppure indossano gonne cortissime, o con spacchi vertiginosi, e siedono allargando le gambe, o accavallandole, sicché esibiscono le cosce fino all’inguine e alle mutandine; ma guai al malcapitato che, sia pure involontariamente, si lascia cogliere a fissare il panorama così generosamente scoperto: è lui che passa per un individuo sporco, ignobile, pieno di sudice fantasie e d’inconfessabili desideri pornografici. Ci sono donne che tornano dal mare e che, per far vedere quanto si sono abbronzate, abbassano i pantaloni davanti ad amici o conoscenti, e poi si vantano di mostrare l’effetto che fa la loro depilazione delle parti più intime. È fastidioso indulgere su tali particolari, ma è necessario, perché fa capire, se ci si prende la pena di riflettervi anche solo per poco, sino a che punto di sconcezza è giunta la nostra vita quotidiana. Quel che colpisce, infatti, è la normalità, diremmo la banalità, di simili comportamenti. Si direbbe che si tratti di cose assolutamente innocenti, tale è la disinvoltura che mostrano quanti li adottano; e, in realtà, non si può esclude che una sorta di assuefazione, di ottundimento della sensibilità, peraltro non scevro di malizia, si sia insinuato nell’animo di moltissime persone, stravolgendo la loro percezione di ciò che è lecito e di buon gusto, e spronandole, anche sotto la spinta della pubblicità e dei mass media, a spingersi sempre più lontano nella impudicizia della vita quotidiana. Il linguaggio delle conversazioni abituali, non solo a casa, ma anche per la strada, negli esercizi pubblici, negli stessi luoghi di lavoro, è sempre più sboccato, volgare e spesso condito con bestemmie e imprecazioni sacrileghe. Il pensiero si è fatto altrettanto greve e fangoso del modo di esprimersi. Una signora di nostra conoscenza, peraltro una brava persona, secondo i canoni correnti, ha detto testualmente di preferire che sua figlia diventi una prostituita piuttosto che si faccia suora; e parlava in tutta serietà, la sua non era affatto una posa.

Bisogna pertanto abituarsi a vivere in mezzo a gente che non sa che farsene della purezza, che ignora pesino il significato di questa espressione, e, se anche lo conoscesse, se ne farebbe beffe, come se fosse la cosa più assurda e più ridicola del mondo. Vi è stato uno slittamento pressoché totale di paradigma, per cui i requisiti che due o tre generazioni fa erano necessari per essere considerati delle persone serie e affidabili, per trovare un compagno o una compagna di vita meritevoli di stima e di fiducia, si sono letteralmente volatilizzati, e il loro posto è stato preso dalla sfacciataggine, dall’impudicizia e dal desiderio compulsivo di provocare, sempre e comunque, attirando l’attenzione di tutti su di sé e sulle proprie ostentate doti naturali. Questo mutamento di paradigma si vede non solo confrontando la generazione dei nonni con quella dei nipoti, o quella dei genitori con quella dei figli, ma addirittura sulle stesse persone, le quali, arrivate a sessant’anni o anche settanta, scoprono di voler vivere la vita con un atteggiamento, anche fisico e sessuale, diametralmente opposto a quello che tenevano da giovani, quando erano ancora sotto l’influenza dell’educazione ricevuta dagli adulti della generazione precedente.

In ogni caso, non si tratta solo di preservare la propria purezza fisica o sessuale, ma anche e soprattutto la propria purezza complessiva: intellettuale, spirituale, morale. Si tratta di lottare affinché i disvalori della modernità non corrompano la nostra mente e il nostro cuore, magari facendo leva sulla nostra vanità, sul nostro narcisismo, sul nostro desiderio di essere apprezzati, ammirati e invidiati. Il meccanismo della società moderna è fatto in modo da operare una costante selezione degli istinti e dei comportamenti peggiori, a scapito di quelli altruistici, nobili e positivi: è come se fossero incoraggiati a farsi strada tutti quelli che non si fanno scrupoli, che non conoscono la vergogna e che sarebbero disposti a fare qualsiasi cosa, a compiere qualsiasi bassezza, a ingannare, tradire e anche a degradare se stessi, pur di arrivare in alto, di essere amati e desiderati, di sfondare, di avere successo, di arricchire e potersi togliere ogni capriccio. Mentre coloro i quali rispettano il codice etico delle passate generazioni sono sviliti, deprezzati, presi in giro; diventano oggetto di commenti ironici, di battute cattive, il che esercita sempre il suo effetto, specie nel caso degli adolescenti, così bisognosi di conferme e di rassicurazioni. Accanto alla purezza fisica c’è la purezza della mente, e bisogna stare molto attenti a non lasciarsi contaminare e abbindolare dal punto di vista intellettuale: siamo bombardati continuamente da messaggi aberranti, che fanno passare l’egoismo, la prepotenza, l’invidia sociale per altrettante virtù, oppure li travestono e li presentano in maniera accettabile, giocando su quel fondo di narcisismo, di pigrizia e di avidità che esiste in ciascun individuo, anche il più mite, il più buono e generoso: perché la caratteristica della società consumista è proprio quella di confondere il bene col male e il male col bene, di rovesciare abilmente le convinzioni morali e demolire la capacità di giudizio critico e personale, servendosi dei più sottili artifici e delle più astute strategie. È in questo modo che la cultura moderna riesce a far passare per "cattivi" quanti restano fedeli alla vera morale e a presentare come vittime d’ingiuste discriminazioni e di pregiudizi inaccettabili quelle persone che calpestano la morale per soddisfare il loro ego ipertrofico: ad esempio, una donna di sessant’anni che vuol divenire madre, o una coppia di maschi sodomiti che vogliono provare le gioie della paternità, sono presentati all’intelligenza obnubilata delle persone, immerse nel clima dominato dal relativismo, come dei soggetti alla ricerca di una legittima realizzazione di sé, che non fanno del male ad alcuno e che nessuno ha il diritto di giudicare. E le cose sono arrivate a un punto tale che perfino il clero cattolico, un tempo rigido custode della morale, si è inchinato ai tempi nuovi e si è fatto banditore di un "misericordismo" di bassa lega, che offre comprensione e tolleranza nei confronti di qualunque azione o stile di vita, anche in presenza di palesi violazioni della legge morale e di comportamenti egoistici e dissoluti, che niente hanno a che fare con il retto comportamento di persone mature e responsabili.

Ma allora, diranno i fautori di questa contro-morale, riecheggiando il titolo di un noto romanzo libertino di bassa lega, voi avete paura di volare. No, abbiamo solo paura d’insozzarci. Di ciò non proviamo vergogna; la vergogna dovrebbero provarla quanti si gloriano sconciamente dei loro vizi…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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