
Sodoma e Gomorra in Vaticano
14 Luglio 2018
Su, coraggio: è arrivata la grande prova
15 Luglio 2018Il vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro, è uno di quelli che hanno firmato l’appello per il digiuno a staffetta, contro le politiche anti-immigrazione dell’Unione europea e del governo Conte, e specialmente del ministro degli Interni, Salvini. Il 10 luglio 2018, in Piazza San Pietro, nel corso di una manifestazione pro-migranti, il padre comboniano Alex Zanotelli, affiancato dal vignettista Vauro e da svariati preti e suore "di strada", come amano autodefinirsi, e dal popolo delle magliette rosse, ha letto una dichiarazione del vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro, il quale, nel corso di un’intervista, aveva detto testualmente:
Moralmente e da uomo di fede sarei pronto a trasformare tutte le chiese in moschee se fosse utile alla causa e se consentisse di salvare la vita di uomini e donne, poveri e infelici, perché Cristo non è venuto sulla terra per costruire chiese ma per aiutare gli uomini indipendentemente dalla razza, dalla religione, dalla nazionalità. E invece ci sono politici che nei loro comizi continuano a predicare le espulsioni e la cosa peggiore è che lo fanno con la corona e il rosario in mano e nominando il nome di Dio invano, un peccato molto grave.
Naturalmente, la prima cosa che colpisce, in questa dichiarazione — e a ragione — è la follia, unita a una buona dose di arroganza, di un vescovo, o ex vescovo, il quale parla delle chiese come se fossero sua proprietà, e che lui sarebbe pronto a regalarle agli islamici affinché le trasformino, tutte quante, in moschee, se questo servisse a salvare le vite di uomini e donne poveri e infelici ecc. ecc. Quando l’eco di queste parole si è sparso in Italia, molti si sono indignati e hanno reagito in maniera durissima: ma con quale diritto costui dice che regalerebbe le chiese agli islamici? Crede di esserne il padrone? E quel che pensano i cattolici, non conta nulla? Le chiese, poi, non sono né dei vescovi, né dei fedeli: sono di Dio. La Chiesa si limita ad amministrarle, a utilizzarle per il culto dovuto a Dio: il culto cattolico, sia ben chiaro. Non il culto islamico, né alcun altro culto non cattolico e non cristiano. Nelle chiese si celebrano i sacri riti, e primo fra tutti quello della santa Messa, che culmina nel Sacrificio eucaristico: la chiesa, pertanto, è il luogo in cui avviene il Sacrificio eucaristico. In quel luogo Gesù si fa Corpo e Sangue per i suoi fedeli, secondo le sue parole, rinnovando il miracolo della sua presenza sulla terra. Come disse san Tommaso d’Aquino, non c’è nessun miracolo più grande di questo, nemmeno quello dell’Incarnazione, della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo: perché quello ha avuto luogo una volta sola, questo si rinnova incessantemente, ogni volta che un sacerdote consacrato celebra la santa Messa. E non importa quanti sono i fedeli presenti: fossero anche tre vecchiette, fosse anche una sola, fosse pure nessuno, e il sacerdote consumasse da solo il Pane divino e bevesse da solo il Sangue divino (con buona pace di quel parroco di Miane, in provincia di Treviso, don Maurizio Dassié, il quale ha tolto la santa Messa domenicale per i mesi estivi, dato lo scarso numero dei fedeli: in un paese di 3.000 abitanti…). Quando arrivò ad Ars, i primi tempi, JeanMarie Vianney diceva la santa Messa quasi da solo; che importa? C’è sempre Gesù. E anche se non ci sono gli uomini, ci sono gli Angeli: se la nostra anima fosse più pura e la nostra mente un po’ meno incredula, noi li vedremmo, e il nostro cuore tremerebbe e arderebbe d’amore. Pertanto, ventilare, sia pure teoricamente, di regalare ai seguaci di un’altra fede tutte le chiese cattoliche equivale ad abolire il Sacrifico eucaristico, di fatto se non di diritto. E cosa resterebbe del cattolicesimo, una volta tolta la Messa e la santa Eucarestia? Evidentemente, nulla. Solo un insieme di norme di condotta morale, peraltro sempre più stravolte dal neoclero, smanioso di sdoganare tutta una serie di peccati e di farli passare per giuste e naturali necessità dell’uomo, al fine di guadagnare consensi fra la gente, ma specialmente fra i non cattolici e fra i nemici della Chiesa (che se ne renda conto o no, questo è ininfluente).
C’è un altro aspetto di quella delirante dichiarazione, tuttavia, che merita di essere segnalato. Come ci ha fatto notare l’amico Roberto Pecchioli, la motivazione generale della sparata di monsignor Nogaro è, se possibile, ancora più scioccante della folle ipotesi di devoluzione delle chiese: perché Cristo non è venuto sulla terra per costruire chiese ma per aiutare gli uomini indipendentemente dalla razza, dalla religione, dalla nazionalità. Dunque, secondo il vescovo emerito, Gesù sarebbe venuto sulla terra per "aiutare". Monsignor Raffaele Nogaro, di Gradisca di Sedegliano, è del 1933: gli portiamo rispetto per l’età, quella di nostra madre, e istintiva simpatia per la sua origine, essendo friulano come noi; e tuttavia, non possiamo non chiederci, costernati: possibile? Possibile che un vescovo ottantacinquenne, nato e cresciuto in una terra che è rimasta religiosa più a lungo di molte altre, perché il cosiddetto benessere vi è giunto molto più tardi, parli così e pensi a quel modo? Ha fatto il seminario al tempo di Pio XII ed è stato consacrato prete nel 1958, quattro anni prima del Concilio. Dove ha imparato che Gesù è venuto sulla terra per aiutare gli uomini? In qualche corso di teologia glielo hanno insegnato? In quale libro lo ha letto? Quale dei suoi professori o dei sacerdoti che ha ascoltato predicare, ha mai affermato una cosa del genere? È possibile che un vescovo, non di quelli di oggi, di quelli "di strada", cresciuti a pane e teologia della liberazione, affermi una cosa del genere e, insomma, che non sappia perché il Verbo si è Incarnato? A questo punto, uno squarcio di luce è penetrato nella nostra coscienza, e ci ha permesso d’intravedere la radice di gran parte dello sbandamento della Chiesa attuale. La verità è che i cattolici moderni, a forza di modernità, si sono scordati, o addirittura non hanno mai saputo, né hanno mai riflettuto, sul perché Gesù si è fatto carne, perché è venuto fra di noi, sulla terra. Gesù non è venuto sulla terra per aiutare, per il semplice fatto che Gesù non era un uomo. Era un uomo e, nello stesso tempo, era Dio: era Dio e uomo, contemporaneamente: vero Dio e vero uomo. E non è venuto per "aiutarci", ma per redimerci e per salvarci, sacrificandosi per amor nostro, e, nello stesso tempo, mostrandoci, con l’esempio della sua vita, con le sue parole e con le sue azioni, la via del Cielo. Questo è venuto a fare, e non altro (cfr. anche i nostri articoli: È venuto a distruggere le opere del diavolo (1 Gv, 3,8) e Perché Gesù s’immola nell’Eucaristia?, pubblicati sul sito dell’Accademia Nuova Italia, rispettivamente il 05/01/2018 e il 18/04/2018). Ad aiutarci, sulla terra, sono venuti i profeti, i martiri, i santi, gli apostoli, i padri della Chiesa, i grandi teologi, i mistici, gli asceti; ad assisterci dalla sfera divina, ci sono gli Angeli, gli Arcangeli e la Madonna, Madre santissima di tutta la Chiesa. Ma l’aiuto non basta a salvare l’uomo dal peccato e ad avviarlo sulla via della salvezza; ci vuole molto di più: ci voleva l’opera del divino Redentore: Gesù Cristo, Figlio del Padre e garante dello Spirito Santo. È la seconda Persona della Santissima Trinità: nessuno arriva al Padre, se non per mezzo di lui; sono le sue precise parole. Possibile che un vescovo non le conosca?
Ecco: qui abbiamo una chiave di lettura per comprendere meglio quel che è accaduto nella Chiesa a partire da quando lo spirito della tentazione, lo spirito del diavolo, si è insinuato sottilmente, con opera abilissima, dentro la Chiesa. Ha sussurrato paroline dolci, ha detto che voleva aiutare i fedeli a mettersi in dialogo con la società moderna, a divenire cittadini del mondo moderno, a capire più da vicino i problemi, le ansie, i dolori degli uomini moderni. Si è insinuato nella mente e nel cuore di alcuni teologi ambiziosi, che stavano perdendo la fede, o l’avevano già persa, e li ha spronati a sottoporre le Scritture, prima, e poi la fede stessa, alla prova dell’analisi scientifica, allargando i dubbi, moltiplicando le perplessità, incrinando la certezze già in crisi. Si è insinuato al vertice della Chiesa e ha suggerito a vescovi e cardinali che non si doveva più essere "severi", che non si doveva più condannare nessuno, né considerare alcuno come nemico, ma considerare tutti gli uomini come amici, e tutti i cattolici come anime già illuminate dalla fede: come se la fede non fosse una conquista faticosa, continua, incessante, una prova diuturna su se stessi, una lotta a tu per tu con il diavolo, un sacrificio rinnovato di sé, una quotidiana accettazione della croce. La vera fede è il contrario di ciò che vuole il mondo; e invece, a partire dagli anni ’60 del Novecento, si volle credere, e far credere ai fedeli, che la fede fosse semplicemente una questione di buona volontà. In pratica, si spense la sua dimensione soprannaturale, e, così facendo, si recise il legame fra l’uomo e Dio. Una fede che fa perno sull’uomo, sulle sue forze, sulla sua capacità di comprensione, è una fede morta, o destinata a morire. E fu quel che accadde. Con l’illusione, o con il pretesto, di rinnovarla, la si uccise. La fede viene da Dio, è un dono di Dio; la teologia della "svolta antropologica" è stata, di fatto, e al di là delle intenzioni dei singoli individui, un attacco frontale alla fede. Si è tolta la croce, e con ciò si è tolta la base della fede stessa. Ed ecco, infine, dove siamo arrivati.
Il cristiano sa di non aver bisogno d’essere aiutato, ma di essere redento e, così, salvato. C’è una bella differenza fra le due cose. L’aiuto è quello che si chiede, e che si riceve, da chi è simile a noi; per esempio, un rocciatore alle prime armi può aver bisogno dell’aiuto di un rocciatore esperto, il quale gli indichi dove mettere il piede, e che lo sostenga nei passaggi particolarmente impegnativi. Così vanno le cose nell’ordine naturale. Ma la vita del cristiano si svolge nell’ordine soprannaturale, oppure non è la vita cristiana. E nell’ordine soprannaturale, niente e nessuno lo può redimere, né salvare, se non Gesù Cristo, e Lui soltanto. Certo, il cristiano, come uomo, non disprezza affatto l’aiuto che altri uomini possono porgergli; di più; egli può chiedere, e ricevere, anche l’aiuto dei Santi e quello di Maria Vergine, che è l’aiuto dei cristiani e la consolatrice degli afflitti. Ma con l’aiuto si può superare un passaggio difficile, si può fare un tratto di strada, non giungere alla meta. La meta è la salvezza eterna, e la sola porta per arrivarci è la Redenzione di Cristo; chi ci crede, chi l’accoglie, chi la supplica, chi ne fa tesoro, chi se ne lascia riempire, guidare, ispirare, quello è salvo; chi non ci crede, né l’accoglie, né la chiede, né la cerca, perché pensa di non averne realmente bisogno, è perduto. Questa è la distinzione; e l’aiuto non c’entra affatto. Confondere l’aiuto di Gesù con la sua Redenzione è come confondere la speranza umana con la Speranza cristiana: la prima è una virtù puramente umana, e, come tutte le cose umane può anche degenerare, fino al ridicolo e fino alla pazzia; la seconda è una virtù teologale, viene da Dio e innalza fino a Dio, non inganna, né illude, né delude, né degenera, né fallisce la meta.
Dio, dunque, nella Persona di Gesù Cristo, non è venuto ad aiutarci, ma a salvarci. Buddha, Confucio, Lao Tzu sono venuti ad aiutare gli uomini; e così sono venuti Socrate, Epicuro, Apollonio di Tiana. Il male è quando un uomo vuole offrire ad altri uomini l’aiuto soprannaturale, perché nulla del genere è possibile. L’umanità dà ancora e sempre umanità, anche quando si tratta di santi; certo, i santi possono aiutare, ma sempre sul piano naturale: se pare che riescano a fare di più, in realtà non sono loro che operano, ma Dio che si serve efficacemente di loro, perché ha trovato in essi degli strumenti docili e malleabili (ed ecco il pericolo dell’idolatria: non sono i santi che fanno i miracoli, tanto meno i papi: è Dio che li fa, per mezzo di loro). Dio, però, che è infinito e onnipotente, non vuole redimerci, né salvarci, nostro malgrado; vuole che noi collaboriamo alla redenzione, e quindi si fa piccolo, si mortifica, come seppe fare Gesù Cristo nella sua vita terrena, affinché noi possiamo divenire grandi in Lui. Questo è un mistero insondabile. Dio, per esempio, può scegliere di bussare alla nostra porta sotto le spoglie di un uomo qualsiasi, sconosciuto, disprezzato; può servirsi di quell’uomo per attirarci a Sé, per farci innamorare di Lui, per fare in modo che prendiamo in odio il nostro uomo vecchio e rinasciamo, completamente trasformati, nello splendore di una vita nuova. Ma è sempre Lui che fa, Lui che prende l’iniziativa; eppure lo fa con una tale delicatezza, con un tale rispetto nei nostri confronti, che, il più delle volte, noi non ce ne accorgiamo neppure. I nostri occhi sono chiusi e non vediamo il suo splendore; i nostri orecchi sono chiusi, e non udiamo il suo richiamo. Siamo affaccendati in cose ben più urgenti e importanti, che prestare ascolto a quel che Lui ci sta dicendo. Quando decide di entrare con forza nella nostra vita, come nel caso della conversione di san Paolo, è perché Lui, buon giudice dei nostri cuori, sa molto meglio di noi stessi quando siamo pronti per vederlo e per udirlo. I santi non sono persone che, a un certo punto, hanno deciso di cambiar vita e di mettersi alla sequela del Signore; i santi sono uomini e donne ai quali Gesù ha fatto cadere le scaglie che avevano sugli occhi, e ha tolto i tappi che avevano negli orecchi. Se Gesù fosse venuto sulla terra per aiutare gli uomini, ciò starebbe a indicare che essi erano già, più o meno, sulla strada buona: si aiuta chi è in grado di salvarsi, non si può aiutare colui che è divorato da un tumore in metastasi giunto all’ultimo stadio. Ma gli uomini non erano affatto sulla strada giusta; non lo sono mai, quando confidano solamente in se stessi. Gli uomini erano già perduti, e oggi lo sono più che mai, se non ci fosse Gesù che li vuole salvare. Non sono venuto per condannare il mondo, dice, ma per salvare il mondo (Gv 12,47). Né per ‘aiutarlo’…
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