A chi o a cosa serve un papa che non fa il papa?
12 Luglio 2018
Monsignore, lei sa cos’è la libertà per un cristiano?
13 Luglio 2018
A chi o a cosa serve un papa che non fa il papa?
12 Luglio 2018
Monsignore, lei sa cos’è la libertà per un cristiano?
13 Luglio 2018
Mostra tutto

Fenomenologia di Umberto Eco

Umberto Eco cominciò a diventare celebre con il saggio Fenomenologia di Mike Bongiorno, del 1961, all’interno del Diario minimo, che apparve quando l’oggetto e la vittima del suo studio semiologico, era già effettivamente celebre come presentatore televisivo. Eco vide e descrisse, in Mike Bongiorno, la massificazione dell’intelligenza prodotta dal consumismo televisivo; non vide mai, né mai gli interessò, l’uomo Mike Bongiorno, nella sua concreta individualità: anche perché, secondo la sua tesi, l’uomo Mike Bongiorno praticamente non esisteva, essendo solo una nullità rivestita di apparenza e di significato dall’industria televisiva. Una o due generazioni di italiani, specialmente giovani e studenti universitari, ma anche seri professori di sociologia e filosofia, hanno trovato in quel saggio il loro testo sacro, il loro talismano e la loro bussola nella navigazione della vita e in quella, più prosaica, della carriera; è stato uno di quei libri che, se non fossero mai stati scritti, avrebbero dovuto inventarli, tanto sono utili, provvidenziali, taumaturgici. In pratica, quel libro ha permesso a una o due generazioni d’imbecilli presuntuosi di sentirsi intelligenti, sfottendo l’imbecillità di Mike Bongiorno e di quei milioni d’italiani che guardavano con piacere i suoi programmi a quiz televisivi. È difficile sottovalutare l’importanza di quel libro: segna uno spartiacque: il passaggio del clima culturale italiano da una certa indifferenziata tolleranza a una contrapposizione dura, crudele, ideologica, fra i radical-chic, bramosi di conferme della loro eccellenza, e i nazional-popolari, condannati a cuocere nel loro brodo d’ignoranza, trivialità e pochezza. Grazie a Eco, una minoranza di pseudo intellettuali o aspiranti tali ha potuto sentirsi superiore a una massa di iloti sciocchi, volgari e reazionari, ai quali restava una sola funzione utile da espletare: fungere da cavie per le vivisezioni degli intellettuali. Insieme al quotidiano La Repubblica, che in quegli anni segnava l’inizio della diffusione della cultura radical-massonica fra le élite, ma specialmente fra quanti aspiravano a diventare élite, o semplicemente credevano di esserne parte, magari solo in senso ideale, e insieme ai film di Pier Paolo Pasolini e alle opere teatrali di Dario Fo, la Fenomenologia di Mike Bongiorno è una pietra miliare nell’evoluzione, o piuttosto nella involuzione, della cultura e della società civile italiana: anticipa, profeticamente, di almeno dieci anni, se non venti, l’incanaglirsi dell’atmosfera sociale, e prelude gloriosamente ai moti libertari del ’68, all’epica rivolta generazionale degli studenti contro Dio, patria e famiglia (fatta coi soldi di papà). Eco, come i suoi lettori, rappresenta il prototipo dell’italiano che si crede intelligente solo perché sa passare ai raggi X qualcun altro, rispetto al quale si sente superiore intellettualmente e, in fondo, anche moralmente, perché l’altro è il nulla, mentre lui è un individuo pensante, anzi, un individuo pensante al disopra della media.

È difficile quantificare quanto male quel libro abbia fatto agli italiani. Ha ringalluzzito una massa di imbecilli che, leggendo Eco, immedesimandosi nelle sue finissime osservazioni e identificandosi nella sua bravura e nella sua ironia linguistica, si sono auto-promossi al rango di classe dirigente in pectore, di governo ombra dell’Italia migliore, quella che ragiona, e, soprattutto, quella che va nella direzione giusta, che poi è quella del progresso. Ha fatto del male a Mike Bongiorno, ma l’autore non si è mai posto il problema, come l’entomologo non si pone il problema se soffre la farfalla che egli trafigge con uno spillo per metterla nella sua collezione; anzi, il fatto che quel libro fosse la presa per i fondelli di un personaggio vivo e vegeto, e non di un personaggio del passato, anche recente, ha allenato migliaia di persone alla crudeltà mentale e all’insensibilità affettiva: preoccuparsi dell’amarezza o della sofferenza di un sotto-uomo come Mike Bongiorno sarebbe stato inconcepibile, anche perché avrebbe lasciato trasparire i loro vecchi pregiudizi morali e cristiani, dai quali non c’era aspirante intellettuale che non desiderasse affrancarsi, e far sapere a tutti che se n’era effettivamente affrancato. Si trattava di questo: la futura classe dirigente voleva mostrare di aver ucciso in se stessa la gentilezza, la benevolenza, la comprensione umana, per mostrare di esseri debitamente foderata di cultura moderna: la psicanalisi, la semiotica, il marxismo, l’esistenzialismo lo strutturalismo e, naturalmente, la cultura del sospetto, un po’ Nietzsche e un po’ Sartre, con qualche spruzzata di Reich e di Marcuse. Era solo il 1961, il decennio magico del miracolo economico era solo agli inizi, ma quel libro cattivo, spocchioso, intinto nel veleno del disprezzo, preannunciava la cattiveria e l’insensibilità degli anni di piombo, l’ironia e l’umorismo quasi infastidito con cui gli studenti di sinistra, quindici anni dopo, sfogliando La Repubblica, al mattino, o meglio ancora Il Manifesto, si chiedevano l’un l’altro, sul treno che li portava alla città universitaria più vicina: Chi hanno gambizzato oggi?; oppure: Hai visto Montanelli? Perfino dopo che l’hanno gambizzato, continuava a sputare veleno… La prossima volta dovrebbero alzare un po’ il tiro. Il che è puntualmente avvenuto. Eppure gli italiani sono un popolo mite e bonario; e i giovani italiani, fino agli anni ’50, cresciuti nei valori tradizionali da famiglie in gran parte cattoliche, avrebbero avuto orrore di un simile linguaggio, di simili atteggiamenti. Una mutazione antropologica si annunciava, e si è compiuta nel giro di pochi anni. Sono nati dei piccoli mostri di insensibilità e cattiveria, dei Raskolnikov in sedicesimo; e uno dei loro libri di formazione è stato, senza dubbio, il Diario minimo di Eco, e specialmente la Fenomenologia di Mike Bongiorno.

La prova di questo malanimo diffuso, da parte degli intellettuali o sedicenti tali, verso coloro i quali hanno impersonato, secondo loro, la massificazione televisiva, si è avuta qualche anno dopo, con il caso Tortora. Ricordate quel che dissero e scrissero i radical-chic sullo sfortunato presentatore televisivo, accusato a torto di essere in combutta con la camorra e condannato, in primo grado, a dieci anni di galera? Ricordate il commento, per esempio, di Camilla Cederna: Non mi è mai piaciuto, né lui, né il suo "Portobello"? La Cederna si era spesa per difendere Pietro Valpreda, l’anarchico accusato per la strage di Piazza Fontana; ma ora, nei confronti di Tortora, da garantista era diventata improvvisamente giustizialista: Mi pare che ci siano gli elementi per trovarlo colpevole: non si va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono delle buone ragioni. Quanta cattiveria, quanta insensibilità: Tortora non era un uomo, per loro, ma un insetto; e a fare da cavia per questo esperimento di mutazione antropologica era stato Mike Bongiorno. Impossibile commuoversi per simili individui. Infatti: quando risultò che Tortora era innocente, quanti si scusarono con lui, quanti ammisero di essere stati ingiusti , o almeno ingenerosi, nei suoi confronti? Nessuno: tutti pronti a puntare il ditino contro di lui, quando gli avevano messo le manette ai polsi; tutti impegnati in altre faccende quando venne scarcerato, per poi morire di tumore ai polmoni, dopo una sentenza di piena assoluzione. Ma gli italiani erano stati allenati alla cattiveria, alla cattiveria di classe, da maestri come Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini e Dario Fo. Nei film di Pasolini, i porci capitalisti finiscono divorati vivi dai porci a quattro zampe dei loro allevamenti; col teatro di Dario Fo, gli italiani hanno cominciato a familiarizzarsi con la beffa sacrilega, con lo sghignazzo nei confronti della religione dei loro padri; e con la Fenomenologia di Mike Bongiorno, hanno imparato a guardare dall’alto in basso, da uomo ad insetto, il verme ignorante che si mette al servizio della tivù massificante. La stessa tivù che trasformerà dei modestissimi pensatori, come Umberto Galimberti e Massimo Cacciari, in maîtres-à-penser e guru della speculazione filosofica politicamente corretta, ospiti fissi o semi-fissi nei già disprezzatissimi programmi nazional-popolari; ma è tipico dei "sinistri": sputare tutti i santi giorni nel piatto dove mangiano (lautamente).

Quanto a Mike Bongiorno, non vogliamo farne un eroe, e nemmeno un martire. Non vogliamo fare l’operazione inversa a quella di Umberto Eco; vorremmo solo applicare a Umberto Eco la sua stessa medicina, e far riflettere tutti quegli italiani che si sono induriti e incattiviti leggendo Eco, guardando i film di Pasolini e assistendo agli spettacoli di Fo, né hanno mai provato, non diciamo un po’ di rimorso, ma neanche un po’ di compassione per la vicenda umana e giudiziaria di Tortora, perché moralmente corrotti al veleno della cultura del sospetto, pseudo classista e pseudo libertaria, loro che si sentivano migliori perché sbandieravano, e sovente sbandierano tuttora (magari indossando le magliette rosse di don Ciotti e di Saviano) il loro fiero e irriducibile antifascismo. Sempre pronti a difendere gli ultimi, sempre pronti a mettere in croce i potenti. Solo che non hanno mai capito chi siano veramente gli ultimi, né, meno ancora, chi siano, specialmente oggi, i potenti. Il fatto di trovarsi dalla stessa parte della barricata di George Soros non li mette minimamente in imbarazzo. E perché dovrebbe? È la stessa parte di Bergoglio, di Ciotti e di Saviano; dunque, è sicuramente la parte giusta, e gli "altri" sono sicuramente dei fascisti e dei razzisti. Le stesse semplificazioni, lo stesso odio di allora. Adesso non possono più prendersela né con Mike, né con Tortora, passati a miglior vita; ma possono prendersela sempre con il Salvini di turno. Tanto, loro hanno una riserva inesauribile di nemici da sottoporre al linciaggio morale: loro che sono, per definizione, i Buoni, i Giusti e i Puri.

Di Mike Bongiorno, Eco scriveva: Mike Bongiorno è privo di senso dell’umorismo. Ride perché è contento della realtà, non perché sia capace di deformare la realtà… Ecco dunque il segreto, la vera colpa — inconfessabile, da parte dei suoi accusatori — di Mike Bongiorno: essere contento della realtà. Intollerabile, immorale. Come si fa a esser contenti della realtà? Con gli americani che bombardano i villaggi del Vietnam (e Mike è mezzo americano…) e con i bambini dell’Africa che muoiono di fame? Non sono cambiati, sono sempre gli stessi: come si fa a essere indifferenti, con i migranti che fanno naufragio nel Mediterraneo, o che i libici cattivi mettono in prigione, affinché non possano imbarcarsi? La vera colpa di Mike Bongiorno, insomma, era quella di essere contento: il suo sorriso dava fastidio. L’intellettuale progressista è consapevole di Tutto il Male che Pesa sul Mondo, come un cielo di piombo; non può, non deve essere contento. Se è contento è un egoista, e, probabilmente, un fascista. Il vero intellettuale di sinistra è sempre serio, imbronciato; ha sempre, come dice il film di Marco Bellocchio, i pugni in tasca e l’aria truce, incazzata. È incazzato perché vede il Male del Mondo e ne soffre; ne soffre, ma non si limita al patetico soffrire in silenzio, come i cattolici fatalisti: riflette e prepara la Grande Rivoluzione, che porrà fine al Regno del Male ed instaurerà il Regno del Bene. L’intellettuale di sinistra è malinconico, come Humphrey Bogart in Casablanca, o, almeno, come Sartre nei caffè del Quartiere Latino (anche se in fondo non gli va poi così male: mantenuto da una compagna intelligente e comprensiva, che può cornificare ad libitum); se fosse contento, mostrerebbe di condividere l’abominevole universo dei valori borghesi, e perderebbe all’istante quell’aura maledetta, così romantica.

Nella sua autobiografia, La versione di Mike, Bongiorno ha risposto da gran signore alla crudele vivisezione di Eco, che, fra l’altro, lo aveva definito un ignorante (Mondadori, 2007, p. 156):

L’accusa di non aver studiato, quando non ho potuto farlo per motivi ben precisi che ho spiegato nei capitoli precedenti, legati alla guerra e ad altre vicissitudini, all’epoca inizialmente mi ferì. Non potevo certo sbandierare di aver avuto una certa formazione scientifica né di avere alle spalle un rigoroso metodo accademico, ma già allora sentivo che il mio lavoro mi aveva portato a una conoscenza molto approfondita della psicologia della gente e delle tipologie di persone che abitavano l’Italia.

Detto in altri termini: Mike Bongiorno ha appreso, senza libri né lauree, il segreto di capire la gente, mediante il rapporto diretto; Eco e quelli come lui pretendono di giudicare tutto e tutti sulla base della loro cultura libresca e della loro fredda e astratta intelligenza. Chi è capace di capire meglio il prossimo, chi ha capito meglio la realtà? I Saviano, i Camilleri, i Ciotti, le Boldrini, i Lerner col Rolex e l’attico, oppure i Mike Bongiorno e gli Enzo Tortora? Certo, sono categorie diverse: una cosa è un presentatore televisivo, e un’altra cosa è uno scrittore, un filosofo, un prete socialmente impegnato. Ma son sempre uomini. Come uomo, il tipo Mike Bongiorno è infinitamente più simpatico e più "umano" del tipo Umberto Eco. Il quale, sia detto fra parentesi, ha scritto decine di libri, ma nessuno dei quali destinato a restare; neanche il tanto decantato Nome della rosa. Sono tutti basati su giochini linguistici e su demistificazioni della "realtà", che non rispondono ad alcuna domanda, anche perché sanno già tutto, e cioè che non c’è nulla da chiedere. Le cose sono solo nomi; la realtà e solo un insieme di segni, i quali, ahinoi, non significano un bel nulla. Tutto qui? Tutto qui. Mike Bongiorno ha contribuito a dare un po’ di serenità a milioni di telespettatori; Eco ha venduto fumo per tutta la sua vita di falso intellettuale e contribuito alla tetraggine esistenziale di milioni di lettori. Ma in una società d’ipocriti e di vili, nessuno prende le difese di Mike Bongiorno…

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.