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Sono falsari e vanno trattati come tali

Nella decima e ultima bolgia dell’ottavo cerchio (canto XXIX dell’Inferno) Dante colloca le anime dei falsari, straziate da orrendi malattie: quelle che hanno falsificato le cose, dalla lebbra; quelle che hanno falsificato le persone, dalla rabbia; quelle che hanno falsificato il denaro, dall’idropisia; e infine quelle che hanno falsificato le parole, da una febbre maligna. Ebbene, i neoteologi (che Cornelio Fabro chiamava anche i porno teologi), gli eco-eretici e gli omo-eretici, così come i neocardinali, i neovescovi e i neopreti, tutti costoro sono paragonabili a dei falsari: anch’essi hanno falsificato il Vangelo, e continuano a farlo imperterriti, sempre più arroganti, ciechi e sordi a qualunque richiamo, anzi, più che mai convinti, nella loro sconfinata superbia, di avere in mano le chiavi della verità e di essere assolutamente indispensabili per il bene della Chiesa. Bene che essi identificano con il fatto di metterla al livello del mondo, della cultura profana, della morale rilassata, relativista, permissiva della società laica, per la quale il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, la sodomia, le libere unioni, sono diritti, sono esplicazioni della signoria dell’uomo sulla vita, sono affermazioni della personalità e si configurano come il legittimo percorso verso la realizzazione di sé. Che cosa c’entri Dio in tutto questo, e soprattutto che cosa c’entri il Dio in cui credono i cattolici, il Dio annunciato da Gesù Cristo, e che era Dio Egli stesso, come Figlio del Padre, non si capisce, non si arriva a vedere; e, in effetti, non c’entra nulla. Ma di che meravigliarsi, dal momento che lo stesso Bergoglio ha affermato che Dio non è cattolico, e che lui stesso non crede in un Dio cattolico? Evidentemente, tutti costoro sono paragonabili a dei falsari; ma il loro crimine è assai più grave di quello dei comuni falsari: perché costoro non si limitano a falsificare parole, cose, persone e denari, essi ardiscono falsificare la Parola di Dio. Meriterebbero le pene più aspre, perché non è possibile immaginare una colpa più grande, un peccato che grida al cielo più atroce di questo, con l’aggravante che non si tratta di persone comuni, ma di persone consacrate, le quali hanno risposto a una chiamata divina e hanno fatto voto di essere sempre fedeli a Dio e di voler piacere a Lui piuttosto che a chiunque altro. Invece, ora li si vede prostituirsi, e, quel che è peggio, prostituire la dottrina, svilire la morale, banalizzare il Vangelo, per amore della popolarità, per il meschino desiderio di essere popolari, di ricevere applausi e consensi, di andare in televisione, di occupare le prime poltrone ai convegni blasonati e nelle conferenze ufficiali. Li si vede perfino gonfiare il petto, nei loro sontuosi paramenti, alle sfilate di alta moda, magari le stesse in cui delle indossatrici seminude (e sataniste) si paludano compiaciute e sensuali nelle vesti autentiche dei papi del XX secolo, appositamente cedute dalla Curia romana, dietro congruo pagamento, alle case di moda, per tali eventi "culturali". Arrossiamo di vergogna al posto di quei porporati, di quei monsignori; e arrossiamo ancora di più, pensando che quegli stessi porporati e monsignori, o altri della loro medesima "scuola", non fiatano neppure su argomenti come il divorzio e l’aborto; e quando si presenta una eutanasia mascherata, e un bambino viene fatto morire in nome del non accanimento terapeutico, essi, che si sono ben guardati dal recarsi a fare visita a quel bambino, o dal rincuorare i suoi genitori, si profondono in elogi e ringraziamenti all’indirizzo di quei medici e di quei giudici. E che tutto questo sia atrocemente, intollerabilmente scandaloso, pare che sfugga alla stragrande maggioranza del popolo cristiano, tutto preso e abbagliato dalla misericordia di Francesco, dalla sua umanità, dalla sua simpatia, dal fatto che Francesco è schierato senza se e senza ma dalla parte degli ultimi, i più poveri (ma è proprio vero? un falso profugo, giovane e pieno di salute, mantenuto gratis senza far nulla, per tre anni, in albergo, con sigarette, telefonino e linea internet, è davvero più povero di tanti pensionati italiani, che raccattano la frutta e la verdura guaste ai mercati generali?) . Ciò fa dimenticare che costui parla da eretico, protegge gli eretici e perseguita i buoni cristiani, come sta facendo coi Francescani e le Francescane dell’Immacolata, che sta spingendo con ogni mezzo ad abbandonare l’abito e uscire per sempre dalle loro case.

Oggi infatti i buoni cristiani vengono allontanati, emarginati, ridotti al silenzio; un vero teologo cattolico, come monsignor Antonio Livi, vede i suoi libri rifiutato dalle librerie cattoliche, e vede il direttore del quotidiano sul quale ha scritto per trenta anni, che è il quotidiano dei vescovi italiani, inveire contro di lui, coprirlo di insulti, per la ragione che ha osato criticare i pasticci pseudo teologici di un tale Enzo Bianchi, che molti credono essere un consacrato, mentre non lo è, è solo un laico, anche se si veste da prete e dirige una comunità monastica (multireligiosa e perciò, per definizione, estranea alla prassi e alla dottrina cattolica); in compenso, alcuni lo vorrebbero far cardinale tout-court. Nel frattempo, egli è invitato nei salotti buoni, parla alla radio, alla televisione, rilascia interviste, viene lodato e incensato dalla stampa che si definisce cattolica, ma che non è più tale; da quella che era la buona stampa di un tempo, e che ha conservato i titoli dei giornali e delle riviste, per meglio ingannare i fedeli, ma che è diventata modernista, vale a dire eretica. Perché, bisogna ricordarlo a causa della confusione e — bisogna pur dirlo – della estrema ignoranza oggi imperante, e intenzionalmente incoraggiata e coltivata: non ci sono i cattolici modernisti da una parte, e i cattolici tradizionalisti dall’altra; ci sono i modernisti e ci sono i cattolici. I primi sono eretici, formalmente condannati come tali da Pio X fin dal 1907, centodieci anni fa; gli altri sono cattolici e basta, perché, se davvero sono cattolici, non ha senso definirli tradizionalisti, in quanto un vero cattolico è, per definizione, anche un tradizionalista. Per i veri cattolici, non si fa questione di tradizioni, come, ad esempio, si parla di tradizione per le famiglie, o per certe associazioni di mestiere, o per certi circoli culturali; per i veri cattolici, la Tradizione, con la "t" maiuscola, perché viene direttamente da Dio, è una delle due colonne della Rivelazione, l’altra essendo la sacra Scrittura. Dunque non serve dire che un cattolico è tradizionalista; se no lo è, vuol dire che non è cattolico; così come, se è modernista, non è, né potrebbe mai essere, cattolico. Le due cose si escludono, nessuna mediazione è possibile. Così stanno le cose e chi parla altrimenti, mente sapendo di mentire. Dicevamo di Antonio Livi: le sue conferenze sono boicottate, gli si negano le sale in cui tenerle. Eppure lui dice le cose che aveva sempre detto, le cose che tutti i buoni teologi hanno sempre detto, da san Paolo fino alla vigilia del Vaticano II, nell’arco di millenovecento anni, durante i quali molto sangue di martiri è scorso, per testimoniare la verità della dottrina cattolica divinamente ispirata. Non è lui che è cambiato, dunque; è la neochiesa che pretende di cambiare tutto, così, senza avere l’onestà di dirlo, bensì fingendo, con estrema malizia, di voler solo cambiare certi modi della comunicazione, per rendere, essa dice, più attuale il messaggio del Vangelo. Come! Il messaggio del Vangelo ha bisogno di essere attualizzato? Avremo dunque una attualizzazione ad ogni crocicchio della storia, ad ogni mutare del clima culturale e spirituale? Il Vangelo dovrà correre dietro alle mode, alle tendenze, agli indirizzi della società profana? Non dovrebbe essere tutto il contrario, come del resto è sempre stato? E cioè che il Vangelo si pone, saldo e incrollabile come una roccia, e offre agli uomini, presi nel turbine della storia, smarriti nel vortice della contingenza, un punto stabile e perenne, una Parola che non cambia, che non può cambiare, perché la Parola di Dio è sempre quella, e chi dice di averla compresa meglio, o più approfonditamente, è un eretico che non ha il coraggio di professarsi tale, ma vuole subdolamente ingannare le persone in buona fede, e approfittarsi della loro semplicità. E così come cerca di mettere a tacere Antonio Livi o il filosofo Stefano Fontana, sempre col metodo del boicottaggio, o il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli, addirittura punendolo e relegandolo in convento, per l’orribile "colpa" di aver detto una cosa cattolicissima, e cioè che certe calamità naturali sono una punizione e un richiamo per l’enormità di certi peccati, così la neochiesa cerca di cancellare la memoria dei veri teologi del passato, anche e soprattutto recente. Quanti giovani cattolici hanno mai sentito parlare di Romano Amerio, o di Cornelio Fabro, o dello stesso Romano Guardini? E quanti seminaristi, nel corso dei loro studi, hanno avuto l’occasione di conoscere la teologia di Tommaso d’Aquino, che Leone XIII considerava la sola, vera teologia della Chiesa, al punto da stabilirlo con un’apposita enciclica, Aeterni Patris? E quanti cattolici di media cultura conoscono il filosofo Michele Federico Sciacca, o Marcel De Corte, o Emanuele Samek Lodovici, o Étienne Gilson? No, non li conoscono; in compenso, sono stati propinati loro corsi sull’ateismo, sull’esistenzialismo, sulla fenomenologia, sulla psicologia del profondo, sullo storicismo, sulla teologia liberale protestante, sulla teologia negativa, insomma tutto l’armamentario del vecchio e nuovo modernismo. Più Teilhard de Chardin, Henri De Lubac, Yves Congar, Hans Küng, Edvard Schillebeeckx, Kar Rahner (soprattutto Karl Rahner!), Walter Kasper; e senza dimenticare certo Rudolf Bultmann, Karl Barth, Paul Tillich, Dietrich Bonhoeffer (come dimenticare Bonhoeffer? è morto in un lager nazista, dunque non ho aver detto se non cose giuste!). E poi, avanti coi Grillo, coi Bianchi, coi Mancuso, coi teologi strada… Ma senza aver mai sentito nominare un gigante come Tomaš Tyn, al quale costoro non sarebbero degni neppure di allacciare i calzari; un teologo, morto ancor giovane, che avrebbe onorato la Chiesa e sarebbe stato tenuto nel massimo onore, fino al 1965; ma che, essendo vissuto nella seconda metà del XX secolo, chissà perché, ha dato fastidio da vivo e ora viene rimosso da morto. Anche lui, con il solo fatto di esserci stato, di aver scritto i suoi libri, rappresenta una seccatura, un motivo d’imbarazzo, un problema da eliminare: i seminaristi di oggi, i cattolici di oggi, allevati come polli in batteria, non devono neanche sapere che la cultura cattolica è stata onorata da una simile presenza. Chissà, se capitassero loro in mano i suoi libri, potrebbe anche accendersi una lampadina; potrebbero anche avere un’illuminazione; potrebbero afferrare tutta la portata dell’odioso inganno, dell’infame tradimento che si sta consumando, dopo il 1965, ai danni della vera Chiesa cattolica, della vera Sposa di Cristo, da parte di questo neoclero infame e modernista, falsario e bugiardo, che non si fa scrupolo di manomettere perfino il Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo. Quando si ode un generale dei gesuiti, come Sosa Abascal, dichiarare, nel corso di un’intervista concessa con mondana disinvoltura, e quasi con frivolezza, ad un giornale laico, che nessuno può sapere cosa abbia detto realmente Gesù Cristo, perché al suo tempo non c’erano i registratori (e lo dice polemizzando sgangheratamente con il cardinale Müller, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, allo scopo di mettere in dubbio che Gesù abbia asserito l’indissolubilità del matrimonio!), di che altro dovremmo aver bisogno, per capire che ci troviamo davanti ad un clero eretico e apostatico, che se ne infischia di custodire il Deposito della fede, anzi, che lo vuole distruggere, né si cura minimamente del turbamento e del dolore che provoca, quasi ogni giorno, nell’animo dei buoni cattolici?

Per la legislazione della Repubblica di Venezia, coloro i quali deponevano il falso, sia in sede civile che penale, o producevano carte false, venivano puniti con il taglio della lingua e della mano destra. Se, poi, la falsa testimonianza o il falso documento portavano alla condanna a morte d’un innocente, o sottraevamo un colpevole alla forca, la pena era il taglio della testa. Per quanti falsificavano il sigillo ducale c’era il taglio della mano destra; per chi falsificava le mercanzie, la vi era la confisca della merce stessa. La Repubblica di San Marco è stata una istituzione estremamente solida e sperimentata: nessuno Stato moderno può vantare una storia altrettanto lunga e le sue leggi, severe ma giuste, furono senza dubbio un elemento decisivo per la sua stabilità sociale e la sua longevità. Non vogliamo auspicare il ritorno a pene di quel tipo; pensiamo, però, che la coscienza collettiva dovrebbe tornare a vedere la frode, almeno sotto il profilo morale, per ciò che è realmente: una delle cose più vili, meschine e abiette. Il falsario si rende colpevole di un’azione spregevole, che resta tale anche se non si configura come un reato vero e proprio: approfittare della fiducia altrui e manipolare la verità, con parole, o azioni, è una cosa gravissima; ed è addirittura imperdonabile se si tratta d’una manipolazione sistematica e intenzionale. Ora, il neoclero sta manipolando la dottrina cattolica e sta falsificando l’istituzione voluta da Gesù Cristo, la Chiesa, con una perseveranza e una perfidia veramente diaboliche. Sino a non molti anni fa, un chierichetto non poteva nemmeno varcare la soglia della sacrestia, se non si rivolgeva al sacerdote con le parole: Sia lodato Gesù Cristo, e noi potremmo fare nomi e cognomi di tali sacerdoti. Oggi, però, è consentito al papa di affacciarsi al balcone di piazza san Pietro, subito dopo la propria elezione, salutando la folla dei fedeli con un laicissimo buonasera. Qualcuno dirà che questa è una cosa troppo lieve per parlare di falsificazione della fede. Ma si mettano in fila dieci, cento, mille di tali cose, forse non così piccole, e apparirà la strategia complessiva degli eretici modernisti: sovvertire la Chiesa a piccoli passi, senza averne l’aria. E allora si rifletta sulle parole di Leone XIII, che citava papa Felice III: Non resistere all’errore è approvarlo, non difendere la verità è ucciderla. Chiunque manca di opporsi a una prevaricazione manifesta può essere considerato un complice occulto. Danno da pensare, vero?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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