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La neochiesa sta franando perché frana l’Impero

Sappiamo cosa accadde al termine dalla lotta per le investiture, che contrappose la Chiesa di Gregorio VII e il Sacro romano impero di Enrico IV: una vittoria apparente della prima e un sostanziale tramonto di entrambi i poteri universali, minati dalla stessa malattia, così come, al tempo del loro splendore, si erano sostenuti e legittimati a vicenda. Quella lotta aveva infatti mostrato che l’uno non poteva sopravvivere alla disfatta dell’altro, tanto più che forze nuove, e moralmente estranee ad entrambi, premevano alle porte: le borghesie finanziarie e mercantili, le monarchie nazionali e l’ormai mutato quadro di riferimento ideologico, culturale e spirituale.

Oggi sta accadendo un po’ la stessa cosa; si sta replicando il medesimo copione. Anche oggi i due poteri universali appaiono in crisi, e per la stessa ragione: i loro destini si erano intrecciati a un punto tale che, ora, la crisi dell’uno non può che portare alla crisi dell’altro e, paradossalmente, non alla sua vittoria clamorosa e definitiva. La Chiesa, in apparenza, è sempre la stessa: una vetusta costruzione che si regge da duemila anni e che ha affrontato, e superato, innumerevoli tempeste (con la Francia che, per due volte, ha "rapito" la sede di San Pietro: portandola ad Avignone con Filippo il Bello, e addirittura imprigionando e deportando il papa, con Napoleone). Ma né guerre locali o mondiali, né rivoluzioni, né bombe atomiche, sono riuscite a incrinarne la forza: a farlo, silenzioso come il tarlo nel legno, è stato l’insieme della cultura moderna, il complesso dei valori e dei progressi, anche scientifici e tecnici, della modernità come un tutto. E questo, ironia della sorte, si è verificato mentre la modernità stessa, intesa come insieme di valori, di saperi, di atteggiamenti, di mode, è entrata, a sua volta, in crisi: crisi irreversibile, causata dal venir meno dei fondamenti sui quali essa era nata e si era orgogliosamente sviluppata: vale a dire, la promessa di benessere, pace e felicità per tutti, sulle ali delle conquiste e delle realizzazioni tecnico-scientifiche. Uno stupido mito industrialista al quale hanno creduto in tanti, marxisti in testa; ma non la Chiesa, almeno fino al XIX secolo e al principio del XX. Sicché la Chiesa, che non si era compromessa con questa fallace promessa, e che anzi aveva messo in guardia contro di essa; e che non aveva aderito nemmeno all’altro grande mito della modernità, quello delle masse al potere, ma anzi lo aveva avversato, ribadendo la centralità della persona e la sua subordinazione alla regalità di Cristo, si trovava nelle condizioni ideali per ricominciare il discorso con gli uomini del XX secolo, là dove si era esaurito, o si stava esaurendo, il discorso della modernità. Invece le cose sono andate altrimenti. La mentalità moderna è entrata nella Chiesa e l’ha infettata proprio mente la cultura moderna stava tirando gli ultimi spasimi: paradosso della storia, un moribondo che contagia un vivo con il proprio morbo e lo trascina, a poca distanza da se stesso, nella medesima tomba. Se solo il clero avesse tenuto duro e resistito per qualche altro anno, avrebbe riportato una vittoria completa, perché le anime, deluse e orfane della modernità, cercavano disperatamente una nuova dimora, un nuovo dio al quale rivolgersi: e quello, verso la metà del Novecento, o poco dopo, sarebbe stato il momento perfetto per intercettare una tale rinnovata domanda di spiritualità, e per ricondurre all’ovile le pecorelle smarrite. Questa, che ora abbiamo delineato, non è solo la nostra opinione; è anche la diagnosi formulata da un filosofo dal quale tutto, praticamente, ci divide, e che non è neppure cattolico, né religioso: Gianni Vattimo. Voi preti, voi credenti, ha detto in sostanza, siete venuti meno al vostro ruolo proprio nel momento in cui potevate cogliere i frutti di una vittoria clamorosa, totale: invece avete voluto correre dietro alla mentalità moderna, avete voluto corteggiare ed inseguire le mode culturali e intellettuali della modernità. Così facendo, avete lasciato orfani, a loro volta, i vostri seguaci, e avete mancato un’occasione storica unica, irripetibile.

L’Impero della modernità, da parte sua, si è definito sempre meno come i vecchi imperi di tipo giuridico e territoriale, e sempre più come insieme di forze totalizzanti, finanziarie e tecnologiche, che agiscono, di volta in volta, dietro l’utile paravento (finché utile risulterà per loro) di una potenza politica, di uno Stato territoriale, sia pure sostanzialmente diverso da quelli del passato europeo: gli Stati Uniti d’America, nazione di emigranti, di schiavi negri e d’indigeni da eliminare, perché scomodi; nazione senza radici, senza identità, tenuta insieme solo da rapporti di convenienza materiale: una creazione della massoneria, talmente artificiale che i suoi confini, interni ed esterni, sono stati tracciati con la squadra e il compasso, sul reticolo dei meridiani e dei paralleli. Il perfetto regno della quantità di guénoniana memoria. Questo Impero, peraltro, ha cercato di darsi una qualche identità, al di sopra del caos delle razze e degli apporti che lo hanno formato e plasmato; e, in questa ricerca di una (impossibile, perché contraddittoria) identità, ha puntato quasi tutte le sue carte sul protestantesimo. Gli Stati Uniti sono qualcosa, anziché niente del tutto, perché il loro nucleo originario si riconosceva, e si riconosce, nell’ideologia protestante, mano a mano sganciata dalla sua iniziale matrice religiosa. Così, dall’idea di una nuova Terra Promessa per i cristiani non conformisti inglesi, emigrati in cerca di libertà (dalla Chiesa anglicana), beninteso esclusi i detestati papisti, si è passati all’idea, sempre più laica, ma rivestita di sovrastrutture mentali di tipo religioso, di una Terra Promessa destinata agli americani non da Dio, ma dal Destino, il quale ha stabilito che essa dominerà il mondo. Che, poi, questa ingenua pretesa laicista, materialista e utilitarista venisse surclassata dall’ideologia, molto più efficace e raffinata, proprio perché molto più segreta e pragmatica, di un’astuta minoranza, quella dei banchieri ebrei newyorkesi, anch’essi peraltro via via più liberi dalla loro originaria forma mentis religiosa e sempre più propensi all’adorazione del potere e del dio denaro, è un altro discorso, che richiederebbe un approfondimento a parte. Qui basterà osservare che le due cose, la costruzione dell’Impero americano e la costruzione, all’interno di esso, dell’impero finanziario dei banchieri, non sono in contraddizione, almeno per adesso, anzi, la seconda si è servita della prima per raggiungere i suoi scopi e i suoi obiettivi mondiali, e continuerà a farlo, sino a quando vi troverà la propria convenienza. Detto in parole più semplici: per il potere finanziario non è un problema servirsi di uno Stato che si identifica, emotivamente, se non ideologicamente, con il protestantesimo; e i protestanti sono abbastanza sciocchi da non vedere che, mentre escludono le altre confessioni dalle stanze del potere (al punto che l’unico presidente cattolico degli stati uniti, J. F. Kennedy, è stato assassinato), c’è una pseudo religione, quella dei banchieri, ossia la religione del denaro, che si serve di loro.

Ora, l’esito della seconda guerra mondiale ha portato i due poteri universali, la Chiesa cattolica e l’Impero americano, a contatto immediato, dopo che per parecchi decenni essi avevamo cercato di evitarsi, intuendo nell’altro il proprio avversario più pericoloso. Gli americani hanno preso Roma nel 1944 manu militari, peraltro presentandosi come liberatori, e facendo in modo di essere accreditati come tali; ma, di fatto, come invasori e conquistatori, nonché come distruttori del potere fascista, il quale aveva stretto con lei i Patti Lateranensi quindici anni prima, e aveva stabilito una coesistenza tutt’altro che svantaggiosa per la Chiesa. Quest’ultima, anzi, aveva iniziato quel processo di ricattolicizzazione del fascismo che, nel 1919, sarebbe sembrato impensabile, tanto che nel 1940 l’Italia fascista entrava in guerra come potenza cattolica e, in qualche modo, assertrice della visione cattolica del mondo, come già si era visto al tempo dell’intervento fascista in Spagna, dove i repubblicani rappresentavano l’ideologia atea e materialista e i franchisti, viceversa (come anche Salazar in Portogallo) i difensori della tradizione e, quindi, della religione cattolica. Questo schema, di una alleanza, o quanto meno di una convergenza, fra i movimenti politici di destra e il cattolicesimo, si era imposto, negli anni ’30 e ’40, come un fenomeno di portata addirittura europea: dalla Penisola Iberica di Franco e Salazar, alla Slovacchia di monsignor Tiso, alla Croazia di Ante Pavelic, al Belgio di Léon Degrelle e del rexismo, alla Francia di Charles Maurras e dell’Action Française, e alla Polonia dei generali nazionalisti, pareva che sarebbe divenuto la formula vincente del futuro, un modello da imitare per tutte le nazioni cattoliche e, forse, non solo per esse. Invece l’esito della seconda guerra mondiale aveva messo fuori gioco i fascismi e obbligato sulla difensiva le forze cattoliche conservatrici, ormai affette dalla sindrome dell’isolamento e dell’accerchiamento, strette nella tenaglia del marxismo ateo, che guadagnava terreno a vista d’occhio, con l’avanzare dei carri armati sovietici, e del capitalismo finanziario anglosassone, la cui ideologia semireligiosa era, e restava, il protestantesimo.

A partire dalla presa di Roma, nel giugno del 1944, Pio XII si trovò in una posizione difficile: nessuno gli rimproverava apertamente delle simpatie filotedesche (anche se alcuni lo pensavamo), però il fatto che la Città eterna fosse stata "liberata" dagli anglosassoni, che ne avevano cacciato i nazisti "pagani", metteva oggettivamene il cattolicesimo in una posizione, se non di sudditanza, di subalternità: se la Chiesa cattolica era di nuovo "libera", ciò lo si doveva a un esercito protestante. Naturalmente la realtà delle cose era ben diversa, perché i millantati "liberatori" erano i nemici di ieri e di sempre, quelli che sin dalla nascita dello Stato italiano avevano operato in ogni modo, ma soprattutto attraverso la massoneria, per creare ostacoli alla Chiesa e per promuovere una protestatantizzazione del popolo italiano, obiettivo allora irrealistico, e nondimeno tenacemente perseguito, al punto che i banchieri inglesi (e poi americani) vi avevano profuso grosse somme di denaro, come del resto fanno tutt’oggi nell’America latina. Arrivati sulle soglie del Vaticano da vincitori e da "liberatori" (anche se la Chiesa non ci teneva affatto a essere liberata dal fascismo, e vedeva perfettamente che la disfatta del fascismo era la fine dell’Italia e, quindi, una limitazione di manovra anche per lei), gli americani hanno ricominciato a tramare per protestantizzare la Chiesa cattolica, visto che i precedenti tentativi di abbatterla, tramite la massoneria (e la stessa casa Savoia) si erano rivelato infruttuosi. Contemporaneamente, la rapida diffusione in Italia dell’american way of life, specie negli anni della ricostruzione e del boom economico, andava un po’ nella stessa direzione, perché sganciava le masse cattoliche, a livello di etica personale, dalla Chiesa (come si vide coi referendum su divorzio e aborto, negli anni ’70), nel senso che la strada della laicizzazione e della secolarizzazione era proprio quella già percorsa dalle società protestanti, non solo negli Stati Uniti, ma anche nell’Europa centro-settentrionale, dove appariva sempre più chiaro che il protestantesimo era stato non una rinascita del sentimento religioso, ma la prima tappa di un processo di perdita della fede a vantaggio della ragione, della scienza e del progresso.

Nel 2013 la strategia imperiale americana sferra l’assalto decisivo, dopo che già il Concilio Vaticano II aveva preparato le condizioni perché ciò potesse avvenire, introducendo nella Chiesa una mentalità pluralista, basata sul principio (anticattolico) della libertà religiosa: Obama e la signora Clinton hanno costretto alle dimissioni Benedetto XVI e favorito l’elezione di un papa (sud)americano, con manifeste simpatie protestanti e insofferente della ‘vecchia’ ideologia cattolica. Un colpo decisivo, quindi, che corona la strategia di distruzione del cattolicesimo da parte dell’Impero. Il fatto è che, idealmente e spiritualmente, l’Impero americano è entrato da tempo nella fase della decadenza avanzata, pre-agonica: non ha più nulla da offrire, perché i popoli del Terzo Mondo vedono aumentare sempre più la loro miseria e quelli dell’Europa si accorgono, anche dal loro impoverimento progressivo di non aver nulla da sperare dal modello americano il cui benessere è basato sul presupposto dello sfruttamento di tutto il resto dell’umanità. Bergoglio e la neochiesa, pertanto, si son lasciati conquistare da un modello perdente, che ha mostrato tutti i suoi limiti e che è visto universalmente come la causa dei mali dell’economia mondiale. E non basta. La neochiesa ha introiettato anche un altro morbo, quello dell’altro Impero, caduto nella polvere poco meno di trent’anni fa, quello sovietico. La Chiesa è stata infettata largamente dall’ideologia marxista della lotta di classe, nobilitandola rozzamente con la formula della scelta preferenziale per i poveri e gli ultimi, a prezzo di una radicale manipolazione del Vangelo e, perciò, d’un vero e proprio tradimento verso se stessa e verso i fedeli. I cattolici progressisti, i Paglia, i Galantino, gli Spadaro, i Bianchi, i Melloni, i Tarquinio, possono andar fieri del loro operato: hanno svenduto il vero cattolicesimo in cambio di una "chiesa dei poveri" che è nata assemblando i cascami di due ideologie morte o moribonde: il comunismo ateo e materialista e la democrazia liberale al servizio del capitalismo di rapina. Altro che chiesa del futuro, questa è una mummia che viene dal passato e che, dopo aver mosso qualche passo, con tutte le sue bende, mentre gli stregoni pronunciano le parole magiche dell’evocazione, ricadrà nel suo sepolcro di pietra, per non uscirne più. Complimenti vivissimi a Bergoglio e ai cardinali massoni che l’hanno eletto e lo spalleggiano, proclamando la nuova dottrina radicale dei diritti civili, immigrazionista e omosessualista: se volevano ritardar la fine e guadagnare consensi, ammiccando alle mode del mondo, stanno ottenendo il risultato opposto, perché i cattolici non sanno più che farsene di una simile "chiesa". Ma forse il loro scopo era precisamente questo…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Biswajeet Mohanty from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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