
Io vi accuso
19 Giugno 2018
L’attacco alla famiglia parte da lontano
20 Giugno 2018La famiglia, il nucleo della società cristiana, di qualunque società a misura d’uomo, è da molto tempo sotto attacco, anche se tale attacco, subdolo e insidioso, solo da poco tempo si è fatto esplicito e si mostra per ciò che realmente è: non un tentativo di delegittimare questa o quella famiglia (la detestata famiglia borghese, per esempio, come si diceva negli anni ’60: ipocrita, autoritaria e repressiva), ma la famiglia in quanto tale. Per un intellettuale, uno scrittore, un filosofo, un pedagogista, i quali, per caso, ne parlano bene, la stimano, la difendono, ce ne sono dieci, venti, trenta, che si servono dei media per dire e ribadire incessantemente il contrario, che tuonano contro di essa, che l’additano al pubblico disprezzo, alla più profonda esecrazione; e la stessa proporzione si trova fra i professori, i registi di cinema e teatro, i cantanti, i sociologi, gli psicologi, e… i preti. Sissignori: anche i preti progressisti e di sinistra si sono uniti al coro, nella loro maniera perfida e sleale: ad esempio, non pigliandosela direttamente con la famiglia, in quanto sacra istituzione (e ci mancherebbe altro), però tentando di parificare ad essa "altre" famiglie, o comunque di legittimarle, magari anche per via sacramentale, a cominciare dalle cosiddette famiglie arcobaleno, cioè quelle formate da una coppia di omosessuali e da un certo numero di bambini variamente ottenuti, acquistati (con la pratica dell’utero in affitto) o adottati. A parte l’inqualificabile sconcio teologico, perché ciò equivale a chiamare Dio a garante e patrono del peccato contro natura, per giunta stabilizzato, istituzionalizzato e magnificato, con la scusa che l’amore è tutto e che dove c’è amore, c’è famiglia, codesti serpenti velenosi travestiti da preti seminano una immensa confusione sul piano pastorale e su quello morale, e contribuiscono al discredito e al deprezzamento della vera e della sola famiglia degna di essere chiamata e riconosciuta come tale, perché se una famiglia arcobaleno ha la stessa dignità di una famiglia formata da un uomo e una donna che si amano e che desiderano trasmettere la vita, sotto la protezione e con l’aiuto di Dio, allora tanto vale confessare che la Chiesa, fino ad oggi, e per quasi duemila anni, parlando di matrimonio ha soltanto scherzato; che tutto è grazia, anche il peccato, e che tutto è sacramento, anche la sozzura; ma, arrivati a questo punto, a che scopo credere ancora nella Chiesa, e a che scopo unirsi in matrimonio davanti all’altare, facendo una solenne promessa di fedeltà e dedizione? Guarda caso, nella legge Cirinnà le libere unioni sono equiparate in molti punti al matrimonio vero e proprio, però con una significativa differenza: che non si fa più menzione del dovere della fedeltà. Una strana dimenticanza o una franca ammissione del vero obiettivo: scardinare l’idea stessa di coppia e di famiglia, tramite la legalizzazione e la normalizzazione dell’infedeltà, via privilegiata per istituzionalizzare la lussuria e la promiscuità?
Prendiamo il caso di don Fabio Corazzina, un prete di Brescia, parroco di Santa Maria in Silva, che fa molto parlare di sé, andando in televisione, anche sulle reti nazionali, dove parla a tu per tu e con molta disinvoltura, per non dire con petulanza e presunzione, con persone che si sono costruite una autorevolezza dopo decenni di lavoro, per esempio col filosofo Stefano Zecchi o con il critico d’arte Vittorio Sgarbi. Inoltre, rilascia moltissime interviste ai giornali e ha postato una gran quantità di video in rete, al punto che lo si potrebbe definire, come oggi usa, "virale" (noi ne abbiamo contati circa sessanta, ma è probabile che ce ne siano anche di più). Naturalmente si è occupata di lui, incensandolo, anche Famiglia Cristiana, edizione online, con una photogallery di ben venti pose diverse; il tutto sotto il titolo: Don Fabio: la sua giornata tra sport, catechesi e pomeriggio in oratorio. Costui è in prima linea sia sul fronte dell’accoglienza, come la chiamano loro, ai cosiddetti profughi (il 93% dei quali sono, invece, dei bugiardi che tentano di spacciarsi per profughi senza esserlo, secondo i dati ufficiali del Viminale), sia su quello della inclusione, sempre come la chiamano loro, non delle persone, il che è fuori discussione, ma delle coppie omosessuali, dicendo che spera di veder arrivare il momento in cui, come prete, le potrà sposare anch’esse, come tutte le altre. Per dare un’idea del suo stile, nel novembre del 2016 polemizzò duramente con il senatore Gasparri, di Forza Italia, negli studi di La7, sul tema dei migranti: al politico, che sosteneva la necessità di "aiutarli a casa loro", rispose: Come si permette? La carità è una cosa seria. E di questa cosa seria (ma "carità" e accoglienza di centinaia di migliaia di persone, stabilita ed imposta per volontà politica, sono la stessa cosa?) lui e quelli come lui, come è noto, ritengono di avere il copyright, e guai se qualcun altro, che ha opinioni diverse, si permette di esprimerle. Degni figli della cultura del Sessantotto, proibito proibire, eccetera, eccetera, costoro non ammettono altra giustizia, altra verità, altra dignità, che la propria; è assiomatico, per loro, che chi ha idee diverse su migranti e coppie gay, non merita nemmeno di aprir la bocca, non gli dovrebbe essere permesso, perché sui temi seri solo le persone serie hanno il diritto di parlare, e quelli, non c’è il minimo dubbio in proposito, persone serie non lo sono, visto che nutrono dei dubbi sia sul fatto che sia giusto e doveroso far entrare in Italia masse illimitate di stranieri a (falso) titolo di profughi, sia celebrare le unioni civili, e forse anche i "matrimoni", delle coppie omofile (perché a noi, che siamo all’antica, la parola gay non piace ed evitiamo di usarla: significa "allegro", e a noi non pare che vi sia qualcosa di allegro nella condizione di quelle persone, meno ancora se pretendono di formare delle "coppie" riconosciute dalla legge, fatto salvo, come stabilisce la legge Cirinnà, l’antiquato e obsoleto dovere di osservare la fedeltà al proprio partner). Peraltro, don Corazzina non è favorevole solo alle unioni omofile, ma anche all’adozione di bambini da parte delle coppie omofile, e lo dice anche in chiesa, dall’alto dell’ambone. E che diamine, è più che giusto, date le premesse: non si può mica essere "accoglienti" solo a metà: le unioni sì, e le adozioni no? Se quelle omofile sono coppie con pari dignità delle altre, per quale mai ragione non potrebbero anche allevare dei bambini? Come sempre, e come è tipico della cultura laicista, secolarizzata e irreligiosa, il punto di vista esclusivo che viene adottato è quello dei "diritti" della persona, ma della persona che quei diritti li pretende; non certo del bambino, del cui diritto a crescere in una famiglia sana e normale non si fa cenno, anche perché, se lo si facesse, si metterebbe in dubbio la sanità e la normalità delle famiglie "arcobaleno", e allora addio coerenza…
Nel corso di una intervista a Brescia Today, quasi tre anni fa, il 5 novembre 2015, a proposito delle unioni omosessuali (cfr. http://www.bresciatoday.it/cronaca/don-corazzina-brescia-matrimoni-gay.html) dichiarava:
La visione del matrimonio come unione di uomo e donna per generare è da tutelare, ma non mi metto nelle condizioni di chiudere le porte in faccia a nessuno. Non bisogna essere fondamentalisti ed integralisti ed incapaci di vedere la vita della gente. Non si deve commettere l’errore di erigere dei muri. Tutti siamo chiamati a superare i confini e ad accogliere, a tenere le porte aperte in un continuo confronto con il Vangelo. La Chiesa che trasforma i confini in muri non è la mia Chiesa, è quella contro la quale ho lottato e continuerò a lottare. Credo che lo Stato debba riconoscere le unioni civili, anche quelle tra omosessuali, perché tali coppie devono essere tutelate.Estendendo i diritti (e i doveri pure) e la tutela ad altre forme di famiglie non si toglie niente alla famiglia tradizionale e non si attacca la sua dignità. Detto più concretamente: un comune che si impegna per la tutela dei diritti degli uni e contro la loro discriminazione, non per questo abbandona i sui doveri e il suo impegno verso gli altri. Ma non deve essere chiesto alla Chiesa di riconoscerle."
E nel corso della trasmissione televisiva Tagadà, il programma pomeridiano di La7 condotto dalla giornalista Tiziana Panella, ne febbraio 2016, dichiarava testualmente:
Anche una coppia omosessuale ha la sua dignità familiare. Perché la vera dignità è nella vita delle persone, non nei dogmi che butano addosso alla vita delle persone; con tutto rispetto per il patrimonio della tradizione cattolica [chissà se qualcuno gli ha mai spiegato che quella cattolica non è una tradizione, ma è la Tradizione, e che, essendo di origine divina, nessuno ha il potere di cambiarne anche solo una virgola].
Dunque, secondo lui, la vera dignità è nella vita delle persone, non nei dogmi. Avete capito bene? Quindi "la vita delle persone" è sinonimo di dignità, quale che sia codesta vita. Un delinquente, un pedofilo, un assassino, un falsario, un usuraio, sono dignitosi, perché quella è la loro vera vita. Come logica, non fa una grinza. E non si dica che stiamo estremizzando le sue parole e che accostare l’omosessualità alla delinquenza è, di per sé, una intollerabile forzatura; noi non diciamo che essere omosessuali o essere degli assassini è la stessa cosa: diciamo che, se la dignità è nella vita delle persone, allora va bene tutto, purché sia "vita", cioè purché sia reale. Ma la morale cristiana, in tutto questo discorso, dove è andata a finire? Sparita, liquefatta. Peggio: ridotta a "dogma", cioè a qualcosa di coercitivo, di sgradevole, di autoritario; e, cosa più grave di tutte, lontano dalla vita, libresco, astratto. E questa morale, ridotta a un insieme di dogmi, viene "buttata addosso" alle persone, poverine, schiacciandole, offendendole, umiliandole. Siamo sempre lì: al proibito proibire di sessantottesca memoria. Il funesto ’68, a cinquant’anni di distanza, non ha ancora finito di provocare disastri: dopo averci regalato un paio di generazioni di professori asini e saccenti, di medici incapaci e presuntuosi, di politici parolai e velleitari, di scrittori e opinionisti cialtroni e demagoghi, di filosofi e sociologi col ditino sempre alzato per fare le pulci agli altri, ci ha regalato anche un paio di generazioni di preti che rincorrono i gusti (e i vizi) del mondo, che si scagliano contro la durezza dei "dogmi", cioè contro il vero Vangelo, per fabbricare, a loro uso e consumo, e ad uso e consumo di tutti i peccatori che non hanno alcuna voglia di pentirsi, perché lo trovano troppo faticoso, un nuovo vangelo di loro conio e di loro invenzione, nel quale si afferma esattamente il contrario di quel che diceva Gesù Cristo. Al suo: Vai, e non peccare più, rivolto alla donna adultera, essi hanno sostituito una nuova regola di vita: Vai e continua a peccare, se così ti piace e se non puoi farne a meno (vedi il capitolo ottavo di Amoris laetitia); vai e pecca a tuo piacere, se senti che quella è la tua chiamata, che quella è la tua vita; vai e pecca impunemente, senza un pensiero di rammarico o di pentimento, anzi, stai sicuro che il buon Dio ti capisce, ti approva e ti assolve, anche se certi preti all’antica, brutti e cattivi, gonfi di egoismo e d’ipocrisia, non sono disposti né a capirti, né ad assolverti. Ma tu sta’ tranquillo, amico mio: la nuova chiesa, la chiesa dei neopreti modernisti e progressisti, è di manica ben più larga di costoro: ed è questa la nuova chiesa che ti ama e ti accoglie così come sei, cioè peccatore niente affatto intenzionato a non peccare più. È questa la nuova chiesa del terzo millennio, misericordiosa e accogliente, inclusiva e solidale: la chiesa di papa Francesco. Naturalmente, quelli come don Corazzina non pensano affatto di aver tradito il vero Vangelo di Gesù Cristo; al contrario, sono arciconvinti di averlo interpretato nella maniera giusta — loro e solo loro, dopo millenovecento anni di lettura sbagliata da parte di personaggi secondari come san Paolo, san Gerolamo, sant’Ambrogio, sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino, e dopo qualcosa come duecentosessanta papi, tanti ce ne sono stati fino al Concilio Vaticano II, che, per costoro, è l’inizio della vera chiesa, una seconda Pentecoste addirittura, concetto in sé balordo, per non dire blasfemo, dato che la Pentecoste è una ed una sola, e parlare di seconda Pentecoste è lo stesso che parlare di una seconda Incarnazione o di una seconda Passione o di una seconda Resurrezione: una eresia teologica grande quanto una casa.
Ecco: siamo arrivati al cuore della strategia di attacco alla famiglia: l’individualismo esasperato, intessuto di edonismo e narcisismo. Le persone vogliono essere libere di perseguire il proprio comodo, di cercare il proprio piacere; non vogliono più sentire rompiscatole che parlano loro di doveri e sacrifici; e vogliono, pretendono anche un "cristianesimo" fatto su misura per loro: dove, come dice il cardinale Gualtiero Bassetti, al centro del discorso ci sia la centralità della persona umana. Individualismo, appunto: il frutto velenoso della cultura liberale (di cui il marxismo stato solo una variante). E il bello è che questi neopreti hanno sempre in bocca la comunità, lo stare insieme, il condividere; e non vedono che il loro ideale è un superindividualismo egoista, frutto malato, ma coerente, di quella società aperta, ossia cinica e viziosa, che a parole criticano sempre. La loro involuzione, non solo ideologica, ma anche umana, è simile e parallela a quella della sinistra politica: come quella, sono passati dallo stare dalla parte dei "poveri", allo stare dalla parte di vuol farsi i c… suoi. Una coppia di sodomiti ha voglia di procurarsi un bambino e crescerlo come due bravi papà? Nessun problema: ne hanno ogni diritto. Ma davvero questo è stare col più debole?
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash