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Quello che c’è al fondo

Che cosa c’è al fondo, ma al fondo vero e proprio, di un determinato essere umano? Per saperlo, evidentemente, bisogna che cadano tutti i veli, dal primo all’ultimo: solo così si arriva a vedere, o almeno a intravedere, il fondo e a scoprire di che pasta si è fatti. Se resta al suo posto anche un solo velo, se rimane sul viso anche una sola maschera, non lo vedremo e non lo sapremo mai; perché la tendenza istintiva di ciascuno è quella di coprirsi, e così di nascondersi, di camuffarsi e di passare per ciò non è. Lo fanno tutti, ma specialmente le persone da poco; e la società di massa è la società delle persone da poco che si contano, misurano la loro forza e impongono le loro regole a tutti e ovunque, tagliando le vette, colmando le buche, in modo da ottenere una uniformità apparente, che esse chiamano democrazia, mentre è solo il totalitarismo della mediocrità. Ma come si fa a lasciar cadere tutti i veli che coprono le persone, in modo da poterle vedere e giudicare per ciò che realmente sono, e non per ciò che tentano di apparire?

Immaginiamo che ogni essere umano sia simile a un carciofo. Il carciofo è avvolto da un fitto strato di foglie: per arrivare al cuore, alla parte tenera, bisogna levarle una dopo l’altra. Esiste un modo per sfogliare un essere umano, come si sfoglia una piata di carciofo? Sì: esiste. O meglio, non si tratta di sfogliare, ma di osservare quel che accade quando il vento della vita soffia con più forza, e comincia a strappar via le foglie che ci avvolgono. Ecco che vola via una prima foglia: è l’insieme dell’educazione ricevuta, ma che non ha fatto presa sino alle radici della personalità; per essere più esatti: è tutto quel che gli altri hanno cercato di appiccicare, ma che non ha trovato il terreno adatto. Succede che questa foglia sia strappata dal vento quando si verifica un brusco, radicale cambiamento di situazioni e di ambiente; quando le vecchie regole, di colpo, non valgono più. Ad esempio, quando uno si ammala seriamente, e viene ricoverato per una lunga degenza; oppure quando viene condannato e finisce in prigione. Tutto quel che prima era utile ed efficace, adesso non serve a nulla; bisogna ripartire da zero. Poi, via una seconda foglia: è l’influenza affettiva dei parenti e degli amici più intimi. Questa foglia può "saltare" per effetto di una esperienza sconvolgente, decisiva, che rimette totalmente in discussione quel che prima sembrava chiaro e certo. Per una ragazza o un ragazzo, potrebbe essere una imperiosa vocazione religiosa, una chiamata alla vita del convento, magari del convento di clausura. Basta amici, basta feste, basta vita sociale: solo Dio, la regola dell’ordine religioso e la preghiera. Poi, via un’altra foglia ancora: quella della cultura, delle credenze, delle cose imparate a scuola. Succede quando ci si trova catapultati in un nuovo ordine di cose, dove i libri non contano più. Un tempo, poteva essere l’esperienza del servizio militare; oppure, quella di una esperienza di volontariato internazionale, via da casa per due o tre anni come minimo, presso qualche popolazione affatto sconosciuta. Oppure può essere quel che succede quando si perde il lavoro, quando si emigra, quando si fa naufragio, materialmente o spiritualmente, in un’isola deserta, non segnata sulle mappe, o, perlomeno, non segnata sulle proprie mappe concettuali. Per uno studente, può essere la dura esperienza del lavoro manuale, fra gente rozza, che non ha mai letto libri e che vive la vita come una serie di esperienze concrete, immediate, con pochissimo spazio per la riflessione o la meditazione, dove quel che conta è avere buona salute, riflessi pronti e muscoli allenati. E poi, via un’altra foglia ancora: quella delle abitudini, materiali e mentali; quella della prevedibilità, della sicurezza, del dare per scontate le cose; quella che si basa su calcoli, previsioni ragionevoli, pianificazione e organizzazione. Succede quando si è costretti a improvvisare, a gettarsi, a rischiare il tutto per tutto. Quando una forza più grande di noi ci afferra e ci getta avanti, alla disperata, correndo all’impazzata verso una meta odiata e amata, o tenuta, ma che ci attrae, in qualche maniera misteriosa e apparentemente inspiegabile. Oppure quando ci si vede costretti a buttarsi per necessità, per istinto di sopravvivenza, come quando la casa prende fuoco e bisogna saltare dalla finestra, o rassegnarsi a bruciar vivi.

Una persona sopravvissuta a un terremoto, o a una guerra, che ha perduto casa, parenti, amici, lavoro, tutto, è simile a un carciofo al quale sono stare strappate via tutte le foglie. È rimasta nuda nella sua essenza, nella sua verità: ora possiamo vederla come realmente è, senza veli e senza finzioni. Se maledice la vita se continua a benedirla; se sa amare o soltanto odiare; se vuol fare la vittima o rimboccarsi le maniche; se crede ancora al futuro, oppure no; se l’amicizia, l’amore, il dovere, Dio, sono per lei soltanto delle vuote formule, oppure delle cose reali e concrete, che riempiono il suo orizzonte: tutto questo si può vedere solo adesso, dopo una guerra o un terremoto. Può anche trattarsi di una guerra di un terremoto metaforici: vi sono eventi, nella vita, che hanno la stesa forza devastante di una guerra e di un terremoto; per esempio, un disastro sentimentale, il tradimento o l’abbandono della persona amata, il crollo dei propri sogni, la caduta delle istituzioni che si credevano perenni, e sulle quali si faceva affidamento. Un marito che idolatrava sua moglie, che la credeva una nobile natura spirituale, generosa e altruista, e che viene da lei abbandonato, dopo vent’anni di matrimonio, per un amante giovanissimo e insulso, ma fisicamente più bello, è messo a nudo con la stessa forza di un terremoto che distrugge la casa. Un magistrato che credeva ciecamente alla nobiltà della sua professione, che ha sempre servito spassionatamente la giustizia, con fatica e pericoli d’ogni sorta, e che viene posto a tu per tu con il cinismo del potere, che viene ricattato o che subisce uno scandaloso tentativo di corruzione proprio dai suoi superiori, che egli credeva integerrimi, è anch’egli un uomo che viene spietatamente messo a nudo: il suo mondo crolla da un giorno all’altro, e potrà diventare un disperato oppure rinascere e ricominciare daccapo, ma con più consapevolezza e maturità di prima. Potremmo fare tanti altri esempi, ma crediamo di esserci spiegati a sufficienza.

Ebbene, c’è una grossa categoria di persone le quali, oggi, si trovano esattamente in questa situazione psicologica e spirituale: di vedersi crollare addosso il loro mondo, la loro casa, le loro certezze, tutte le cose più care, alle quali avevano legato indissolubilmente la loro esistenza, la loro speranza, il significato più intimo della loro vita. Stiamo parlando delle persone religiose, dei cattolici, quelli — beninteso — per i quali la fede in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, non è un qualcosa di esteriore, di superficiale, di convenzionale, ma è una ragione di vita, senza la quale non potrebbero nemmeno alzarsi dal letto la mattina, senza provare noia e disgusto di ogni cosa. Ebbene: i cattolici, oggi, coloro che vivono in profondità la loro fede, che prendono sul serio il Vangelo e non si sono mai sognati di barare con Dio, offrendogli poco in cambio di molto, tutti costoro si trovano nella condizione di un uomo che abbia perduto, di colpo, casa, averi, famiglia, amici, a causa di un terremoto o di un bombardamento, che ha spazzato via dalla faccia della terra la sua casa e, con essa, tutta la sua vita precedente. A partire dal Concilio Vaticano II, in maniera strisciante e relativamente cauta, poi sempre più un fratta, sempre più apertamente, specie dopo l’abdicazione di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco, i cattolici delle ultime generazioni si son visti crollare il mondo addosso, e se ne sono accorti: alcuni assai tardi, ma, proprio per questo, in maniera ancor più traumatica e dolorosa. Per una persona intimamente religiosa, scoprire che la Chiesa nella quale si è nati e si è stati battezzati, la Chiesa che ci ha accompagnati in tutte le tappe della vita, che ci ha fornito i valori e gli strumenti intellettuali e morali per fronteggiare le battaglie di cui l’esistenza è fatta, non c’è più, è stata soffocata (in gran parte, se non del tutto) da una falsa chiesa eretica e apostatica, che parla con lingua biforcuta, che predica massime menzognere, che intrattiene le folle e strappa l’applauso con atteggiamenti e affermazioni demagogici, contraddicendo frontalmente e platealmente lo spirito e la lettera del vero Vangelo: fare una scoperta del genere, sia che ciò avvenga per gradi, poco a poco, sia che si presenti come un’illuminazione improvvisa ma, purtroppo, chiarissima e inequivocabile, è un’esperienza sommamente traumatica; diciamo pure che è un’esperienza tragica, forse la più tragica che si possa fare. È come scoprire che la propria madre, la propria mamma adorata, della quale si è pensato sempre ogni bene possibile, e nella quale si è riposta ciecamente ogni fiducia, è, in realtà, una creatura egoista e meschina, interessata solo a manipolare gli altri, a servirsi di loro per il proprio interesse, a perseguire il suo vantaggio senza curarsi di niente e di nessuno. Un figlio che facesse tale scoperta, resterebbe scioccato; la stessa cosa accade ora a milioni e milioni di credenti.

Certo, per la maggioranza non è così. La maggioranza non si accorge di nulla, o piuttosto non vuole accorgersene; è più comodo e più rassicurante fare come lo struzzo, nascondere la testa o voltarla dall’altra parte, e sperare che la normalità ritorni al più presto, così, da se stessa, in qualche modo, come ci si aspetta che dopo un periodo di maltempo torni il sereno. Però la verità è che nulla tornerà come prima e che la Chiesa non rientrerà nei suoi binari, non riprenderà il posto che occupava prima nelle coscienza e nella vita delle persone, se non vi sarà una formidabile mobilitazione dei cristiani, la cui premessa necessaria è la presa di coscienza di quel che sta accadendo. E quel che sta accadendo è un tradimento senza precedenti, perfido perché intenzionale, del vero messaggio di Gesù Cristo, per trasformarlo in qualche cosa che riesca gradito allo spirito del mondo: cioè la sua negazione totale, ma presentata, astutamente, non come un rifiuto, bensì come un adattamento. Quando mai Cristo e il mondo hanno parlato, o potrebbero parlare, la stessa lingua? Aver scordato questa semplicissima verità, del resto tante volte ribadita da Gesù Cristo, nonché dagli Apostoli, dai Padri della Chiesa, dal Magistero, dai Santi e dai teologi (quelli veri: non quelli farlocchi del post-concilio) ci ha portati alla situazione attuale: è come se i medici si fossero scordati della regola numero uno della Scuola salernitana: Primum, non nocere; o si fossero dimenticati il giuramento d’Ippocrate: difendere la vita innanzitutto. I cristiani che si sono scordati le parole di Gesù: Non si possono servire due padroni, Dio e mammona, sono quelli che hanno reso possibile la scalata vittoriosa della massoneria ecclesiastica e la conquista del vertice della Chiesa, con tutti i suoi apparati di potere e di propaganda, da parte di un pugno di cardinali e di vescovi che hanno perso la fede in Gesù Cristo, ma non hanno certo perso la fede nei poteri di questo mondo: il successo, il denaro, il piacere; una cricca di monsignori corrotti, viziosi, avidi e sodomiti, alcuni anche satanisti, accomunati da una sfrenata ambizione e da un narcisismo patologico, smaniosi di essere acclamati per il loro progressismo, per la loro "umanità", per la loro "comprensione" dei problemi dell’uomo moderno, cioè, in altre parole, per aver condotto la Chiesa alla disfatta e alla capitolazione ignominiosa davanti ai poteri del mondo (e intendiamo anche poteri politici ed economici, dal B’nai B’rith a Soros, e non solo poteri in senso allegorico e morale). Perché non vi è dubbio che il regista ultimo di questa operazione non è una creatura di questo mondo, ma il diavolo in persona; però è altrettanto vero che anche il diavolo, per realizzare i suoi tenebrosi disegni, ha bisogno di schiavi che lavorino per lui e che facciano il lavoro sporco. Alcuni li prende all’amo facendo leva sulle loro passioni disordinate, sui loro vizi, sulla loro mancanza di fede; altri li prende all’amo facendo leva sul loro orgoglio intellettuale, sulla loro presunzione, sulla loro pretesa di sapere di più, di aver capito di più, di essere i "veri" interpreti del Vangelo: e tutti li manovra e li manipola come poveri idioti, servendosi dell’ingenuità degli uni e della superbia degli altri, ma sempre lasciando intravedere vantaggi immediati: comodità, licenze, permissivismo, tolleranza nei confronti di ciò che è male davanti a Dio. Ai divorziati, fa intravedere un facile perdono; ai sodomiti, assicura che Dio li vuol vedere felicemente "sposati"; agli ambiziosi, suggerisce che la loro ambizione è al servizio d’una nobile causa; agli avidi, dà a intendere che la loro avidità serve a finanziare le giuste necessità della Chiesa. Per tutti ha una parola rassicurante, a tutti fa credere la cosa più facile da credere, la meno impegnativa, quella che risparmia fatiche e sacrifici. Da cosa lo si riconosce, il diavolo che si traveste da uomo di Dio? Dal fatto che non parla mai della cosa essenziale: la Croce. Non parla del peccato e della grazia; non parla della morte e della vita eterna; non parla nemmeno del bene e del male, ma incoraggia il diffondersi di una mentalità relativista e soggettivista, che vada d’accordo con la mentalità di questo mondo. Quando, per esempio, si vede il cardinale Nichols ringraziare i medici e i giudici, e assicurare che tutto è stato fatto per il bene del piccolo Alfie Evans; e quando ci si prende il disturbo di andare a vedere come si è svolta la degenza del piccolo, e con quanta lucidità, perseveranza e malafede lo si è voluto far morire, adottando tutte le strategie possibili perché ciò accadesse, ma dissimulando le vere intenzioni di medici e magistrati: quando si odono, dicevamo, le scandalose parole del cardinale Nichols, ecco, allora si è in presenza d’un buon esempio di ciò che abbiamo detto: di come il diavolo sa confondere, illudere e strumentalizzare coloro dei quali ha deciso di servirsi per gettare il disordine nelle anime e sovvertire il Vangelo da cima a fono, introducendo un "vangelo" che non è certo quello di Gesù Cristo, ma semmai il suo

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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