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I vivi e i morti

Diciamo che una persona è realmente viva quando si trova in una disposizione di apertura, di comprensione e di sostegno nei confronti del fenomeno vita, in tutti i suoi svariati aspetti e manifestazioni. Inoltre, è vivo chi conserva e alimenta nel suo cuore la dimensione dalla speranza, intesa soprattutto come virtù teologale: la certezza del compimento delle verità credute per fede. Attenzione: la speranza è tutt’altra cosa dall’aspettazione; la prima ha la sua radice nel soprannaturale, è un dono che viene da Dio e illumina la vita umana dall’alto; la seconda è una cosa tutta umana, una convinzione che può degenerare in fanatismo, in caparbietà, in presunzione, fino a collidere con il principio di realtà e condurre ad esiti assai vicini alla schizofrenia. La vera speranza, l’uomo non può darsela da sé; se pretende di farlo, la sua non è speranza, ma una sorta di auto-illusione, che lo segrega in un mondo fittizio, popolato da sogni e allucinazioni. Infine, terzo elemento, la persona viva è capace di umiltà, di stupore e di benevolenza davanti al reale; non si esalta e non si abbatte a ogni soffio di vento; è autentica, perché è se stessa, ma non perché si accetta "a prescindere", non perché si ritiene meravigliosa così come’è, e tanto meno pensa che gli altri la debbano accettare senz’altro, a scatola chiusa, anche coi suoi difetti più insopportabili e con l’ostentazione delle sue manchevolezze, ma, al contrario, perché essa è disposta a lavorare su di sé, pazientemente, quotidianamente, imparando da chi è migliore, accettando il confronto con la realtà, mettendosi in discussione ogni volta che nota una discrepanza fra ciò che dovrebbe essere e ciò che effettivamente è. In breve, la persona viva è conscia dei propri limiti, desidera migliorarsi, sa che la vita ci presenta ogni giorno possibilità di crescita e di perfezionamento; e sa che solo gli arroganti, i pigri, i lussuriosi e gli avidi non li colgono mai, perché sono troppo impegnati a compiacere i propri vizi e a soddisfare i propri capricci e le proprie manie sterili e distruttive. Semplificando un po’, ma neanche troppo, potremmo dire che la persona viva è quella che cerca le soluzioni, che si accosta ai problemi con spirito costruttivo, che desidera collaborare con la propria parte migliore, con il prossimo e con Dio; mentre è morto colui che si pone sempre in un atteggiamento di negazione, di chiusura, di saccenteria, che evidenzia spirito polemico e tendenza alla critica sterile, che non mira alla soluzione dei problemi ma, semmai, a crearne di sempre nuovi e sempre più irrisolvibili, perché alimentati dalla metastasi dell’ego.

L’indizio rivelatore è lo sguardo: un minimo di capacità d’osservazione ci rivela, di primo acchito, se abbiamo a che fare con dei vivi o con dei morti. Un altro indizio è la presenza, o l’assenza, della malignità caratteriale. È maligno l’atteggiamento di chi gode costantemente a porre ostacoli, a intralciare il cammino altrui, a rendergli le cose difficili: non perché voglia affermare e realizzare se stesso, ma perché, non aspettandosi più nulla di buono, vuole che nulla di buono accada agli altri. Per esempio, è vivo un papà che sa raccontare le fiabe ai suoi bambini, perché solo una persona viva sa fare una cosa del genere; mentre dimostra di essere morto, di essere solamente un cadavere ambulante, l’adulto che gode a distruggere le fiabe dei bambini, ad esempio dicendo loro che Babbo Natale non esiste, e che a portargli i regali, nella notte santa, sono i suoi genitori. Al fondo della malignità dei morti viventi c’è la disperazione, ossia, appunto, la morte della speranza, perché la speranza è la caratteristica della persona viva. Nella vita, non esiste la neutralità o l’indifferenza (e neanche la pretesa divina indifferenza di cui parla a vanvera Eugenio Montale): o si ha nel cuore la speranza e si è vivi, o non la si ha e si è morti, perché dove manca la speranza regna la disperazione, anche se è possibile che molte perone non sappiano di essere disperate, così come non sanno, del resto, di essere morte. È anzi particolarmente terribile la condizione dei disperati che ignorano di esserlo e sfogano nella malignità gratuita la loro cupa angoscia; se ne avessero una chiara coscienza, potrebbero forse compiere qualche movimento per uscire dal luogo infernale in cui si sono cacciati, mentre, ignorandolo, niente e nessuno li potrà salvare dal loro tragico stato.

I morti (viventi) sono attratti da tutto ciò che sa di morte, in particolare dal denaro: sono banchieri, finanzieri, speculatori, usurai; se artisti, scrittori o poeti, sono ossessivamente attratti dal brutto, dal morboso, dal decadente, da ciò che sa di decomposizione; se tecnici, adorano le macchine, l’ordine e l’efficienza disumani, la produttività slegata da qualsiasi contenuto di umanità, compreso il lavoro in quanto attività dell’uomo; se magistrati, provano una passione particolare per il cavillo, per il codicillo, per il paradosso legale che rovescia lo spirito della legge a favore di chi la viola o non di chi dovrebbe esserne difeso; se militari o poliziotti, si compiacciono dell’uso della forza fine a se stesso; se padri o madri di famiglia, riversano sui figli la loro frustrazione, le loro ossessioni, li manipolano, li trasformano in duplicati di sé, li rinchiudono in una gabbia di ricatti e di pretese esorbitanti; se amanti, vedono nella persona amata un corpo da possedere, un’anima da soggiogare, uno schiavo o una schiava che deve essere controllato, spiato, dominato, e che mai può permettersi un pensiero autonomo, un comportamento indipendente, meno che meno la decisione di andarsene. Fra quei morti per definizione che sono gli ambiziosi compulsivi e narcisisti, due categorie spiccano in modo particolare, quelli che intraprendono la carriera politica e quelli che seguono la carriera ecclesiastica: non che tutti i parlamentai e i monsignori siano dei morti, ma vi è un’alta probabilità che lo siano, proprio per le caratteristiche che tali carriere presentano, non nel mondo ideale delle cose come dovrebbero essere (perché è difficile immaginare qualcosa di più bello che dedicare la propria vita al servizio delle istituzioni pubbliche o al servizio della Chiesa e delle anime), ma nel mondo reale, dove le cose sono ciò che sono, cioè dominate dai vizi e dai limiti della natura umana, che riducono tutto a questioni di potere e di denaro (e anche di sesso). I "politici" del bunga-bunga, con le loro escort e olgettine, e i monsignori delle orge segrete a base di droga e sesso gay, sono i più tipici esponenti di questo mondo di cadaveri ambiziosi che perseguono l’affermazione del loro io mortifero, nei palazzi del potere e in quelli del Vaticano. Peraltro, la distinzione fra le due cose è definitivamente venuta meno, anche ufficialmente, da quando il cardinale Parolin è stato accolto gloriosamente fra i partecipanti all’ultima riunione del Gruppo Bilderberg, segno eloquente dei tempi nuovi e della nuova "chiesa di Francesco"; e il trait-d’union fra le due carriere è, ancora e sempre, il mondo della finanza e delle banche d’affari, a metà strada fra massoneria, I.O.R., business dell’otto per mille, cooperative bianche per l’accoglienza ai migranti, finanziamenti occulti alle o.n.g. che traghettano volonterosamente i "naufraghi" in Italia, Soros & Rockefeller.

I più morti di tutti sono i seguaci delle ideologie morte, che si portano dietro, oltre al peso del loro cadavere, anche quello dell’ideologia con la quale si erano identificati. Questi sopravvissuti al naufragio non hanno gli strumenti intellettuali per comprendere quel che è loro accaduto, dato che non si erano accorti di nulla neppure al tempo in cui le loro ideologie andavano per la maggiore e parevano godere di ottima salute; tanto meno li possiedono ora, carichi come sono di risentimento per l’ingiusto destino che li ha detronizzati, emarginati e consegnati alla loro impotenza e irrilevanza. Si consolano pensando che la storia darà loro ragione, che essi rappresentano la società migliore, la vera civiltà, ecc., mentre quanti li hanno sostituti al potere non sono, ai loro occhi, che degli illegittimi, degli abusivi, dei soprannumerari, casualmente premiati dalla sorte, ma destinati a scivolare nel nulla, quando il mondo avrà ricuperato la propria lucidità e si sarà rimesso a girare dalla parte giusta. Per intanto, masticano la loro bile, inghiottono il loro disappunto e si sfogano a sparare a zero contro chi ha l’ingrato compito di porre rimedio, in qualche modo, ai disastri decennali da essi provocati; ma, avendo potuto disporre di una egemonia culturale pressoché ininterrotta, per due o tre generazioni, tutto passerà loro per la mente, tranne che fare un onesto bilancio della loro sconfitta e un equanime inventario di quel che essi hanno dato e di quello che hanno preso alla società. Pregustano, con perfido compiacimento, la soddisfazione di veder naufragare gli usurpatori, e sognano impossibili ritorni, circonfusi di gloria, dopo la prova temporanea del loro allontanamento dal potere, che essi immaginano di poter rivendicare, un domani, circonfusi della gloria dell’esilio,  se non  proprio della palma del martirio. Si aggirano per i corridoi con passo felpato, confabulano a gruppetti, vergognosi e superbi, come re straccioni che hanno perso il regno per una misteriosa congiura di palazzo, ma non dubitano che verrà il tempo dei galantuomini, e il mondo finalmente vedrà quanto essi avevano ragione, renderà loro gli onori dovuti e li ringrazierà per lo stoicismo pieno di dignità, con il quale hanno sopportato il tempo della prova iniqua.

Il caso dei morti cardinali e monsignori è, in parte, diverso. L’istituzione nella quale hanno fatto carriera è infinitamente più antica, più prudente  e più solenne, quindi il rischio di perdere poltrona e privilegi è quasi inesistente, e, comunque, è legato a dinamiche di tipo personale, a eventuali errori di tattica o di strategia, o, ancor più raramente, a imprudenze pastorali o ad incidenti di carattere privato, come farsi pizzicare in qualche osceno festino sodomitico. D’altra parte, in una Chiesa sempre più mondanizzata e laicizzata, come è quella del post-concilio, vigono delle dinamiche di fazione molto simili a quelle della vita politica: invece di guardare alla Parola perenne del Vangelo, tale chiesa si basa sulla parola transeunte di questo o quel pontefice, più o meno riformatore, più o meno rivoluzionario, per cui esiste la concreta possibilità di incrementare ed affrettare la propria carriera, se ci si schiera dalla parte "giusta", o di cadere in disgrazia e di venire silurati, se si fa la scelta "sbagliata", sempre, ben s’intende, rispetto al vento che tira in Vaticano, al seguito di questo o quel pontefice. Tuttavia, per definizione, la parola umana uccide, mentre la Parola divina vivifica: perciò, quanto più codesti monsignori in carriera si attaccano alle mode del mondo, e ostentano dialogo, apertura ed amicizia con il peccato e i peccatori impenitenti (divorzisti, abortisti, omosessualisti, ecc.), ovviamente riempiendosi la bocca di parole come accoglienza, inclusione, solidarietà, tanto più introiettano le tossine della putrefazione e tanto più diventano dei morti viventi, anche quando si fanno applaudire e complimentare da altri morti e mietono successi apparenti in mezzo a folle  morte o moribonde, alle quali, invece di dare la Parola divina, la sola che potrebbe rianimarle e spegnere la loro sete inestinguibile, prodigano la loro misera parola umana, astuta, calcolatrice, politica,  tradendo così la loro missione spirituale e religiosa, ingannando e fuorviando le anime e guadagnandosi definitivamente un posto d’onore fra i cadaveri eccellenti di una società agonizzante, mentre si caricano la coscienza del non invidiabile peso di aver voluto fare i furbi con Colui che legge nella profondità dei cuori e  non si lascia ingannare, come essi sono abituati a fare, dalle apparenze e dai comportamenti esteriori.

Resta da vere quel che è opportuno fare, come ci si debba regolare in un mondo cosiffatto, popolato di cadaveri che si credono persone vive e che spandono copiosamente il lezzo della loro corruzione. La prima cosa da fare è quella di evitarli, di starne alla larga, perché i vivi devono stare con i vivi e non con i morti: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Matteo, 8, 22). Oppure, come dice il padre Dante: e tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti (Inferno, III, 88-89). Stare in compagnia dei morti viventi non fa bene, né al corpo, né all’anima: come ammonisce anche Foscolo nei Sepolcri 142-45): Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, / decoro e mente al bello Italo regno, / nelle adulate reggie ha sepoltura / già vivo… A stare in compagnia dei morti, a respirare il fiato mortifero che esce dalle loro labbra esangui, l’aria pestilenziale che si esala intorno ad essi, si contrae la loro stessa malattia: la disperazione e il cinismo, che conducono alla morte. Ma in pratica, non basta evitare le persone fisiche; bisogna soprattutto tenersi lontani dal terreno di coltura che produce l’atmosfera di morte che grava sulla nostra società. Ci sono pensieri di morte, veicolati da una pessima filosofia; immagini di morte diffuse da un’arte imbastardita e degenerata (cinema e fotografia compresi); ci sono una poesia, una letteratura, una psicologia, una sociologia, una scienza, una tecnologia, un’economia che sono scaturite dall’inferno, e il cui scopo è trascinare con loro, negli abissi della dannazione, il maggior numero possibile di anime ignare, sprovvedute, annoiate e imprudenti. Si respira il gusto della morte e dei cadaveri perché non si ha nulla di meglio da fare, perché si è persa la capacità di apprezzare, lodare e ringraziare la vita, in tutte le sue manifestazioni. La politica e la legislazione che inseguono e corteggiano la morte, varando leggi a favore dell’aborto, dell’eutanasia, della droga facile, del divorzio rapido, delle unioni sodomitiche, scaturiscono da quest’odio per la vita e da questo cieco istinto di auto-annientamento, il vero cancro silenzioso che sta distruggendo la nostra società. A questo punto, bisogna anche saper riconoscere e smascherare i signori della morte: i falsi filantropi, falsi papi e cardinali, falsi politici e statisti, falsi intellettuali e uomini di cultura, falsi economisti e finanzieri, tutta gente che ha venduto l’anima al diavolo e vorrebbe trascinarci con sé all’inferno. Ma se loro hanno satana, con noi c’è Gesù Cristo…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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