
Fare il punto, per riprendere la rotta
13 Giugno 2018
Ma perché siamo diventati così?
14 Giugno 2018Disse una volta Gesù Cristo (Mc. 3, 24-25): Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. L’unità, la coesione, la concordia, sono valori indispensabili al buon funzionamento tanto di una nazione, quanto di una famiglia. È un concetto intuitivo, tanto semplice quanto naturale: o i membri di una comunità si impegnano seriamente ad andare d’accordo fra di loro, e si sostengono a vicenda, ed evitano di danneggiarsi inutilmente e frequentemente, oppure quella comunità finirà per andare in rovina, e nessun espediente artificiale varrà a conservarla a lungo. La regola, dunque, vale tanto per la vita politica, per gli Stati, per i partiti, per i sindacati, per le associazioni, per gli istituti pubblici e privati di qualsiasi genere e dimensione, quanto per quella della società minima e fondamentale, sulla quale poggiano tutte le altre: la famiglia. Parliamo, naturalmente, della sola famiglia che la storia di tutte le civiltà abbia mai conosciuto e riconosciuto, ossia quella formata da un uomo, una donna e, possibilmente, dei bambini.
Ora, la domanda che dobbiamo porci, avendo osservato come siamo diffuse, nella società odierna, e nella famiglia odierna, la disunione, la discordia, l’animosità fra i membri del gruppo: come si può fare in modo che tutto ciò non avvenga? In che modo si possono favorire l’unione, la concordia, la collaborazione reciproca? Qual è il segreto delle società unite e coese, delle famiglie che restano strette in un patto indissolubile di amore e di aiuto reciproco, anche quando si ritrovano ad affrontare le peggiori tempeste che la vita possa riservare? Se l’unione è un grande bene, e la disunione è un grande male, quali sono allora i mezzi per favorire la prima e per tenere lontana la seconda? A noi sembra che il segreto dell’unione è una grande idea, o un grande sentimento, o entrambe le cose, che funga da cemento per tenere unito ciò che, altrimenti, tenderebbe a disgregarsi: senza questo elemento, che è di natura intima, spirituale, e non dipende dalle circostanze esteriori, né dalla fortuna, e tanto meno dal benessere materiale, quindi dall’economia o dalla finanza, senza questo elemento, dicevano, non si dà unione, né concordia, né pace; senza di esso regnano la turbolenza, l’irrequietezza, l’animosità.
È una legge di natura quella che porta gli elementi che formano un organismo biologico, o un sistema fisico, a disperdersi ciascuno per conto proprio, in assenza di una forza centripeta che vada nella direzione contraria, e agisca nel senso di contrastare la dispersione e di ricompattare gli elementi costitutivi di quell’organismo o di quel sistema. Nel caso degli esseri umani, che sono dotati d’intelligenza e volontà, è stato costantemente osservato quanto siano importanti i fattori spirituali nel mantenere l’organismo in buona salute e in piena efficienza. La persona che soffre di disturbi psichici o di un qualsiasi disagio psicologico, offre meno resistenza alle forze disgregatrici e tende a perdere la salute con maggiore facilità di quella che ha una forte motivazione esistenziale, unita a una volontà ben allenata e ad una mente lucida ed equilibrata. Chi è in preda a conflitti indomabili, a tensioni che non riesce a gestire, ad amarezze, frustrazioni, senso d’impotenza, non possiede le energie per tenere uniti gli elementi dai quali dipende il buon funzionamento del proprio organismo e assicurare a se stesso le condizioni necessarie a condurre un’esistenza soddisfacente, pacificata, appagante, e ciò indipendentemente dal prestigio sociale e dalle risorse economiche delle quali può disporre. E questo per la buona ragione che, se si permette agli urti e agli inevitabili dispiaceri della vita di soverchiare il proprio equilibrio e la propria salute, fino a smarrire del tutto la padronanza di se stessi (come accade nelle depressioni vere e proprie, e in altre gravi patologie fisiche e psichiche), evidentemente non si è sviluppato un sufficiente amore per se stessi, un sufficiente livello di autostima e una realistica valutazione delle proprie forze. È naturale che chi possiede un fisico esile e slanciato non potrà eccellere nel lancio del peso o in quello del disco, e, cimentandosi in quelle discipline sportive, andrà incontro a reiterati fallimenti e umiliazioni non indifferenti. La domanda che costui si deve porre, a un certo punto, è per quale ragione voglia ostinarsi a fare il lanciatore del peso, o del disco, quando avrebbe potuto essere, e forse potrebbe ancora diventare, un eccellente maratoneta o, forse, un campione di salto in alto. Eppure, fuori di metafora, noi vediamo milioni di persone che conducono una vita infelice e piena di amarezza, perché vogliono sforzarsi di fare ciò per cui non sono state chiamate, vogliono sposare la persona sbagliata, o condurre gli studi nella facoltà universitaria sbagliata, o trovare un lavoro sbagliato, e sempre per delle ragioni puerili: perché vorrebbero gratificare il loro ego, mentre, di fatto, accade esattamente il contrario: che vanno incontro a continue delusioni. Quella donna bellissima, che costui ha voluto sposare ad ogni costo, come si colleziona una bella statua, si è rivelata una pessima compagna di vita: è arida, fredda, egoista; ma suo marito non vuol farsene una ragione, non vuole riconoscere il proprio errore, si intestardisce a sperare che ella cambi, e intanto consuma la sua vita inseguendo un sogno impossibile, un progetto fallimentare, che chiunque, guardando le cose con un po’ di obiettività, avrebbe potuto facilmente pronosticargli. Quell’altro individuo, figlio di un chirurgo famoso, ha intrapreso a sua volta la carriera del medico, specializzazione in chirurgia: vuol seguire le impronte paterne, non vuole deludere le aspettative dei suoi genitori; e suo padre, del resto, ha sempre considerato la cosa come scontata, al punto che non ne ha neanche mai discusso seriamente con lui. Se non che il giovanotto avrebbe tutt’altro temperamento, non possiede il sangue freddo per fare il chirurgo, mentre sarebbe un artista dai talenti non comuni, avendo dato, da ragazzo, ottimi saggi di sé sia nella pittura, sia nella poesia, sia nel suonare il pianoforte. Ma niente da fare: ha deciso di diventare chirurgo come suo padre, e andrà avanti per quella strada, scarificando e mettendo a tacere la sua natura più profonda, e accumulando, senza rendersene conto, risentimento e tristezza, perché la nostra vera natura non si lascia ingannare, non si lascia beffare come se nulla fosse. Bisognerà magari che accada qualcosa di veramente grave, forse un intervento andato male, un paziente che subisce dei seri danni a causa di una sua imperizia, per costringerlo ad aprire gli occhi e guardare bene in faccia la realtà, ammettendo di aver seguito la strada sbagliata e di aver voltato le spalle a quella giusta. Ci sarà ancora il tempo e il modo di rimediare? Forse sì, o forse no. In ogni caso, il momento della verità non può esser differito in eterno; prima o dopo, bussa alla nostra porta, e ci costringe a fare un bilancio franco e impietoso, senza maschere e senza finzioni.
Ma che succede quando uno si accorge che è troppo tardi, che non si può rimediare all’errore? Per esempio, quando ci si accorge di aver legato la propria vita alla persona sbagliata? La filosofia di vita oggi di moda vorrebbe che si possa sempre voltar pagina, e cambiare le relazioni umane come si cambia un vestito vecchio, o come ci si sbarazza di un oggetto inutile. Noi non siamo di questa opinione: sarebbe rispondere con un altro errore, all’errore precedente. La coscienza, ingannata una volta, verrebbe ingannata di nuovo: perché le cose fatte, i legami stretti, le scelte che sono state assunte, non sempre si possono disfare, e, comunque, non sempre è giusto che siano disfatte. Vi sono degli impegni morali che non possono essere sciolti: impegni con l’altro, ma anche con se stessi e, soprattutto, con Dio. Noi non siamo padrini della nostra vita: ne siamo semplicemente gli affittuari. Essa ci è stata data, ci è stata affidata, per fare una serie di cose; non possiamo, sul più bello, piantare baracca e burattini, e dire: Tante scuse, mi ero sbagliato; annullo tutte le promesse, mi rimangio tutti gli impegni. Anche se la legge degli uomini riconosce, talvolta, un tale diritto di rescissione, la legge divina non l’ammette. La vita è una cosa seria, non è una vuota e insulsa pagliacciata; e quando si è detto di sì, non si può dire di no, con la stessa disinvoltura con cui si cambierebbe una camicia. Questi non significa che noi dobbiamo restare prigionieri di decisioni sbagliate, di strade che si sono rivelate erronee. Tuttavia, gli errori che abbiamo fatto devono diventar parte del nostro cammino di crescita; altrimenti, vorrebbe dire che li abbiamo fatti per niente. Tutto, nella vita, può e deve essere motivo di apprendimento, di miglioramento, di perfezionamento; e anzi gli insuccessi, le sconfitte, le delusioni, possono trasformarsi in potentissime occasioni di crescita, in provvidenziali momenti della verità. Ma attenzione: bisogna guardarsi dal pensare che la psicologia possa risolvere tutti i problemi; che sia sufficiente capire quali sono le scelte giuste da fare, di volta in volta, per non aver più bisogno di nulla.
La psicologia è una bella cosa, ma per lei, in un certo senso, vale la stessa massima che si applica all’amore: è la cosa giusta per chi può farne benissimo a meno. Quel che vogliamo dire è che le scelte giuste non nascono dal nulla, ma da una mente equilibrata e da una sana prospettiva esistenziale; e queste cose non vengono dalla psicologia, ma dalla filosofia, e, su un piano ancora più alto, dalla teologia, e infine dalla fede. Vengono, in ultima analisi, da Dio: sono un dono di Dio. Gli uomini possono chiederlo, possono cercarlo, possono accoglierlo nella maniera giusta; ma darselo da se stessi, no, questo non lo possono fare. E il grande errore della civiltà moderna è, invece, proprio questo: la pretesa dell’uomo di poter fare tutto da sé, di potersi fabbricare, da solo, il suo stesso destino, come egli ne fosse il padrone e il signore. L’uomo, invece, non è padrone di nulla, se non delle proprie catene: le catene che lo tengono avvinto alla concupiscenza, e che lo inclinano verso la lussuria, la superbia e l’avarizia. Queste sono le cose che l’uomo sa fare da solo, e sa farle molto bene, sprofondandosi nel vizio e nei peccati; ma costruire il bene, realizzare il proprio equilibrio, divenire padrone di se stesso, questo non lo sa fare, perché eccede le sue forze e la sua stessa natura. L’uomo è una creatura: certo, una creatura privilegiata, perché fatta a immagine di Dio: e con l’aiuto di Dio, infatti, può innalzarsi molto al di sopra di se stesso, delle proprie miserie abituali, e sfiorare quasi la perfezione degli Angeli. Ma sempre e solo con l’aiuto di Dio: aiuto che egli riceve se e quando si mostra capace di sbarazzarsi del proprio uomo vecchio, cioè dell’amore smodato e narcisistico di se stesso.
Arrivati a questo punto, si comincia a intravedere in che cosa consista, esattamente, il paradosso cristiano, sul quale hanno sempre richiamato l’attenzione gli evangelisti, e i Padri della Chiesa, e i migliori teologi di ogni epoca(ma non i teologi di tendenza modernista, che vanno beatamente in direzione opposta): il paradosso per cui, se si vuol trovare la propria realizzazione e la propria felicità, bisogna lasciar andare il proprio egoismo, bisogna smettere di servire quel padrone geloso e incontentabile che è il proprio io, e abbandonarsi pienamente e fiduciosamente all’amore di Dio, il quale sa bene – assai meglio di noi – ciò di cui abbiamo bisogno, e non ci lesinerà i mezzi per condurre felicemente in porto la nostra navicella, purché noi ci lasciamo condurre da Lui come un operaio umile e fedele che lavora nella vigna e non pretende di comandare, di stabilire lui le regole, ma fa quel che gli viene ordinato di fare, senza recalcitrare né mormorare, e senza inorgoglirsi per i buoni risultati ottenuti, sapendo che non è lui ad averne merito, ma Dio soltanto. Vogliamo ribadire il concetto: esistono delle strade che sono assolutamente sbagliate (quella della dipendenza dalle droghe pesanti, per esempio), ma sono molto rare; nella maggior parte dei casi, le strade sulle quali ci mettiamo sono "sbagliate" solo in un senso relativo. Dio, che sa scrivere dritto anche sulle righe storte, ci condurrà alla meta anche per mezzo della strada sbagliata, perché Lui non perde tempo a raddrizzare le strade, ciò a cui mira è raddrizzare la nostra anima. E forse anche quello sbaglio iniziale, che ci ha portati lontano dalla strada "giusta", aveva, in realtà, una sua ragione provvidenziale: cioè, anche se noi stavamo inseguendo l’obiettivo sbagliato, Dio si serviva della nostra ignoranza per condurci a Sé. E per fare questo, succede che Egli ci faccia prendere la via più lunga. Siamo un popolo dalla dura cervice: prima di imparare, dobbiamo sbattere la fronte contro l’ostacolo. Per imparare la pazienza, dobbiamo arrivare all’esasperazione; per imparar la generosità, dobbiamo sperimentare l’indigenza; per imparare l’amore, dobbiamo provare l’abbandono. Poiché Dio molto ci ama, vuole per noi le cose migliori; il che esclude che ci renda le cose troppo facili. Le cose migliori sono difficili, costano fatica e sacrificio; in compenso, recano una gran soddisfazione. Solo chi ha scalato una montagna ed è giunto in cima, a prezzo di non poco sforzo, può godere pienamente del grandioso panorama che si apre sotto di lui; ma chi è arrivato con dei mezzi artificiali, chi è arrivato in cima con l’automobile, o con la funivia, o magari con l’elicottero, non proverà mai la stessa soddisfazione, non saprà mai cosa si prova ad arrivare in cima con le proprie gambe e i propri polmoni. Ora Dio, come Padre affettuoso, desidera per noi le soddisfazioni più grandi; sa quanto la nostra anima è assetata di felicità, perché Lui stesso ci ha creati così: destinati alla felicità. Ma per esser felici, bisogna volere il bene, cercarlo e amarlo: la nostra infelicità non è colpa d’altri che della nostra ignoranza e concupiscenza. Finché ci ostiniamo a cercare i falsi beni, saremo infelici e rivali implacabili dei nostri simili, come in un regno o una casa divisi in se stessi…
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