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Perché non vediamo le stelle verdi?

Tanti anni fa avevamo sviluppato una certa passione per l’astronomia. Avendo appreso che il colore delle stelle dipende dalla temperatura (e questa, a sua volta, dall’età della stella), e che le stelle più calde sono di colore blu, mentre le meno calde sono di colore rosso, abbiamo dedotto che quelle di temperatura intermedia dovevano avere i colori che, nello spettro della luce solare, sono intermedi fra il rosso e il blu: vale a dire l’arancio, il giallo, il verde e l’azzurro. Infatti, nei vecchi atlanti stellari è registrata la presenza di stelle rosse, arancione, gialle, verdi, azzurre e blu. Eppure, stelle verdi non le avevamo mai viste; e, da una rapida ricerca, era emerso che, effettivamente, nessuno le aveva viste. Di più: negli atlanti stellari più recenti, le stelle verdi erano state soppresse. Possibile che gli astronomi avessero cambiato idea su una faccenda così… luminosa? Perché qui non si scappa: o le stelle verdi c’erano, e ci sono sempre state, oppure no; ma nessuno può averle fatte sparire con un colpo di bacchetta magica. Le stelle brillano alte nel cielo; migliaia di studiosi, anche con i telescopi, le osservano in continuazione: si erano dunque ingannati quelli di un tempo? Che cosa è successo, che cosa è cambiato, e perché gli osservatori dei nostri giorni non vedono più le stelle verdi? Non stiamo parlando dell’araba fenice, o del mitico unicorno, che alcuni dicono di aver visto, o almeno di averne sentito parlare, mentre altri negano la loro esistenza: stiamo parlando di qualcosa che non è possibile occultare, né travisare, né manipolare in alcun modo. Il cielo è democratico: tutti lo possono guardare; e quelli che hanno una buona vista, ad occhio nudo, mentre quelli che ce l’hanno più debole, con l’aiuto di strumenti, tutti, comunque, possono vedere le stelle e possono riconoscerne il colore. Non si tratta di una lingua straniera, che pochi conoscono, e che necessita di una traduzione per diventare comprensibile: il colore di un oggetto è evidente, è quello e soltanto quello, e non può essere confuso con nessun altro; inoltre, è palese a chiunque (beninteso, con la sola eccezione dei daltonici), e su ciò non può esservi discussione. E allora? Ad ogni modo, dobbiamo confessare che l’interrogativo circa le stelle verdi, se da un lato ci intrigava, dall’altro suscitava in noi una strana reticenza, quasi un desiderio di non approfondire troppo la questione, di non porla in piena luce, senza dubbio perché provavamo una certa ripugnanza all’idea di trovare la conferma dei nostri timori, cioè che le stelle verdi non esistono. È bello pensare che esse esistono, invece: il colore verde è il nostro preferito, e probabilmente è il più amato da una gran numero di persone. Esprime serenità, pace, armonia: un quadro o una fotografia che rappresentano un bosco, con il fitto intrico delle chiome verdi, valgono a conferire immediatamente un’aria distesa e gradevole a qualsiasi ambiente; e cosa c’è di più rilassante, di più rasserenante, che una passeggiata in un giardino, sotto le verdi chiome degli alberi, o anche semplicemente una vista a una vivaio, percorrendo gli spazi all’interno di una serra, in mezzo ai fiori circondati, anch’essi, dal verde delle foglie? Inoltre, se le stelle verdi esistevano, dovevano essere abbastanza rare, chissà, sperdute qua e là nell’immensità della volta celeste, in mezzo a tantissime altre stelle dai colori più usuali, il giallo, l’arancio, il rosso; e ciò che è raro, è anche, per ciò stesso, prezioso, e, in un certo qual modo, affascinante. Si aggiunga, infine, che il verde, insieme al rosso e al blu, è uno dei tre colori fondamentali, per mezzo dei quali si "compongono" tutti gli altri, come ben sanno sia i fotografi, sia i tipografi che debbano stampare un libro nel quale sono presenti delle illustrazioni colorate (cioè, per essere precisi, delle illustrazioni con tutti i colori e non un colore soltanto, come il rosso o il blu); e come è possibile che degli oggetti celesti, brillanti di uno dei colori fondamentali, riescano a eludere, ingannare e beffare tutti gli osservatori terrestri?

Le cose stavano a questo punto, e da molto tempo rimandavamo la resa dei conti con la dura realtà, prosaica e impoetica, allorché ci siamo finalmente imbattuti, quasi controvoglia, nella soluzione dell’enigma. Ci sia permesso di riportare quel che scrive Luigi Fontana nel sito Vialattea.net, per rispondere alla domanda se esistono le stelle verdi:

La risposta in breve è "no". Cioè non esistono stelle che il nostro occhio percepisca come verdi. Per capire come mai questo succeda, dobbiamo ricordare che noi percepiamo i colori grazie a delle cellule specializzate della retina, i coni, che esistono di tre tipi diversi, assimilabili (grossolanamente) a sensori per i colori fondamentali (rosso, blu e verde): i loro segnali elettrici vengono combinati nel cervello e interpretati come colori. Ciascun tipo di cono ha la propria risposta spettrale, e le tre combinate danno la risposta spettrale complessiva dell’individuo (leggermente variabile con l’età e da una persona all’altra). Questa frase contiene il clou della risposta. Un "colore" come noi lo percepiamo è il frutto della distribuzione spettrale della sorgente combinato (convoluto, per essere precisi) con la "nostra" risposta spettrale.

Circa la curva di emissione spettrale di una stella, sappiamo chele stelle si comportano, dal punto di vista dell’emissione, in modo molto simile ad un corpo nero […] Se una stella ha una temperatura superficiale tale per cui avrebbe il picco nel verde, semplicemente il nostro occhio percepisce quella emissione, convoluta attraverso la "nostra" sensibilità, come bianco. Di fatto le stelle di tipo F dovrebbero essere quelle verdi, ma ci appaiono tra il bianco e il bianco giallastro (Procione, per esempio).

E l’astrofisico Vincenzo Zappalà, sul sito Astronomia.com:

… ogni cono ha una certa curva di sensibilità che ha un picco nella lunghezza d’onda per cui è specialista, ma che si estende anche agli altri due colori fondamentali, anche se in maniera nettamente minore. Il cervello mischia i vari contributi e dà luogo a sensazioni diverse a seconda delle percentuali di segnale in arrivo.

In conclusione, cosa succede se riceve la luce di una stella blu, ossia di un astro che ha il picco di intensità nel blu e che segue la relativa curva di corpo nero? La sensazione finale è ancora blu, dato che il contributo degli altri coni è molto basso. La stessa cosa capita se la stella è rossa. Se, invece, la stella è verde, la curva di corpo nero  è centrata nel verde, ma raccoglie un’importante contributo anche dai due colori adiacenti (il blu e il rosso) e quindi tutti e tre i coni si attivano. In queste condizioni la sensazione di colore risultante sarà quella del bianco. Questo è ciò che succede per il nostro Sole. […]

Il blu si trasforma prima in azzurro e poi in bianco, quindi prosegue dando luogo al giallo e infine al rosso. Ricordiamo, infatti, che mischiare tutti i colori dà proprio origine al bianco. Sullo stesso principio di combinazione dei colori fondamentali si basa la televisione e molte altre tecnologie che danno immagini "colorate".

Non confondiamo i colori derivanti dalla luce emessa direttamente da una fonte luminosa (come le stelle) con quelli derivanti dalla luce riflessa. La tinta dei fiori, degli animali e degli oggetti dipende dalla capacità della loro superficie di assorbire (naturalmente o artificialmente) la maggior parte delle lunghezze d’onda e riflettere soltanto quelle estremamente concentrate attorno a una o a più di esse, selezionate con cura dalla natura o dalla nostra tinteggiatura. Le superfici che riflettono tutta la luce si presentano bianche. Quelle che la assorbono completamente sono nere.

Se volessimo vedere una stella verde, bisognerebbe che la luce emessa dall’oggetto celeste non seguisse la curva del corpo nero, ma fosse invece estremamente limitata entro uno stretto intervallo di lunghezza d’onda. In tale caso, si attiverebbero solo i coni specializzati nel verde e darebbero luogo alla sensazione verde. In realtà, ci sono oggetti di questo tipo… ma questa è un’altra storia.

In pratica, quando avevamo scoperto, ancora bambini, l’esistenza del Diagramma Hertzsprung-Russell, che assegna tutti gli oggetti stellari a una ben precisa "casella" in base alla temperatura superficiale e al colore, non ci eravamo ingannati aspettandoci di trovare, nella casella giusta (cioè nel tipo spettrale individuato dalla lettera F) le famose stelle verdi: il problema non è la loro non esistenza, ma la loro non visibilità. Un problema dell’occhio umano, e più precisamente del funzionamento dei coni della retina, che compongono e interpretano la luce delle stelle del tipo F come bianca, o bianco-giallastra, mentre in effetti è verde, o meglio, dovrebbe apparire come verde, se l’organo della vista funzionasse come una macchina assolutamente perfetta, nel senso di oggettiva. Ma le macchine interpretano; e lo fa anche la macchina fotografica più sofisticata. Questa scoperta ci ha, da un lato, rasserenati, perché ci ha dato la conferma, a quel punto quasi insperata, che le stelle verdi esistono, alla fin fine; dall’altro ci ha spalancato degli ulteriori, inaspettati interrogativi, dalla profondità quasi abissale. Dunque, il mondo non è quale ci appare, dopotutto! Neppure l’uomo che dispone della vista più acuta, e degli strumenti più perfezionati, riuscirà mai a vedere, in cielo, le stelle verdi, benché queste esistano, e tali dovrebbero apparire. Del resto, già da molto tempo avevamo appreso che gli animali non vedono le cose che vediamo noi, così come le vediamo noi. Per esempio, i gatti non percepiscono il rosso, l’arancio e il marrone, perché i coni della loro retina sono fatti diversamente dai nostri; i cani vedono come i daltonici, cioè non apprezzano la differenza fra il rosso e il verde; le api non vedono il rosso, ma lo percepiscono come nero, in compenso vedono perfettamente l’ultravioletto, che per noi è invisibile (quindi, commette un grave errore l’apicoltore che allestisce un alveare di colore rosso, perché ne rende difficile l’individuazione da parte degli insetti). Non parliamo del cavallo, il cui organo della vista è assai complicato rispetto a quello dell’uomo; basti dire che l’animale non riesce a vedere un oggetto che si trovi a un metro da lui, perché si trova nel "cono d’ombra" della sua visione bioculare: si provi perciò a immaginare quel che prova un cavallo da equitazione durante una gara a ostacoli. E come ci sono colori che noi non vediamo (l’ultravioletto, l’infrarosso, o, nel caso delle stelle, il verde), così ci sono anche suoni che noi non udiamo, ma che sono percepibili ad alcune specie di animali, in particolare il cane.

L’imperfezione dei nostri sensi, o, se si preferisce un’espressione più sfumata, la loro perfezione relativa, dovrebbe indurci a essere più cauti nell’esprimere giudizi intorno alla realtà che ci circonda. Se ci sono colori che noi non vediamo, e suoni che noi non udiamo, benché certamente esistano, e infatti gli animali li vedono e li odono, e noi stessi siamo in grado di spiegare in maniera perfettamente scientifica perché non riusciamo a udirli né a vederli, ciò dovrebbe ricordarci che la realtà non è fatta solo di cose visibili e percepibili con i sensi, ma anche di cose invisibili. Non solo: ciò dovrebbe ricordarci che quella che noi siamo soliti chiamare "la realtà" è solo un segmento, probabilmente assai ristretto, del reale: perché noi chiamiamo realtà l’insieme di ciò che vediamo, udiamo e tocchiamo, o, almeno, ciò della cui esistenza fisica abbiamo delle prove, sia pure indirette; ma la realtà visibile, percepibile e intellegibile è solo la punta dell’iceberg del reale, ossia di ciò che esiste, indipendentemente dal fatto di apparire e di manifestarsi ai nostri sensi e alla nostra intelligenza. Opinare che solo ciò che è percepibile o ciò che è intelligibile goda della proprietà dell’esistenza, equivale a immaginare che le cose si prendono il disturbo di esistere solo quando entrano nella nostra sfera sensoriale o solo nella misura in cui le possiamo prevedere, calcolare, quantificare. Eppure, proprio l’astronomia ci ha abituati a rimettere continuamente in discussione ciò che credevamo di sapere circa i "limiti" dell’universo; perché, a ben riflettere, la stessa domanda che si fanno gli astrofisici, se l’universo sia finito o infinito, è, a rigor di logica, un non senso. Se fosse finito, infatti, che cosa vi sarebbe oltre i suoi "confini"? E ciò che vale per l’infinitamente grande, vale anche per l’infinitamente piccolo. Qui entra in campo la matematica; e qui, da sempre, gli studiosi di geometria si domandano: che cosa è mai il punto? È qualcosa, o è un semplice simbolo, nel senso che è del tutto privo di estensione? Ce lo eravamo domandati a su tempo, e rinviamo il lettore a quelle riflessioni (cfr. l’articolo: Il punto è per Euclide qualcosa di esteso o di inesteso?, pubblicato suo sito di Arianna Editrice il 31/12/2007, e ripubblicato su sito Accademia Nuova Italia il 22/11/2017). Ma, ci sembra già di udire la pronta obiezione del materialista, se si va avanti lungo questa linea di ragionamento, si finirà per credere a tutto: ai folletti, agli gnomi, ai fantasmi, al mostro di Loch Ness e agli extraterrestri: dal momento che non si vedono!… Non così in fretta, amici. Noi non pensiamo affatto che si debba credere a tutto ciò che non si vede, ma solo che non si può escludere che esista, a priori, ciò che non si può vedere. C’è una bella differenza; non siamo dei creduloni. D’altra parte, per un cristiano, che esista la realtà invisibile, è cosa ovvia…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Pixabay from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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