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Come il pensiero cattolico è diventato non cattolico

Se le cose, a questo mondo, andassero come sarebbe giusto, logico e naturale che vadano, allora un pubblico piuttosto vasto, almeno fra i cattolici, conoscerebbe il nome e l’opera di Étienne Gilson (Parigi, 13 giugno 1884-Auxerre, 19 settembre 1978), così come quelli di Cornelio Fabro (Talmassons, Udine, 24 agosto 1911-Roma, 4 maggio 1995); e ciò per la buona ragione che sono stati due notevoli rappresentanti del pensiero teologico cristiano d’indirizzo neotomista. Ora, quel che sarebbe giusto, logico è naturale è che la teologia tomista continui ad essere considerata, come lo è stata per secoli e secoli, la colonna portante delle teologia cattolica, ammirata, studiata, insegnata nei seminari e nelle facoltà teologiche, considerata come un punto di riferimento imprescindibile per qualunque sacerdote cattolico. Il papa Leone XIII, quello della Rerum novarum (non un oscurantista, dunque) ne era così convinto che scrisse un’enciclica, Aeterni Patris, del 4 agosto 1879, per dichiarare il tomismo come la vera dottrina dei cattolici e per ordinarne l’insegnamento per la formazione del clero, cosa che suscitò un certo dibattito ma che, nel complesso, venne disciplinatamente accettata. Si tenga ben presente una cosa: il pensiero di san Tommaso è un pensiero eminentemente realista. Il doctor angelicus era solito iniziare le sue lezioni ponendo una mela sulla cattedra e dicendo agli studenti: Questa è una mela. Chi non è d’accordo, può andarsene. Ciò significa che gli indirizzi di pensiero non realistici, e in particolare l’idealismo, sono assolutamente incompatibili col tomismo; e, se il tomismo è la dottrina "vera" della Chiesa, l’idealismo, per la proprietà transitiva, è inconciliabile con il cattolicesimo. Da allora, essendo le encicliche l’espressione più solenne del Magistero, nessuno aveva mai posto in discussione il fatto che il tomismo fosse la "vera" teologia cattolica, tanto più che Leone XIII aveva semplicemente dato espressione ufficiale ad una convinzione che esisteva da moltissimo tempo nella Chiesa, e cioè che la filosofia di san Tommaso d’Aquino fosse lo strumento di lavoro indispensabile per qualsiasi teologo cattolico.

Leone XIII era consapevole, e preoccupato, per il diffondersi di molteplici tendenze filosofiche all’interno della cultura cattolica e intendeva porre un argine alla possibilità di errori e fraintendimenti dottrinali. Perciò, pur non escludendo, in linea di principio, che vi fossero altre filosofie in grado di condurre verso la piena padronanza della verità ultima (per quanto umanamente possibile con lo strumento della ragione), individuava in quella di san Tommaso d’Aquino la più sicura e la più perfetta, quella che doveva essere insegnata nei seminari e nelle facoltà teologiche affinché il clero ricevesse una preparazione dottrinale assolutamente sicura e conforme al Magistero della Chiesa. Scriveva infatti, nella Aeterni Patris:

Se qualcuno medita sull’acerbità dei nostri tempi e comprende bene la ragione di ciò che in pubblico e in privato si va operando, scoprirà certamente che la vera causa dei mali che ci affliggono e di quelli che ci sovrastano è riposta nelle prave dottrine, che intorno alle cose divine ed umane uscirono dapprima dalle scuole dei filosofi, e si insinuarono poi in tutti gli ordini della società, accolte con il generale consenso di moltissimi. Infatti, essendo insito da natura nell’uomo che egli nell’operare segua la ragione, se l’intelletto pecca in qualche cosa, facilmente fallisce anche la volontà; così accade che le erronee opinioni, le quali hanno sede nell’intelletto, influiscano nelle azioni umane e le pervertano. Al contrario, se la mente degli uomini sarà sana e poggerà sopra solidi e veri principi, allora frutterà sicuramente larga copia di benefici a vantaggio pubblico e privato. […]

Innanzi tutto la filosofia: se dai sapienti viene usata rettamente, serve in certo qual modo a spianare ed a rafforzare la via alla vera fede, e ad apparecchiare convenientemente gli animi dei suoi discepoli a ricevere la rivelazione; onde, non senza ragione, fu detta dagli antichi, ora "istituzione preparatoria alla fede cristiana", ora "preludio ed aiuto del cristianesimo", ora, "guida al Vangelo". […]

Noi dunque, mentre dichiariamo che si deve accogliere con aperto e grato animo tutto ciò che sapientemente è stato detto e che è stato inventato ed escogitato utilmente da chicchessia, esortiamo Voi tutti, Venerabili Fratelli, a rimettere in uso la sacra dottrina di San Tommaso e a propagarla il più largamente possibile, a tutela e ad onore della fede cattolica, per il bene della società, e ad incremento di tutte le scienze. Diciamo la dottrina di San Tommaso. Infatti, se qualche cosa fu cercata dagli Scolastici con eccessiva semplicità o insegnata con poca ponderazione; se ve n’è qualche altra che non si accordi pienamente con gl’insegnamenti certi dei tempi più recenti, o infine se ve n’è qualcuna che in qualunque modo non merita di essere accettata, non intendiamo che sia proposta all’età presente, perché la segua.

Per il resto, i maestri scelti da Voi con saggio discernimento cerchino di far penetrare negli animi dei discepoli la dottrina di San Tommaso d’Aquino, e mettano in luce lo spessore e l’eccellenza di essa a preferenza di tutte le altre. Le Accademie da Voi fondate o che si fonderanno la illustrino e la difendano, e se ne valgano per confutare gli errori correnti. Affinché poi non si abbia ad attingere la dottrina supposta invece della genuina, né la corrotta invece della pura, fate in modo che la sapienza di San Tommaso sia prelevata dalle sue proprie fonti, o per lo meno da quei rivi che, usciti dallo stesso fonte, scorrono ancora puri e limpidissimi, secondo il sicuro e concorde giudizio dei dotti. Da quei ruscelli, poi, che pur si dicono sgorgati di là, ma di fatto crebbero da acque estranee e per niente salubri, procurate di tener lontani gli animi dei giovani.

La raccomandazione di Leone XIII è stata recepita nei seminari cattolici e nelle facoltà teologiche e la dottrina tomista è stata insegnata, per anni e per decenni, come quella più sicura e più conforme alla dottrina della Chiesa; o, comunque, non vi è mai stata una aperta opposizione o un’esplicita ripulsa di tale insegnamento. Questo, almeno, fino a un certo punto. E il punto di svolta e di contestazione- non era difficile immaginarlo – è stato il Concilio Vaticano II. Quest’ultimo è stato largamente dominato dai teologi, pur essendosi presentato come un concilio puramente pastorale (cosa di per sé insolita, per non dire inaudita: mai un concilio ecumenico era stato convocato, nel’arco di duemila anni, per delle ragioni meramente pastorali; mai nessuno aveva pensato che ragioni pastorali giustificassero la convocazione di un concilio ecumenico), nel senso che ai teologi è stato accordato un potere di influenzare i lavori delle varie commissioni, quale nessuno aveva mai visto prima. Ebbene, i teologi la cui presenza risultò determinante per l’orientamento dei lavori conciliari erano tutti, guarda caso, d’indirizzo non tomista, anzi, per dir le cose chiaramente, d’indirizzo anti-tomista: erano, ciò, in contrasto con la tendenza largamente diffusa nelle facoltà teologiche e nei seminari, perché erano seguaci e ammiratori di filosofi non cattolici, bensì protestanti, e spesso neppure cristiani, i cui sistemi speculativi  e il cui modo di ragionare non avevano mai avuto alcun contatto con la cultura cattolica. E ciò per la buona ragione che si trattava di sistemi e di modi di pensare che erano, e sono, assolutamente incompatibili con la dottrina cattolica e con tutta la concezione cattolica del reale, e con quella del pensiero medesimo. Lo stesso Paolo VI se n’era perfettamente reso conto, e aveva lanciato — tardivamente — l’allarme, dicendo: Un pensiero non cattolico è entrato nella Chiesa cattolica. E questo lo disse nel corso di un colloquio con il filosofo Jean Guitton, l’8 settembre del 1977, al quale disse pure: C’è un grande turbamento dentro la Chiesa, oggi, e quel che è in questione è la fede

Si rifletta: sono passati quarant’anni da quel grido d’allarme, e il turbamento, all’interno della Chiesa, ha raggiunto livelli tali, oltre i quali ci sono solamente il caos, la dissoluzione e lo scisma; e la fede è più in pericolo che mai. E fa molto pensare il fatto che i lavori del Concilio si svolsero sotto l’influsso, diretto o indiretto, di un gruppo di teologi tedeschi capeggiati dal gesuita Karl Rahner, il quale non condivideva affatto il giudizio di Leone XIII sul tomisno; ma che intendeva fare una "sua" lettura del tomismo, praticamente rovesciandolo sulle sue stese basi, dalla prospettiva realistica e oggettiva, a quella idealistica e soggettiva; di più: che intendeva introdurre nel pensiero cattolico i sistemi speculativi di tre filosofi che sono incompatibili col cattolicesimo: Kant, Hegel e Heidegger. Kant ha affermato la priorità del fenomeno sul noumeno: quel che possiamo conoscere non è, e non sarà mai, la cosa in sé, ma solo il fenomeno, cioè la sua manifestazione; Hegel ha affermato la priorità del pensiero sul’essere, asserendo che non il pensiero nasce dall’essere, ma che l’essere procede dal pensiero; e Heidegger ha stabilito la priorità dell’esserci, ossia dell’essere in una certa situazione, storica e determinata, rispetto all’essere in quanto essere. Tutti e tre hanno demolito la metafisica, tutti e tre hanno spostato il punto di vista conoscitivo dall’oggetto al soggetto; tutti e tre hanno ridotto la conoscenza a psicologia, a percezione degli enti così come si rivelano alla coscienza. Per Kant, la metafisica non è che un’ipotesi non verificabile e non dimostrabile; per Hegel, essa si risolve nella logica, perché la realtà è una, ed è pensiero; per Heidegger, la metafisica è pensiero, dato che il pensiero è il pensiero dell’essere. Nessuno dei tre ha fiducia nella possibilità di conoscere oggettivamente una dimensione del reale che si trovi al di là di quella esperibile con i sensi; tutti e tre, con accenti diversi, riducono il conoscere a una operazione mentale del soggetto.

Tutte le forme di idealismo, per un verso o per l’altro, sono incompatibili con il realismo, e quindi con il tomismo e con il cristianesimo in generale, perché tutte riducono il soggetto conoscente alla conoscenza, per cui il pensiero non è più un attributo dell’esistenza (esiste qualche cosa, e questo qualche cosa è dotato di pensiero), ma è una realtà a sé stante, e dunque è, in definitiva, l’essere. Questo vale anche per l’idealismo crociano e gentiliano; specialmente per quest’ultimo, che si manifesta come storicismo assoluto, cioè nel concreto attuarsi del pensiero nella storia (attualismo). 

Abbiamo detto che ogni cattolico di media cultura dovrebbe conoscere il nome e l’opera di Étienne Gilson e di Cornelio Fabro, se le cose andassero come sarebbe normale che vadano: se, cioè, nella Chiesa cattolica e nelle facoltà teologiche si insegnasse la dottrina cattolica e se si offrissero, per comprenderla e recepirla, delle basi filosofiche corrette, vale a dire compatibili con i contenuti della fede cattolica e con il modo di pensare che appartiene alla concezione cattolica del reale. Fabro, oltre a essere stato un formidabile divulgatore dell’opera di Kierkegaard (un protestante, ma in rotta con la Chiesa luterana, e del quale aveva colto la fertilità degli stimoli per la fede cattolica), ha avuto il grande merito di denunciare la deriva teologica inaugurata dalla troppo decantata "stagione" del Concilio, di cui vide, fin da subito, le gravissime ambiguità e le autentiche storture e perversioni; cosa per la quale fu "ricompensato" con l’ostracismo in vita e con un ingiusto oblio subito dopo la morte.

Gilson, da parte sua – che, per modestia, si considerava più uno storico della filosofia che un filosofo, mentre un filosofo lo era senza dubbio – ebbe il merito, non meno grande, di vedere che, dopo l’esito fallimentare delle filosofie moderne, da Cartesio, a Kant, a Hegel, a Marx, a Gentile, il tomismo tornava più che mai di attualità come la più convincente delle proposte filosofiche per l’uomo moderno, o, per meglio dire, confermava il fatto di esserlo sempre stata, per l’uomo moderno e per l’uomo di sempre. Ed è merito di Augusto Del Noce aver visto che Gilson aveva riconosciuto l’attualità del tomismo e non aveva esitato a proclamarla, in un tardo XX secolo dominato da ben altri modelli di pensiero. Fabro, Gilson, Del Noce: tutti profeti inascoltati. E la ragione di tanta disattenzione da parte della cultura che si dice cattolica,ma senza esserlo realmente, è la stessa che si può riconoscere alle radici della deriva teologica di Karl Rahner e della cosiddetta "svolta antropologica" postconciliare: nella pretesa, cioè, che, all’uomo moderno, e specialmente all’uomo della tarda modernità – diciamo dopo Auschwitz, per usare un’espressione divenuta anche troppo celebre – non si possa più parlare di Dio, come se ne parlava prima; che egli non possa più accettare le vecchie categorie della conoscenza; che la sua mente non funzioni più come funzionava la mente dei suoi avi, e che la sua anima non sia soggetta alle stesse leggi, e, di conseguenza, che si debba "inventare" per lui un percorso completamente nuovo verso la Rivelazione cristiana.  Idea funesta, deleteria, esiziale: una volta accettata la quale, si apre la porta a ogni stranezza, a ogni arbitrio, a ogni assurdità speculativa. E tutto nasce da un peccato di orgoglio e di superbia intellettuale: dalla pretesa, cioè, che l’uomo, oggi, sia troppo evoluto e intelligente, per potersi fare piccolo e semplice quanto è necessario a lasciarsi riempire, per mezzo della Grazia, dalla ineffabile Verità divina…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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