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«Adelante, hombres, por el Mexico»

La guerra fra Stati Unti e Messico si combatté nel 1846-47 e fu conclusa dal trattato di Guadalupe- Hidalgo del 1848, con il quale una buona metà del territorio messicano veniva annesso, puramente  e semplicemente, alla Repubblica nordamericana: 1 milione e 360.000 kmq. (oltre quattro volte la superficie dell’Italia, tanto per intenderci) dietro il pagamento di 15 milioni di dollari, più altri 3,25 milioni di dollari di cui le casse messicane erano debitrici verso dei cittadini che, per tale trattato, acquisivano la cittadinanza statunitense. L’enorme territorio passato di mano comprendeva ben sette futuri Stati dell’Unione, fra i più vasti e potenzialmente ricchi: California, Nevada, Utah, Colorado, Wyoming, Arizona e New Mexico. Ad essi bisognava poi aggiungere un altro vastissimo territorio (circa 700 kmq., due volte e mezzo l’Italia), quello del Texas, che aveva già raggiunto la sua indipendenza dieci anni prima, con la battaglia di San Jacinto e, poi, con i trattati di Velasco del 1836, in seguito alla guerra sostenuta dai coloni americani di quella regione contro il governo del presidente Santa Anna. Un’ulteriore fetta di territorio messicano, la Valle di Mesilla, presso il fiume Gila, passò agli Stati Uniti nel 1853, allorché il dittatore Santa Anna, sempre a corto di denaro, la vendette agli Stati Uniti in cambio di altri 10 milioni di dollari, per una superficie di quasi 70.000 kmq. (il cosiddetto Gadsden Purchase, ossia l’acquisto di Gadsden). Questa, la realtà storica; e, nella realtà storica, furono sempre i messicani ad avere la peggio fra le due nazioni, anche se, nella guerra del 1846, molti osservatori stranieri, sbagliando clamorosamente, avevano ritenuto che le cose sarebbero finite altrimenti. Di fatto, gli statunitensi, nonostante la loro scarsa preparazione, passarono di vittoria in vittoria, grazie alla loro superiorità strategica e logistica e all’uso più moderno dell’artiglieria. Una sola volta l’esercito di Santa Anna parve prossimo a strappare la vittoria, grazie anche alla sua notevole superiorità numerica, ma si lasciò sfuggire l’occasione, ed essa non si sarebbe più ripresentata (cfr. il nostro articolo: Chi ha vinto la battaglia di Buena Vista?, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 21/02/2012, e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 19/11/2017), finché il Messico fu piegato con una memorabile campagna che si concluse con la conquista della sua stessa capitale, dopo feroci combattimento avvenuti strada per strada e casa per casa. C’è un adagio che recita: Povero Messico, così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti. In pratica, la sola possibilità che i messicani hanno avuto di riprendersi le loro province perdute è quella che si dà nel mondo dei sogni: a parte l’oscura vicenda del telegramma di Zimmermann, quando la Germania offrì al presidente Carranza un’alleanza militare, promettendo il suo sostegno per il recupero del New Mexico e dell’Arizona, e a parte l’avventata incursione dei guerrilleros villisti su Columbus (cfr. il nostro articolo: L’attacco su Columbus di Pancho Villa nel 1916, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 29/10/2007, ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 12/12/2017), il revanscismo messicano ha dovuto accontentarsi di un film commedia realizzato proprio dagli yankee, Riprendiamoci Forte Alamo!, di Jerry Parris, del 1969, interpretato da Peter Ustinov nei panni di un generale di brigata messicano un po’ svitato e animato da sogni di rivincita alquanto donchisciotteschi.

Ma ecco che, nella fervida fantasia di un notevole fumettista italiano, Giovanni Luigi Bonelli, e nel tratto di penna del suo più fido disegnatore, Aurelio Galleppini, all’alba di una giornata imprecisata degli ultimi decenni dell’Ottocento, cinque squadroni di cavalleria messicani, elegantissimi nelle loro bianche uniformi, spronano al galoppo i loro cavalli oltrepassando la frontiera, e piombano poche ore dopo sulla città di Santa Fe, capitale del New Mexico (a dispetto che questa non si trovi affatto vicino alla frontiera, ma molto all’interno e, per giunta, a oltre 2.000 metri d’altezza, sulle pendici delle Montagne Rocciose). Il loro obiettivo non è tanto, o non solo, quello di riconquistare le terre perdute, ma mettere le mani sul tesoro di un’improbabile principessa indiana, Yogar, il quale, al termine della precedente avventura di Tex, è stato messo al sicuro nelle casseforti della banca locale. La notizia del tesoro era stata portata a Città del Messico da un bandito superstite ed è così che le autorità messicane, informate della cosa, decidono di prendere due piccioni con un fava: dare una lezione agli odiato gringos, invadendo le terre cedute a suo tempo, e rimpinguare le loro finanze con un bottino inaspettato e apparentemente facile, perché nessuno, a  Santa Fe, si aspetta un colpo di mano. Nel palazzo del governo di Città del Messico un pezzo grosso, forse lo stesso presidente, tiene una riunione con i generali e dà loro le ultime istruzioni: Il pretesto di cui si è parlato sarà eccellente per giustificare l’azione dei reparti di frontiera. Gli americanos, passata la prima sorpresa, tenteranno un contrattacco, e in quel momento voi, generale Mendoza, farete avanzare le vostre truppe… Al che il grosso generale, tutto gallonato e baldanzoso, risponde con encomiabile zelo patriottico: Aspetterò con impazienza tale momento, eccellenza! Da troppi anni quei territori messicani sono sotto il giogo dei gringos! E il pezzo grosso, allora, conclude soddisfatto: Ben detto, generale! ora, señores… alle vittorie del Messico!, al che tutti alzano i bicchieri in un brindisi di buon auspicio, esclamando: Viva il Messico!

Tex e lo sceriffo sono svegliati bruscamente dal fragore della sparatoria e con molta sorpresa si rendono conto che l’attacco non è opera d una qualche banda di desperados, ma di truppe regolari messicane in pieno assetto di guerra. La Western Bank viene depredata del tesoro di Guatimozin e incendiata; nuovi cavalleggeri messicani fanno irruzione in città, con l’ordine di distruggerla e uccidere tutti gli abitanti (!). Mentre i coraggiosi abitanti formano le prime barricate per organizzare una resistenza, Tex, in sella al suo velocissimo Dinamite, attraversa le linee nemiche come un demonio, sparando e falciando gli avversari, e corre a cercare aiuti Inseguito da alcuni cavalleggeri, si ferma in un boschetto e col suo tiro infallibile fa passar loro la voglia di insistere nella caccia; indi riprende la corsa e giunge trafelato a Fort Wellington, poco prima di mezzogiorno. Qui lancia l’allarme, non senza aver preso a pugni uno sfortunato capitano che, in nome dei regolamenti, aveva cercato di fermarlo sulla porta del comandante. Subito il nostro eroe riparte alla guida di due squadroni, per soccorrere Santa Fe, ma a breve distanza dal forte vedono la cavalleria messicana che si sta dirigendo su di loro e rientrano in fretta, consci della loro inferiorità numerica. Comincia l’assedio. Grazie ai consigli e alle astuzie di Tex, i difensori riescono a infliggere forti perdite al nemico, e, mentre la confusione degli assedianti è al culmine, Tex ne approfitta nuovamente per uscire dal forte al galoppo. Inseguito da una ventina di messicani,, riesce a levarseli dalle costole utilizzando il fuoco, che appicca all’erba secca della prateria, e poi al suo implacabile Winchester. Ed ecco la conclusione di questa guerra, tanto sanguinosa quanto breve e inaspettata: Grazie a Tex, l’allarme vien dato in tempo. Da tutti i forti lungo la frontiera partono squadroni di cavalleria che puntano con manovra convergente u Santa Fe, mentre il governo degli Stati Uniti si prepara a rintuzzare gli ambiziosi piani del Messico. In pochi giorni la frontiera è in fiamme: il primo scontro avviene a Buena Vista e, dopo cinque ore di furiosa battagliala cavalleria messicana è obbligata a ripiegare in disordine su Las Palomas. Ma, nonostante le prime dure sconfitte, i messicani non desistono dalla lotta, e la trasformano in guerriglia.

Qui finisce la parte propriamente storica, o meglio epica, della vicenda contenuta nell’albo n. 3, intitolato Fuorilegge (e ora si vedrà il perché di questo tiolo), mentre il racconto continua lasciando le vicende storiche sullo sfondo e rimettendo al centro Tex, alle prese con quello che diventerà il suo nemico più famoso: Steve Dickart, alias Mefisto. Questi, con l’avvenente sorella Lily, dà spettacoli d’illusionismo nelle cittadine di frontiera, ma questa è solo la copertura della sua vera attività: raccogliere notizie militari da passare ai servizi segreti messicani, per favorire le incursioni delle bande di guerriglieri che agiscono, così, a colpo sicuro. Il principale strumento spionistico di Mefisto è la sua seducente sorella, ai cui piedi cascano tutti i giovani e inesperti ufficialetti che, travolti dalla passione, non si rendono conti di lasciarsi sfuggire notizie riservate e di notevole importanza militare. Tex viene convocato da Mr. Marshall, capo del West Department, che gli spiega: Tex, questa stupida guerriglia col Messico ci sta dando più grattacapi di una guerra con una grande potenza… Sì, lo so cosa volete dire, Tex. Il Messico sta già trattando la pace e pagherà i danni recati dall’incursione delle sue truppe nel Texas… Questo è ciò che si sa. Ma ciò che invece sanno solo i nostri presidi di frontiera è che bande numerose di messicani stanno seminando rovine e morti. Il nostro eroe viene perciò incaricato di condurre delle indagini e ci mette poco ad arrivare sulla pista buona. Lo insospettisce la coincidenza fra le località toccate dal prestigiatore Mefisto, con la sua bionda sorellina, e gli attacchi mirati e inattesi delle bande di guerriglieri. Intanto i messicani attaccano il villaggio di Rio Negro. Tex aiuta gli abitanti a opporre una valida difesa e poi sottopone a interrogatorio un prigioniero, che la folla avrebbe voluto linciare, ottenendo preziose informazioni, che lo mettono in grado di smascherare e struggere tutto il sistema di spionaggio organizzato da Mefisto, e che si serviva di piccioni viaggiatori per trasmettere le notizie fra una banda e l’atra. En passant, il nostro eroe ha anche modo di compiere una buona azione, rimettendo sulla retta via un padre di famiglia che aveva preso il vizio del bere, venendo in soccorso del bambino maltrattato dal genitore alticcio (cosa che fa, ovviamente, con la sua infallibile pedagogia a suon di cazzotti). Mefisto e la bella Lily vengono arrestati, ma, mentre una diligenza li traduce verso la cotre marziale, la donna riesce a farsi liberare dal solito tenentino innamorato di lei, che viene poi ricompensato con un proiettile al cuore, mentre Tex è messo fuori combattimento da una botta in testa. Mefisto, prima di fuggire, fa scrivere alla sorella una falsa lettera che lo accusa di averla voluta ricattare per motivi sessuali, sicché, al suo risveglio, Tex si ritrova in prigione, in attesa di essere processato per alto tradimento. Tutti i suoi amici gli voltano le spalle, tranne Kit Carson, che, convinto della sua innocenza, gli dà una pistola, grazie alla quale il ranger riuscirà a fuggire e inizierà una sua guerra personale, per dimostrare la propria innocenza e per dare a Mefisto e alla perfida sorella la meritata lezione. La conclusione avverrà assai più tardi, dopo molte appassionanti avventure, quando, nell’albo successivo, L’eroe del Messico (n. 4), Tex ritrova i suoi nemici insediati in una bella fazenda, dove trattano i peones come schiavi. La sua vendetta sarà terribile, ma non li ucciderà: farà in modo di consegnarli, vivi, anche se assai mal ridotti, a un tribunale americano, perché siamo processati per i loro numerosi crimini. Nel frattempo, avendo stretto amicizia con un simpatico bandido, Montales, Tex si è preso a cuore niente di meno che il destino del Messico, e dà un decisivo contributo alla guerriglia contro il corrotto governo di Città del Messico che,alla fine crolla, e al cui posto si insedia un nuovo presidente, mentre Montales, divenuto quasi un gentiluomo, viene promosso generale. La scena finale è commovente: Tex, che ha ideato e guidato una serie di azioni risolutive, viene abbracciato dal presidente dalla barba bianca, che giura di far regnare per sempre la pace sulla frontiera. Così le due nazioni si riconciliano e il lettore apprende che il "vero" Messico è pur sempre una nazione rispettabile, abitata da gente per bene, nonostante tutte le nefandezze sinora compiute, a partire dal massacro di Santa Fe.

Nonostante le incongruenze, anche geografiche (Santa Fe pare sia nel Texas) e le inverosimiglianze (una guerra scatenata dal Messico, a freddo, "solo" per svaligiare una banca, e poi svaporata in "una stupida guerriglia"), si tratta di una delle migliori storie del "primo" Tex: ben congegnata sul piano narrativo, fila che è una meraviglia. Un ragazzino che l’abbia letta a circa dieci anni, non la dimenticherà più. Una storia come questa può dare un valido contributo sia a far nascere l’interesse per la storia, sia a coltivare la naturale fantasia dei bambini. Quando essa apparve, negli anni ’60 del secolo scorso, erano molte le cose che offrivano utili spunti didattici: le copertine dei quaderni, le figurine da raccolta, la televisione (che allora era davvero didattica) e, perché no, anche i fumetti. Lo stesso vale per i giocattoli. Quel bambino di 10 anni, dopo aver letto L’eroe del Messico, poteva vedere una scatola di soldatini messicani nella vetrina di un negozio e sognarsela la notte, finché non aveva racimolato il denaro per comprarla. L’interesse per la storia, e, in genere, per la ricerca razionale, e quello per le creazioni della fantasia, che, per l’adulto, sono due cose completamente distinte, nel bambino hanno una radice comune: il meraviglioso. Per lui, affamato di scoperte, quasi ogni cosa può fornirgli la spinta giusta, sia verso la nascita di una passione scientifica, sia verso i voli della fantasia poetica. L’importante è che l’ambente in cui il bambino vive, e in primo luogo la famiglia, sia sano, oltre che moralmente, anche intellettualmente: che vi siano, cioè, se non la cultura e il sapere, almeno l’amore e il rispetto verso di essi. E che vi sia, nei genitori, almeno un po’ di quello stupore verso il mondo, che poi si trasmette ai bambini, e senza il quale ogni cosa, anche un bellissimo album a fumetti, resta un oggetto inerte, spento; mentre, se c’è, tutto, ma proprio tutto, e non parliamo dei giocattoli, diventa una porta verso il regno incantato della fantasia.

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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