
Volersi bene, volersi male
31 Maggio 2018
Fino a quando resteremo nella terra di nessuno?
1 Giugno 2018Nel romanzo Die Glocken von Hochwald (Le campane di Hochwald), il sacerdote tirolese Sebastian Rieger (1867-1954), noto con lo pseudonimo di Reimmichl e autore di una cinquantina di libri, ma conosciuto soprattutto per i suoi calendari popolari, che entravano in tutte le case, immagina che uno strano e inspiegabile fenomeno si sia prodotto nel villaggio alpino di Hochwald. Dopo l’invasione francese e la guerra del 1809, che ha sconvolto la vita di quelle valli solitarie e causato lutti e distruzioni, e dopo il venir meno dell’estrazione mineraria, che aveva alimentato nei secoli la vita del villaggio, la chiesa è stata distrutta e infine sia la parrocchia sia il comune sono stati spostati nel villaggio di Niederwald, situato più a valle, fiorente per le attività agricole. Ma nel vecchio villaggio semi-abbandonato, talvolta, misteriosamente, si ode il suono delle vecchie campane: campane che, al tempo in cui la chiesa era stata distrutta, erano scomparse e mai più ritrovate. Esso pare uscire dalle profondità della Parete Nera, la montagna piena di gallerie, ai cui piedi era sorto il villaggio. La vecchia Threinl, una contadina ottantenne tutta rugosa, racconta ai giovani, nella luce incerta del tramonto che arrossa le pendici del monte, la cui vetta sfavillava di ghiacciai, che le campane, qualche volta, suonano ancora, e infatti molti le hanno udite. Coi suoi occhi quasi spenti per l’età, la nonnina assicura di riconoscere bene le loro voci, quella della campana grande che segna il tempo e quella della vecchia campanella: come un leggero vibrare, che qualcuno invece attribuisce a un’eco delle campane della pianura, ma che lei sa bene essere proprio il suono delle vecchie campane. E a chi le obietta che nessuno avrebbe potuto compiere un’impresa così ciclopica, come quella di portare lassù, sulla Parete Nera, le campane di Hochwald, neppure mille uomini tutti insieme, lei risponde che quella, infatti, non è stata opera umana, ma che gli Angeli hanno portato fin lassù le campane per volere della Madonna, dopo che il povero villaggio è rimasto senza la sua chiesa e senza più Dio.
Questa gentile leggenda, scritta da un prete cattolico che nutriva un affetto sconfinato per la sua terra, la sua gente e la sua antica tradizione cristiana, e che per questo era amato e stimato da tutti i suoi concittadini, suscita in noi delle profonde riflessioni e qualche malinconico confronto, in questa nostra Europa post cristiana del 2018, sfacciatamente dominata dalle banche e dall’usura, come denunciava, negli stessi anni in cui scriveva Reimmichl, un’altra grande anima cristiana, il futuro san Massimiliano Kolbe, e anche un grande poeta che forse cristiano non era, o non lo era nel senso corrente, ma che certo nutriva un profondo amore e rispetto per la civiltà europea generata dal cristianesimo, l’americano Ezra Pound. Schiacciata dall’usura e dalla speculazione finanziaria, ma anche abbrutita, dall’interno, dall’abbandono delle sue migliori tradizioni e dal dilagare del materialismo, dell’edonismo, del consumismo e del culto di cento altri idoli pagani, l’Europa di oggi somiglia al villaggio alpino di Hochwald dopo la tempesta delle guerre napoleoniche, che significò, per quelle valli appartate, l’irruzione della modernità, con le parole d’ordine della Rivoluzione francese e l’inizio dei processi di modernizzazione che hanno significato, per il nostro continente, la perdita delle sue tradizioni, delle sue radici e della sua stesa anima. Come per il villaggio tirolese la tempesta del 1809 fu solo il principio di una radicale trasformazione, che avrebbe investito tutti gli ambiti della vita, materiali, intellettuali e spirituali, così per noi, europei nati dopo la Seconda guerra mondiale, gli anni del boom economico e della rapida, capillare americanizzazione hanno portato, insieme ai film di Hollywood e alla Coca-Cola, la distruzione sistematica di ciò che oltre mille anni di storia avevano costruito e accumulato di bello e di nobile, dalla Divina Commedia alle cattedrali e dalla Summa theologiae di Tommaso d’Aquino alla musica di Bach. Ci domandiamo perciò, se in questo deserto in cui abbiamo trasformato il nostro continente sentiremo mai più il suono delle campane, se udremo mai più la voce degli Angeli che ci chiamano e ci scongiurano di rivolgere nuovamente le nostre anime a Dio.
Il sentimento più diffuso fra le persone, oggi, o almeno fra quelle che noi conosciamo, sembra essere lo scoraggiamento. Non c’è più un orizzonte di speranza; si respira ovunque un senso di oppressione, di chiusura e anche di tristezza; è come se le persone si stessero ripiegando su se stesse, a somiglianza dell’erba di un prato rinsecchita dalla siccità. Qualcuno borbotta: Dio ci ha abbandonati!, ma, ovviamente, non è Dio che ci ha voltato le spalle, ma siamo stati noi a voltare le spalle a Lui. Abbiamo rincorso gli idoli e ci siamo genuflessi davanti ad essi, porgendo loro i nostri sacrifici; ora ci meravigliamo e ci rammarichiamo per il silenzio di Dio. Abbiamo fatto del nostro meglio, o piuttosto del nostro peggio, per non udire più la sua voce, la voce del Buon Pastore; abbiamo chiuso il cuore e gli orecchi alle voci degli Angeli, alle dolci preghiere della Madonna. Siamo rimasti senza il suono delle campane perché abbiamo disertato le chiese e perché abbiamo trasformato anche le chiese in luoghi profani, dove si svolgono discorsi profani, un fastidioso chiacchiericcio che non solo non aiuta le anime a incontrare Dio, ma le allontana ancor più da Lui, perché le confonde, le frastorna e le raggira con parole dal sapore umano, troppo umano (come direbbe Nietzsche).
I preti non sembrano più annunciatori di Dio, ma sindacalisti, politici, attivisti dei movimenti per i diritti civili. Parlano sempre e solo dell’uomo e dei suoi dirti: ne rivendicano di sempre nuovi, puntano il dito contro questo e contro quello, che impediscono di attuarli come si dovrebbe; hanno sempre bisogno di un nemico da accusare. Ma questo nemico non è mai il diavolo, e non è mai l’egoismo che si annida nel cuore degli uomini. No, questo discorso non lo fanno, non ne sono proprio capaci, perché sarebbe un discorso impopolare: invece di applausi, costerebbe loro fischi e risposte piccate. E loro vogliono piacere agli uomini, mica al Signore: sono passati i tempi nei quali san Pietro diceva ai capi dei giudei: Bisogna piacere a Dio piuttosto che agli uomini, e lo deva rischiando il martirio. Oggi i preti della neochiesa, debitamente progressisti e "di strada", non sanno parlare d’altro che dei "poveri", e non si accorgono che i più poveri di tutti sono proprio loro, perché hanno perso la fede; e, subito dopo, lo sono i loro parrocchiani, che sono rimasti senza pastori, e si stanno sbandando in tutte le direzioni, insidiati dai lupi pronti a sbranarli. Chi è più povero, infatti, di un prete che si riempie la bocca di parole, perché nella sua anima non splende più la luce di Dio; e di un cattolico che va in chiesa cercando una parola di vita eterna, come la cerva assetata che anela ai rivi delle acque, e invece non trova altro che discorsi umani, politici, sindacali, economici, sociologici? È per questo che le anime vanno in chiesa: per sentir parlare di psicologia e di psicanalisi, per sentir celebrare gli dei che hanno tradito e che hanno fallito, il comunismo e il consumismo? Oppure ci si va soprattutto per incontrare il Signore, per comunicarsi con il Corpo e il sangue di Gesù Cristo? E allora perché i neopreti vogliono trasformare la santa Messa nella indecorosa passerella del loro esibizionismo, del loro narcisismo, del loro smisurato, patologico egotismo? È per vedere il prete che sale all’altare sui pattini, o pedalando con la bicicletta attraverso la navata; è per vederlo dire Messa con i burattini, o con la promessa dell’aperitivo; ed è per sentirgli dire che lui non fa recitare il Credo, perché non ci crede, o perché inviti all’altare una coppia omosessuale, invitando i fedeli a farle festa e dicendo che si augura al più presto un riconoscimento ecclesiastico delle unioni gay? Ed è per ricrearsi lo spirito, ascoltando il vescovo che, dall’ambone, con il pastorale stretto in mano, intona le ultime canzoni di musica leggera, con la disinvoltura di un disc jockey di terz’ordine?
Se la peggiore povertà è la lontananza da Cristo, allora la neochiesa ha veramente toccato il punto più basso dell’umana miseria. E, quel che è peggio, ha trascinato nella sua miseria anche le masse dei fedeli, molti dei quali hanno smesso del tutto di andare alla santa Messa e di accostarsi ai Sacramenti. Conosciamo personalmente parecchie persone che non vogliono più andare in chiesa perché hanno il cuore sanguinante a causa dello spettacolo indecente cui devono assistere, da quando codesti neoprati modernisti e progressisti hanno gettato la maschera. Non è vero che sono soprattutto i giovani, quelli nati e consacrati dopo il Concilio; ce ne sono parecchi di maturi e anche di anziani, e sono, a volte, i più scatenati, i più scomposti, i più brutti. C’è una pagina, ne La morte a Venezia, in cui Thomas Mann si descrive lo sconcerto e il disgusto del professor Aschenbach allorché, assistendo alla chiassata serale di alcuni giovanotti in vena di facezie, scopre che il più sfacciato, il più osceno del gruppo è, a ben guardare, un vecchio laido, truccato e vestito da giovane, ma con le rughe sul volto e tutti gli altri segni dell’età. Ebbene: a quel vecchio laido, camuffato da giovane, che nasconde la canizie sotto la tintura dei capelli e che si agita e fa le smorfie più di tutti gli altri, per dissimulare il fatto di essere un intruso, uno che non dovrebbe essere lì, paragoniamo i neopreti e i neovescovi di età avanzata, i quali si agitano più scompostamente di tutti gli altri per confondere le carte e spacciarsi per dei giovani anche loro; e lo fanno perché, fra le stupide mode della modernità, c’è il giovanilismo, e quindi anche loro vogliono emendarsi dal peccato di essere vecchi, e allontanare da sé anche solo il sospetto di poter pensare "vecchio". Pensare vecchio, nella neochiesa dei nostri giorni, significa pensare come la Chiesa ha pensato per millenovecento anni, fino alla Concilio Vaticano II; significa pensare che al centro di tutto c’è Dio, e non l’uomo; e che l’uomo dà un senso alla sua vita se dentro di sé cerca e trova il suo Creatore, non se pretende di mettersi al suo posto e di farne le veci, improvvisandosi signore e padrone dell’universo. Ecco, anche questa è una somma forma di miseria: arrivare a dominare le cose, a mandare razzi nello spazio profondo, a clonare gli esseri viventi e manipolare la catena del Dna, ma restare orfani di Dio e perciò smarriti, senza un significato da dare al proprio esistere, tranne quello, bestiale, d’inseguire il denaro, il successo e il piacere. In questa umiliante forma d’indigenza siamo sprofondati; e coloro i quali avrebbero dovuto richiamarci a noi stessi, ricordandoci di essere i figli adottivi di Dio, invece di farlo, hanno moltiplicato le voci di confusione, orgoglio e superbia che già ci avevano sedotti e fuorviati, Invece di essere d’aiuto a noi, ci sono stati d’inciampo. A loro si possono perciò applicare le severissime parole di Gesù (Lc, 11, 52): Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito.
Oh, certo: essi sono lontanissimi dal pensare ciò. Non hanno alcuna veritiera percezione di se stessi: si sentono più che mai bravi, fedeli al Vangelo, zelanti nella misericordia; peccato che facciano sempre riferimento a "Francesco", e quasi mai a Gesù Cristo. Dell’Angelo custode, dei Santi, di Maria Vergine, poi, non parlano praticamente mai E non è un caso: ritengono che parlarne sia cosa da vecchiette, da contadini un po’ superstiziosi; roba di una volta, roba di prima del Concilio. Sì, è vero che tutti i Santi hanno sempre battuto e ribattuto su questo punto: bisogna pregare, restare uniti a Dio, farsi piccoli davanti a Lui, supplicare la virtù dell’umiltà, per poter accogliere il suo Spirito. Ma in fondo, nel loro orgoglio luciferino, i neovescovi e i neopreti se ne fregano anche dei Santi. Se ne parlano, è solo per proporre alla gloria degli altari qualche ribelle secondo i loro gusti, come don Milani, o qualche massone, come il cardinal Martini. E perché no il buon Andrea Gallo? Quanto dovremo aspettare per vederlo assurgere alla gloria degli altari? Lui, così misericordioso verso prostitute, omosessuali e transessuali, così benevolo verso i drogati, ma non per aiutarli a ravvedersi, bensì per glorificarli nei loro vizi e nei loro peccati, è il perfetto esemplare del "santo" prete d’oggi. Altro che il Curato d’Ars, che ce l’aveva perfino con le innocenti osterie, e che si presentò dicendo di voler mostrare ai suoi parrocchiani la via per salire al Cielo. Oggi il neoclero vuol mostrare ai fedeli la via della terra, meglio ancora se questa terra è un po’ fangosa: perché si sguazza ancor più volentieri nel fango, se il peccato viene dichiarato lecito, anzi, se viene proclamato cosa buona e giusta, sacrosanto diritto della persona a realizzarsi. E quando vedremo proclamato santo un laico come il defunto Marco Pannella, del quale monsignor Paglia ha tratteggiato un quadro così lusinghiero, così commovente, così incondizionatamente elogiativo, al punto di additarlo a modello di vita anche per noi cristiani? Divorzio, aborto, sodomia, droga, eutanasia: via, che importanza volete che abbiamo, simili quisquilie? Bisogna saper guardare al cuore delle cose: e il cuore di Pannella, parola di monsignor Paglia, era pervaso da un’altissima spiritualità. Ora è appena giunta notizia che papa Francesco intende proclamare cardinale un certo Turibio Ticona, arcivescovo emerito boliviano, Porco di nome e di fatto, che si dice abbia vissuto per anni con moglie e figli, i quali si facevano chiamare orgogliosamente moglie e figli del vescovo di Patacamaya. Ma sì, a questo punto perché no? E se tutti possono diventare cardinali, anche i porci, perché non potrebbero diventare pure santi? Non abbiamo forse udito che Giuda Iscariota, pentendosi, ha meritato anch’egli il paradiso? E allora, avanti: nella neochiesa c’è posto per tutti, nessuno escluso, benché impenitente. Ma le campane e le voci degli Angeli, le sentiremo ancora?
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