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Lo spaventoso ruggito del coniglio mannaro

Un ruggito spaventoso si è levato in queste ore dai recessi più ombrosi della foresta primeva, la foresta della politica italiana, e proprio da parte di chi dovrebbe fare l’arbitro e portare, semmai, un po’ di rasserenamento nell’agitato momento istituzionale che stiamo vivendo. Ma tant’è: lo sappiamo bene che i cittadini italiani devono far da soli; se aspettassero che a fare i loro interessi si muovessero quanti sono pagati per farlo, e hanno giurato di farlo sulla Costituzione — sulla Costituzione della Repubblica Italiana e non su quella dell’Unione europea, fino a prova contraria — potrebbero rimanere in attesa fino al giorno del Giudizio. E infatti, dopo anni e decenni di pestoni sui calli, perfino gli italiani più miti e remissivi, perfino i più rassegnati e stanchi, paiono essersi alzati in piedi, sia pure un po’ faticosamente, e aver fatto qualche passo in quella direzione: riprendersi la loro effettiva sovranità; e fare in modo che chi va al governo, una volta tanto, faccia i loro interessi e quelli della loro nazione, e non quelli dei poteri finanziari internazionali, non quelli di Bruxelles e della Banca centrale europea. La quale, per chi non lo sapesse, è una banca privata, come lo sono del resto le banche centrali dei singoli Stati, Banca d’Italia compresa, a dispetto del nome che farebbe supporre tutt’altro; e perfino gli italiani più disinteressati alla politica e più ignoranti di economia si sono accorti che l’odor di bruciato si stava facendo davvero troppo forte e che, a continuare a subire in silenzio, si rischiava realmente di finire in mutande, come quei sei milioni di concittadini che già ci sono finiti.

E così, il 4 marzo scorso, un primo passo c’è stato: gli italiani hanno bocciato clamorosamente i partiti che li hanno condotto al disastro e che si son girati dall’altra parte mentre le banche si mangiavano i loro risparmi, e il capitale straniero si comprava l’Italia, un’azienda alla volta, una fetta alla volta. In pratica, otto italiani su dieci hanno votato per quelle che i politologi chiamano le "forze antisistema": orribili ammucchiate di populisti, xenofobi, estremisti di destra & simili: hanno votato per il Movimento Cinque Stelle e per la Lega, due partiti che, pur nella notevole diversità delle prospettive, dei retroterra culturali, degli stessi programmi elettorali, una cosa in comune sicuramente ce l’hanno: mandare a casa i signori dello sfascio, i generali dell’8 settembre, i Gentiloni e i Renzi, le Boldrini e le Fedeli, i Grasso e le Boschi, tutta gente che brilla per il fatto di venire dal nulla e di poter tornare nel nulla senza lasciare assolutamente nulla dietro a sé; tutta gente che è stata nominata, non votata, e che, dall’alto del pulpito che si è costruita da sola, ha preteso non solo di proseguire il saccheggio dell’Italia ma anche di impartire quotidiane lezioni di progressismo, femminismo, ecologismo, buonismo, immigrazionismo e laicismo a un tanto il chilo, occupandosi assai più dei matrimoni omosessuali che dei seicentomila clandestini liberi di rubare, stuprare e spacciare (e magari fossero davvero "solo" seicentomila), e più di riformare il vocabolario per chiamare la signora Boldrini "signor presidente" che ridare una speranza di lavoro, non precario e non sottopagato, a milioni di italiani disoccupati, specialmente giovani, ormai sempre più massicciamente in fuga verso l’estero, con tutte le loro lauree, le loro specializzazioni e le loro magnifiche, ma ormai inutili, competenze. E non parliamo dei professori che vanno a scuola con la paura di essere picchiati, dei poliziotti che arrestano i delinquenti con la paura di essere denunciati, dei giornalisti che fanno il loro mestiere con la paura di essere licenziati o querelati, dei capitreno, dei conducenti di autobus e corriere e dei bigliettai che fanno il loro lavoro con la paura di essere aggrediti e, pure loro, denunciati per abuso d’ufficio, se pretendono di vedere il biglietto e far valere i regolamenti; e così via. Ma per le Boldrini, Fedeli & Boschi va tutto bene, per Gentiloni, Renzi & Grasso noi viviamo nel migliore dei mondi possibili, anzi, qualcosa da fare ancora ci sarebbe: dare più potere ai magistrati di sinistra, incutere ancora più paura ai tutori dell’ordine, imporre ancora più normative burocratiche ai commercianti, aumentare ulteriormente l’I.V.A. e varare altre grandi opere grazie alle quali possano banchettare col denaro pubblico i soliti noti e se possibile i banchieri amici degli amici, o padri, figli, fratelli e sorelle di ministri, deputati e senatori. Il voto del 4 marzo, dunque, è stato una protesta contro tutto questo e una esortazione a formare un nuovo governo sulla base di forze completamente nuove, giovani (non solo in senso anagrafico), e anche un segnale inviato all’Europa: adesso basta, abbiamo pazientato vent’anni, da quando siamo entrati nell’euro abbiamo subito di tutto, anche perché i nostri governanti erano incapaci o venduti, ma ora la pacchia è finita, da quarta potenza economica mondiale siamo scesi alla venticinquesima, ma ora la musica cambia. Abbiamo visto la Germania diventare sempre più ricca grazie a un marco che ha fatto fuori le nostre esportazioni, che le facevano tanta concorrenza, e una Francia la quale zitta, zitta, si sta mangiando, un boccone dopo l’altro, le nostre migliori aziende pubbliche e private; ci siamo visti bacchettati ogni santo giorno, accusati di essere disonesti e spendaccioni, di non saper tenere i conti in ordine, di essere inaffidabili circa il pagamento del debito (l’accusa più ridicola di tutte, e per molti mortivi), siamo stati umiliati in continuazione dalle agenzie di rating, e perfino svillaneggiati da banchieri fraudolenti e ubriaconi come il signor Juncker, una vergogna vivente che ben rappresenta il vero volto dell’Unione europea.

Adesso, però, gli italiani hanno mandato un segnale chiaro e netto, si volta pagina, comincia un altro giro. E questo, naturalmente, non è piaciuto. A nessuno piace veder finire la pacchia; figuriamoci ai banchieri e agli squali della finanza. E subito la campagna anti-italiana è ripartita, come ai "bei" temi del 2011: subito lo spread (toh!, qualcuno se lo ricorda?) è risalito, e subito si sono moltiplicate le voci di ammonimento, di messa in guardia, di richiamo, di vera e propria ingerenza, da parte di tutti quei signori, verso l’Italia e verso il nuovo governo, prima ancora che si sia riusciti a farlo. Per due mesi e mezzo son fioccate le minacce e le lusinghe; poi, quando si è profilato l’impensabile, quando quei signori hanno visto, con autentico raccapriccio, che Salvini e Di Maio, pur avendo contro mezzo mondo, dentro e fuori l’Italia, erano riusciti a mettere insieme un accordo di governo, ecco che qualcuno si è ricordato che c’era ancora un altro modo per mettere i bastoni fra le ruote a quei terribili euroscettici, a quei populisti semi-fascisti, a quei biechi sovranisti (che strano: essere per la sovranità è diventata una parolaccia! e da quando?): il Colle. Ma sì, certo, era l’uovo di Colombo: per fare un governo ci vuole il placet del Colle, ci vuole la firma del Colle. Il Colle per antonomasia: il Quirinale; insomma, il Presidente della Repubblica. Un signor nessuno all’ennesima potenza, del quale nessuno si è mai accorto da quando al signor Renzi è saltato il capriccio di farlo salire al Quirinale, il tutto nel contesto di un Parlamento illegittimo, perché eletto con una legge elettorale dichiarata illegittima dal massimo organo costituzionale dello Stato. Quindi, se la logica non è un opinione, per il principio di non contraddizione, un illegittimo anche lui. Fino a ieri, che ci fosse un inquilino nel Palazzo del Quirinale, non se n’era accorto proprio nessuno. Che Mattarella ci fosse o non ci fosse, non aveva mai fatto alcuna differenza. E avrebbe continuato a non fare differenza, se le cose, il 4 marzo, fossero andate come finora erano andate (ma in assenza di elezioni), cioè se egli si fosse trovato a dover ratificare un governo del "taglio" di quelli di Monti, Letta, Renzi & Gentiloni. Un governo fatto non per difendere l’Italia e gli italiani, ma per difendere gli interessi del capitale finanziario straniero e per conservare all’Italia lo status di semicolonia degli Stati Uniti d’America e dell’Unione europea. Insomma, se avesse dovuto avallare la nascita dell’ennesimo governo insignificante, incaricato di voltar la testa dall’altra parte mentre il saccheggio dell’Italia continuava. Invece si è trovato davanti a una spaventosa e imprevedibile realtà, al materializzarsi del peggiore di tutti gli incubi: un governo Cinque Stelle più Lega, e senza nemmeno Berlusconi (il quale, dopotutto, avrebbe potuto azzopparlo dall’interno, anche tramando con Renzi, per cui sarebbe stato comunque ben visto dagli "amici" di Bruxelles): orrore degli orrori. E come se non bastasse tanta sciagura, il povero Mattarella si è visto sottoporre, per la firma, il nome di un ministro dell’Economia come Paolo Savona, notoriamente euroscettico, ovvero critico verso le politiche suicide che fin qui hanno consegnato l’economia italiana, legata mani e piedi, ai pescecani tedeschi e francesi.

Eh, via: c’è un limite a tutto! Si può mandar giù qualche rospo, per il bene della Patria, ma non si può chiedere a Mattarella di approvare la nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia. Già è stata dura, durissima, accettare che gli Interni vadano a Salvini, e il Lavoro a Di Maio: ma se all’Economia ci va un Savona, allora non c’è proprio più religione, tanto vale chiamare Attila o Gengis Khan, non ci sarebbe differenza. E così il buon Presidente, che già non ha fatto il suo dovere evitando di dare un mandato esplorativo alle forze politiche che hanno vinto le elezioni, cioè le forze di centro-destra, ora si vuol togliere tutti i sassolini dalle scarpe e far sentire che, al Colle, un inquilino c’è, dopotutto: anche se finora faceva solo tappezzeria, e nessuno si era accorto della sua esistenza, ora gli italiani hanno saputo che lui c’è, perbacco: e infatti hanno udito l’urlo spaventoso del coniglio mannaro levarsi dai profondi recessi della foresta. Il sangue si è gelato nelle vene a milioni di italiani, e milioni di razzisti, di fascisti, di populisti, di sovranisti e altri tipacci del genere, si son messi addosso una paura da non credere. Hanno capito che ora non si scherza; hanno capito di aver tirato troppo la corda. E ora dovranno pagarne le conseguenze. Questo ministro non s’ha da fare, proprio come vogliono a Bruxelles, e pretendono Juncker, Merkel e Macron: un euroscettico al ministero dell’economia? Mai! Vuoi vedere che i francesi e i tedeschi non potranno seguitare a fare shopping a danno delle nostre migliori aziende, e che l’Italia smetterà di essere la discarica di tutte le ondate migratorie provenienti dall’universo mondo? Perfino l’alcolizzato Junker si è imbufalito su questo delicatissimo tema: i dritti degli africani, e ha fatto sapere, udite, udite, che l’Italia deve stare bene attenta, se, sotto il governo di Salvini e Di Maio, non tratterà gli immigrati africani con tutti i diritti loro riconosciuti dalle leggi internazionali. Lui, il banchiere lussemburghese, dalle cui parti di immigrati africani non è che se ne vedano molti; lui, che non si è mai commosso troppo per i sei milioni di italiani poveri, o meglio ridotti in povertà dalle spoliazioni della Banca centrale europea; lui, che se n’è fregato mentre il popolo greco veniva letteralmente cannibalizzato dal debito pubblico, ad opera dei banchieri tedeschi… Ora lui, proprio lui, fa la voce grossa con l’Italia, e su che cosa? Sul tema dei diritti ai migranti africani. Straordinario; commovente. Meriterebbe il premio Nobel del surrealismo, se ci fosse. Ma si spiega: fino a ieri, avevamo i Gentiloni…

Bene: questa è la situazione. Il grido agghiacciante del coniglio mannaro è echeggiato a lungo nel sottobosco, fra le liane, e ha spaventato perfino i coccodrilli e i pitoni. Ora vedremo che succederà. Se l’inquilino del Colle (ora sappiamo che esiste) rifiuterà di controfirmare la nomina di Paolo Savona all’Economia, in fondo renderà, per la prima volta, un servizio agli italiani: farà cadere loro definitivamente la benda dagli occhi. Farà loro capire come stanno realmente le cose, qualora ci fosse ancora qualcuno che non lo ha ben chiaro. Intanto, lasciamo che Renzi e gli altri sciacalli del Pd starnazzino che l’impennata dello spread è colpa di Salvini e Di Maio: miserabile spettacolo, ma tutt’altro che nuovo, degli italiani che fanno il tifo per il nemico esterno, pur di vedere schiacciato il loro nemico interno. Roba da principati del XV secolo, da Conte di Camagnola e battaglia di Maclodio. Lasciamoli fare: è bene che gli italiani vedano da chi sono stati governati per settanta anni: dai generali alla Badoglio, che hanno regalato la Patria agli stranieri, e l’hanno chiamata Liberazione. Ma siccome al peggio non c’è fine, e neanche al disamore di stessi, ecco che, su un piano intellettualmente un po’ più raffinato, sta venendo avanti un’altra, micidiale accusa al (non ancora nato) governo populista e sovranista: quella di essere lo strumento di un disegno politico-finanziario anglo-americano. Si congettura: dietro Salvini e Di Maio c’è Trump, ci sono Wall Street e la City, che vogliono servirsi di loro per mettere in difficoltà l’Unione europea a tradizione tedesca, e, se possibile, farla saltare. Certo, è possibile che un tale disegno esista; diremo di più, è perfino probabile. Ma il punto non è questo. La politica, specie quella internazionale, è una cosa sporca: bella novità, vero? Solo le anime candide non lo sapevano. Ed è sporca perché tutti cercano di usare tutti, di infiltrarsi ovunque, di manipolare a più non posso. Dunque, se c’è chi manipola Renzi (e Berlusconi) in pro della Germania e della Francia, c’è anche chi vorrebbe manipolare Salvini e Di Maio in pro degli USA e della Gran Bretagna, che ne hanno tutto l’interesse: dollaro e sterlina contro euro. Senza dubbio ci proveranno: non siamo così ingenui, o distratti, da non aver notato qualche strano andirivieni di Di Maio e qualche inusuale uscita dell’ambasciatore americano un Italia. Ma bisognerà vedere se i pesci abboccheranno: i conti si fanno alla fine. Questo governo non è ancora nato, e non sappiamo neppure se nascerà. In ogni caso, è il governo, più o meno, che gli italiani hanno votato il 4 marzo. Se ne facciano una ragione i trombati. Mettiamolo alla prova dei fatti, poi si vedrà. Per una volta, almeno la partenza sembra buona. Proviamo a non tifare contro…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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