Il Dio cristiano s’identifica coi poveri?
14 Maggio 2018
Sì, certo: Bonhoeffer è un maestro del nichilismo
15 Maggio 2018
Il Dio cristiano s’identifica coi poveri?
14 Maggio 2018
Sì, certo: Bonhoeffer è un maestro del nichilismo
15 Maggio 2018
Mostra tutto

Se la Chiesa è per il mondo, non è per la fede

Abbiamo già avuto modo di osservare quanto danno il troppo lodato e troppo ammirato Dietrich Bonhoeffer abbia fatto al sentimento religioso del XX secolo e quanto incautamente, per non dire colpevolmente, parecchi teologi cattolici siano andati a prendere a prestito da lui concetti e tesi fuorvianti, che non solo non hanno nulla di cattolico, ma neppure nulla di cristiano, e dai quali la fede dei cattolici non ha ricevuto altro che confusione, smarrimento, scetticismo, relativismo e indifferentismo (cfr., in particolare, il nostro articolo: Il caso Bonhoeffer alle origini della svolta antropologica nella teologia contemporanea, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 26/06/2008 e sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 12/02/2018). Ma è inevitabile tornare ancora su questo teologo luterano, perché al cuore della sua concezione protestante, secolarizzata e nichilista, vi è una idea di Chiesa che, tramite il malefico influsso di Karl Rahner, passerà direttamente nella teologia cattolica a partire dal Concilio, e sempre più farà sentire la sua influenza nei decenni successivi. Possiamo anzi dire che alcuni aspetti, i più controversi, discutibili e inquietati, della "nuova" pastorale di papa Francesco, dietro i quali si cela un pensiero non cattolico, e una volontà di sovvertire e capovolgere la vera dottrina cattolica, come si manifestano in questi ultimi tempi, da parte di numerosi teologi e vescovi della neochiesa, da Bianchi a Grillo, e da Paglia a Galantino, trovano la loro radice ultima proprio nel pensiero di Bonhoeffer, il quale, a causa della sua coraggiosa opposizione al nazismo e della sua tragica fine, è stato ammirato e celebrato non solo per i suoi indubbi meriti civili, ma anche per dei meriti teologici immaginari e inesistenti, al punto che le sue idee più discutibili e inaccettabili hanno ricevuto, di riflesso, una sorta di approvazione "dovuta" in omaggio alla sua figura morale. Una volta capito questo, cioè una volta capito quanto le ide di Bonhoeffer, ma anche di Barth, Bultmann, Tillich, siano penetrate a fondo nelle Facoltà teologiche cattoliche e ne abbiano inquinato l’atmosfera da cima a fondo, operando, per il tramite di Rahner e di Kasper, una strisciante e inarrestabile "protestantizzazione" del cattolicesimo, si arriva anche a comprendere come si sia arrivati alla sorprendente, scandalosa "celebrazione" dei 500 anni della cosiddetta Riforma protestante da parte della Chiesa cattolica, con tanto di emissione di un francobollo da parte delle Poste Vaticane e con l’improbabile viaggio in Svezia di Bergoglio per celebrare una "riconciliazione" che non ha alcun senso, se viene realizzata a spese della verità. Del pari, si capisce come la spinta di una parte della Conferenza episcopale tedesca verso la comunione "mista", dei cattolici insieme ai loro coniugi protestanti, faccia parte di un quadro culturale complessivo nel quale, da più di mezzo secolo, cioè, appunto, dal Concilio, si diffondono apertamente tesi e interpretazioni teologiche che non hanno più nulla di cattolico e che partono dal pensiero di Bonhoeffer; tesi e interpretazioni che capovolgono il giusto rapporto tra la Chiesa e il mondo, vedendo la Chiesa (sia cattolica, sia luterana) come una specie di condensazione della coscienza degli uomini moderni, nella quale non si capisce se Cristo sia ancora Dio venuto ad annunciare il Vangelo al mondo o se non sia, per caso, un Dio che s’identifica con il mondo, nel qual caso alla Chiesa non resta altro da fare che sparire (come voleva Lutero) per cedere il passo a una "coscienza adulta", grazie alla quale gli uomini si rapportano direttamente a Dio, sola fide (sempre come voleva Lutero), cioè senza bisogno di alcuna mediazione. Anche la penosa risposta di Bergoglio al conflitto creatosi fra i vescovi tedeschi a proposito della "intercomunione", con il suo rifiuto di far rispettare la dottrina cattolica, a norma di diritto canonico, e l’invito a quei vescovi a trovare un accordo fra di loro, come se una simile questione si potesse decidere, da parte di una Chiesa locale, in termini di compromesso diplomatico, fity fifty, dà un’idea di quanto sia caduto in basso il cattolicesimo da quando ha incautamente aperto le porte agli influssi disastrosi di quei teologi luterani della scuola liberale, i quali, di liberalismo in liberalismo, sono arrivati, come appunto nel caso di Bonhoeffer, al nichilismo e allo scetticismo veri e proprio, e che nulla hanno da offrire al tanto conclamato "rinnovamento" della Chiesa cattolica dopo il Concilio. Sono cose, queste, di puro buon senso; le chiese protestanti, desolatamente vuote, stanno a indicare il pieno e totale fallimento di quei teologi liberali nell’avvicinare gli uomini a Dio e nel trovare un linguaggio "moderno" mediante il quale annunciare il Vangelo. E come è possibile, per i cattolici, prendere a modello codesti teologi del fallimento, dei teologi i quali hanno allargato, anziché ridurre, la distanza sempre più grande che si è creata fra gli uomini moderni e la fede cristiana?

Questo è un arcano che i vari Sosa Abascal, Bergoglio, Paglia, Galantino dovrebbero spiegare; che i vari Bonny, Kesel, Marx e Schönborn dovrebbero spiegare, perché è evidente che va contro il più elementare senso comune. Eppure, le riviste teologiche che vanno per la maggiore nel mondo cattolico italiano, Hermeneutica, Concilium e anche Communio (le differenze fra queste ultime due sono solo di dettaglio, non certo di sostanza), ormai da molto tempo, diffondono a piene mani le idee di Bonhoeffer, di Bultmann, di Tillich, eccetera, oltre, naturalmente, a quelle di Rahner, di Congar, di De Lubac, di Schillebeeckx. Pertanto, non c’è da meravigliarsi che la stampa cattolica destinata al vasto pubblico, come il quotidiano della C.E.I. L’Avvenire, o il settimanale Famiglia Cristiana, per non parlare della rivista dei gesuiti, La Civiltà Cattolica, un tempo gloriosa e meritoria, oggi caduta molto in basso e dominata da un cieco servilismo verso l’inesistente "teologia" del papa argentino, somiglino sempre più a dei giornali protestanti, o peggio, a dei giornali laicisti, nei quali trovano spazio interviste e scritti di autori non solo non cristiani, ma anticristiani, e vengono rivalutate le idee peggiori che hanno funestato il dibattito teologico nel XX secolo, mentre sono state espulse e ridotte al silenzio le voci di quegli autori autenticamente cattolici, come Antonio Livi, o come Giovanni Cavalcoli, i quali hanno il torto di non aver mai ammirato e lodato il "vento di novità" proveniente dalla Germania, né in salsa protestante, né in salsa cattolica "conciliare", e hanno sempre tenuto fermo sui punti essenziali della vera dottrina cattolica. Tutto questo, ripetiamo, parte da lontano, e uno dei cattivi maestri che l’hanno reso possibile, senza alcun dubbio, è stato, obiettivamente parlando, e cioè facendo astrazione dai meriti personali dell’uomo e del resistente al nazismo, Dietrich Bonhoeffer.

Scriveva Andrea Milano in Chiesa per il mondo. Sulla ecclesiologia di Dietrich Bonhoeffer (in:  Hermeneutica, Nuova Serie, Brescia, Morcelliana, 1996, pp. 91; 93-94):

Qualche tempo dopo la stesura della tesi di dottorato, nel 1928, in una conferenza alla comunità luterana di Barcellona, Bonhoeffer era giunto a proclamare che "il messaggio cristiano è in linea di principio amorale e areligioso, per quanto paradossale ciò possa suonare". Ma se non c’è alcuna via dall’uomo a Dio, neanche quella della religione o dell’etica, allora anche la Chiesa andrebbe denunciata come il più grandioso di tutti i tentativi umani di arrivare al divino. […]

Nelle meditazioni cui si dedica nella prigionia berlinese, prendendo una volta di più le distanze da quel Barth alla cui scuola era andato per la stesura di "Sanctorum communio", Bonhoeffer si chiede se, per caso, non stia di fatto sopraggiungendo un’epoca del tutto nuova nella quale la religione venga in concreto a cessare. Ormai per Bonhoeffer la "religione" viene a coincidere con la "coscienza" e con la "interiorità" vale a dire con quelle dimensioni dello spirito umano esaltate fra il XVII e il XIX secolo nella cultura europea dominata dall’influsso protestante. Una volta nel carcere, provocato a queste conclusioni particolarmente dalla lettura di Dilthey, l’ultimo Bonhoeffer si chiede perciò se "stiamo andando incontro a un tempo completamente non-religioso": in questo caso, "che situazione ne deriverebbe allora per noi, per la Chiesa? Come può Cristo diventare il signore anche dei non-religiosi? Ci sono cristiani  non-religiosi? Se la religione è solo una veste del cristianesimo – e questa veste ha assunto essa pure aspetti molto diversi in tempi diversi – che cos’è allora un cristianesimo non religioso?"

Ci si è spesso domandati de la "profezia" sulla fine della "religione" sia stato il più alto e duraturo dei contributi offerti da Bonhoeffer alla teologia oppure non sia stato l’equivoco di un prigioniero tagliato fuori dal mondo e preda di allucinazioni. è e resta, tuttavia, un azzardo definire Bonhoeffer un "visionnaire inquiétant" (R. Marlé). Non significa banalizzare Bonhoeffer se si afferma che, per lui, il mondo giunto alla maggiore età" significa semplicemente questo: che cioè ai nostri giorni, sottraendosi alla ineluttabilità di quanto una volta si considerava natura e destino, l’uomo ha imparato a districarsela meglio che in passato e così è divenuto capace di organizzare più responsabilmente la propria vita. Chi mai potrà contestare questo dato di fatto? E una volta che si prenda coscienza di questa situazione senza panico e senza ignavia, non ci si deve forse domandare che cosa si può e si deve fare? Ecco il discorso che Bonhoeffer si prone di mettere a fuoco con quel discorso  sulla "mondanità della fede" che, a prima vista, sembra erompere con una sconvolgente carica di innovazione. Bisogna però sottolineare che tutto il discorso di Bonhoeffer va sempre ad incardinarsi all’interno di una  caratteristica visione teologica secondo la quale sono precisamente Dio e Cristo a donare al mondo la propria "mondanità".

Già da queste poche righe, che fanno parte di un saggio abbastanza corposo, e che bisognerebbe leggere integralmente, appare evidente l’atteggiamento di ammirazione, benevolenza, profondo rispetto per il pensiero di Bonhoeffer, equiparato a quello di un "maestro" (per dei cattolici!), fecondo di spunti e di stimoli per la Chiesa dei nostri giorni. E sono precisamente queste idee che hanno portato allo stato di anarchia e di relativismo incontrollato che vediamo, infatti, dominare nella Chiesa cattolica del nostro tempo. Lo scontro fra vescovi favorevoli alla "intercomunione", capitanati dal solito Marx, e quelli contrari, guidati dal primate olandese Ejick (che ha avuto parole durissime per l’atteggiamento pilatesco di Bergoglio), è qualcosa d’inconcepibile secondo i normali parametri della vita cattolica; qualcosa che, prima del Concilio, nessuno avrebbe mai potuto immaginare, neanche nei suoi peggiori incubi. Forse che una questione di dottrina, da cui dipende la salute delle anime, si può decidere così, mettendo un po’ di vescovi intorno a un tavolo, come i rappresentanti dei partiti si siedono a uno stesso tavolo per cercare un accordo in vista della formazione di un nuovo governo? E poi, se anche l’accordo, per ipotesi, si trovasse (cosa in realtà impossibile, vista la radicalità della contrapposizione), che cosa significherebbe: che la Chiesa tedesca decide da sé cosa sia il sacramento dell’Eucarestia, e che ogni altra chiesa locale è autorizzata a fare altrettanto? Avremmo così una dottrina e una prassi della santa Eucarestia in Germania, un’altra in Italia, un’altra ancora in Cile, o in Sudafrica, o in Australia. È questo che vogliono i "novatori"? È questo l’obiettivo della riforma di Bergoglio: creare l’anarchia e il caos permanenti nella Chiesa cattolica? Se è questo il loro obiettivo, bisogna dire che ci sono già arrivati tremendamente vicino. Eppure, se si accoglie l’idea di Bonhoeffer che la Chiesa è per il mondo; se si condivide la sua idea che bisogna respingere la visione pessimistica del mondo (una critica al quarto Vangelo e alla teologia di Giovanni?); se si condivide l’idea di Bonhoeffe che "il mondo è diventato adulto", e che quindi deve imparare a fare come se Dio non ci fosse, etsi Deus non daretur; se si condivide, infine, l’idea di Bonhoeffer che il cristianesimo è essenzialmente areligioso e amorale, allora non c’è da stupirsi che la pazzia sia entrata, e alla grande, nei seminari cattolici e che stia dando i suoi tragici frutti a livello liturgico, pastorale e dottrinale, dal più umile prete in vena di fare l’originale, su, su, fino a colui che siede, indegnamente, sul seggio di san Pietro, e che, da quando è stato eletto papa, è furiosamente impegnato a far di tutto, tranne che il papa. Quello che maggiormente colpisce, però, nel brano di prosa che abbiamo riportato, non è tanto l’atteggiamento di ammirazione verso il pensiero di Bonhoffer da parte di un autore cattolico, quanto la piena condivisione dell’orizzonte spirituale complessivo del teologo luterano. Per lui, ai nostri giorni, sottraendosi alla ineluttabilità di quanto una volta si considerava natura e destino, l’uomo ha imparato a districarsela meglio che in passato e così è divenuto capace di organizzare più responsabilmente la propria vita. E la domanda retorica di Andrea Milano, chi mai potrà contestare questo dato di fatto?(un dato di fatto!), ci lascia di sasso. Un cattolico non può ragionare così: non pensa affatto che l’uomo moderno sappia districarsela meglio che in passato, e sia più responsabile e maturo nell’organizzare la propria vita. Rispetto a quale passato, poi? Rispetto a quando la società era cristiana, diciamo cento o duecento anni fa? Ma per carità: è vero il contrario. Possibile che costoro non si accorgano di lodare proprio la malattia della modernità, che bisogna combattere per riportare le anime a Dio? Possibile non vedano che l’uomo moderno si è smarrito proprio per aver voluto fare come se Dio non ci fosse, e che perciò la Chiesa deve tornare a parlargli di Gesù Cristo?

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.