
Allegria: arriva la cultura dei diritti civili
26 Aprile 2018
Più grande è la menzogna, più arduo smascherarla
28 Aprile 2018Ci attendono tempi difficili; dobbiamo attrezzarci in vista di eventi e situazioni eccezionali, allorché tutti i nostri punti di riferimento saranno aggrediti, strappati dai loro cardini e letteralmente rovesciati nel loro esatto contrario. Il male sarà chiamato bene, e il bene, male; il falso sarà dichiarato vero, e vero il falso; il malvagio sarà dichiarato buono, e il buono, malvagio; il brutto sarà dichiarato bello, e il bello, brutto. La stragrande maggioranza delle persone, vuoi per conformismo, vuoi per debolezza e pusillanimità, si adatterà abbastanza rapidamente a questa situazione; e, naturalmente, vi saranno quelli che si autonomineranno custodi del nuovo ordine vigente e faranno gli zelanti cani da guardia, pronti ed attenti a sorprendere quanti non si saranno piegati – molto pochi, senza dubbio – per denunciarli e fare in modo che vengano prese contro di loro tutte le misure necessarie. Si andrà dal disprezzo morale e dalla rovina della carriera fino alle denunce, ai tribunali e alle condanne: alcuni saranno ridotti al silenzio con delle multe salatissime, che li obbligheranno a chiudere i loro giornali, i loro siti internet o i loro blog; altri finiranno addirittura in prigione o dovranno frequentare dei corsi di rieducazione sociale, per imparare le nuove regole del gioco. Il meccanismo fondamentale della repressione, tuttavia, sarà quello della dissimulazione: nessuno parlerà di un""nuovo" ordine sociale, di un "nuovo" modo di pensare, perché si vorrà far credere che esso sia esistito da sempre, che non vi siano mai stati altri paradigmi legittimi; ci si inventerà che, sì, un tempo qualcuno la pensava diversamente, ma si trattava di individui malvagi e di società aberranti, regressive, oscurantiste: in breve, si pretenderà di rifare la storia, cancellare il passato, anzi di modificarlo, cambiarlo, fare finta che sia stato in altro modo da come è realmente stato. E tutto ciò sarà necessario, dal punto di vista della classe dirigente, perché se sopravvivesse qualche testimonianza di come era realmente la società, di come era la cultura fino a qualche tempo prima, le nuove generazioni potrebbero sospettare quel che è avvenuto, una vera e propria manipolazione globale, una specie di Truman Show planetario, mentre il delitto perfetto è quello in cui viene fatta sparire ogni traccia, non solo dell’arma del delitto, ma anche della presenza in quel luogo di quelli che lo hanno compiuto, e perfino del movente. Infatti l’obiettivo della élite occulta, o neanche tanto occulta (basta consultare sulla rete i nomi delle prime dieci o dodici banche mondiali e si troveranno tutti i nomi dei congiurati) non è semplicemente quello di sottomettere l’umanità e trasformarla in una massa servile impegnata a lavorare in condizioni sempre peggiori per accrescere la sua ricchezza, ma anche far sì che non si renda conto del proprio abbrutimento e non sospetti neppure che si potrebbe vivere in un altro modo, per esempio ribellandosi alla propria schiavitù e ripristinando condizioni di esistenza normali, dove il lavoro e il risparmio non siano totalmente abbandonati nelle mani dei banchieri e della speculazione finanziaria e dove esista realmente una libera circolazione delle idee, al posto dell’insulso bla, bla che dà l’illusione di un libero dibattito, mentre la libertà effettiva si riduce a spettegolare su questioni futili di moda, di gossip o di tifo sportivo, ma non sfiora nemmeno da lontano le cose importanti della vita e dell’organizzazione sociale.
Di fronte a questo futuro, che è già incominciato, perché molte delle cose ora dette sono già nella realtà dei fatti, è necessario prepararsi e non lasciarsi prendere alla sprovvista. La domanda decisiva è se sarà possibile evitare di essere completamente travolti dal flusso in arrivo, destrutturati come persone e come soggetti pensanti, ridotti all’insignificanza più completa, come le mucche in un allevamento bovino, e per giunta, in buona misura, consenzienti al proprio sfruttamento e al proprio avvilimento. Per rispondere a questa domanda, bisogna capire come sia stato possibile che si sia giunti fino a questo punto. A noi pare che ciò sia accaduto perché già da un pezzo la maggioranza delle persone avevano rinunciato ad essere tali, e si erano ridotte ad essere gente: vale a dire atomi senza radici, senza coscienza, senza identità e, spesso, anche senza un codice etico. Una volta che le persone si degradano a gente, o si lasciano degradare, il gioco è fatto: non resta che metter loro la cavezza e trascinarle nel luogo desiderato, docili e remissive, perfino collaborative, quanto potrebbe esserlo, appunto, una mandria di buoi, perfettamente abituata a rispondere nei modi appropriato alle sollecitazioni del mandriano. La seconda cosa che bisogna capire è come sia accaduto che tante persone siano scese così in basso, si siano lasciate abbindolare in questo modo. La risposta è che sono state prese al laccio delle loro passioni disordinate, che qualcuno, senza dubbio, ha sollecitato ad arte, attraverso l’uso sempre più spregiudicato della pubblicità, dei mass media, specialmente il cinema e la televisione, dei giochi elettronici, della musica leggera, dello spettacolo in genere e di buon parte della cosiddetta cultura contemporanea; le solite, eterne passioni, antiche quanto l’uomo: superbia, lussuria, cupidigia. Una volta preso all’amo, l’uomo cessa di essere una persona, perde il controllo di se stesso e incomincia a regredire al livello di gente: individuo anonimo, spersonalizzato, inconsapevole e perciò irresponsabile.
Una volta compreso che il meccanismo è questo, che le cose sono andate così per queste ragioni, ne deriva con chiarezza quale sia la strada da prendere per reagire alla sottomissione e alla totale insignificanza in cui siamo caduti, non senza nostra colpa e responsabilità. Infatti, la minuscola élite globale, pur con gli immensi mezzi finanziari, e perciò anche mediatici, dei quali dispone, non sarebbe riuscita a sottomettere più di sette miliardi di individui, e farlo in maniera tale che questi non se ne rendano neppure conto, se la grande maggioranza di questi non fosse stata ben lieta di lasciar entrare il nemico in casa propria: di togliersi dalle spalle, cioè, il fardello della propria libertà di persona, con tutti i sacrifici e le fatiche che tale libertà personale comporta, per trasformarsi in docili strumenti del potere occulto, desiderosi solo di soddisfare i propri appetiti più bassi e di appagare il proprio ego ipertrofico e narcisista, in definitiva ansiosi di lasciarsi alienare e imbestialire, come fecero i compagni di Ulisse, prima gustando il cibo dei Lotofagi, che provoca l’oblio della patria e della propria identità, poi consentendo alla maga Circe di trasformarli addirittura in maiali, e ciò sempre per la debolezza del loro volere e per la tendenza a cedere troppo facilmente al richiamo dei piaceri sensuali. Nei versi dell’Odissea noi vediamo già prefigurato il conflitto fra una umanità desta e consapevole, rappresentata da Ulisse, e una umanità sviata e dimentica di sé, manipolabile a volontà da chiunque scopra e sappia sfruttare adeguatamente le sue segrete debolezze. La morale che possiamo ricavarne è che solo chi sa conservarsi padrone di se stesso, dei propri istinti, dei propri appetiti, e solo chi non smarrisce la consapevolezza di sé, la memoria del passato, né perde di vista la meta che vuole raggiungere, può evitare di lasciarsi ingannare e sottomettere; può perfino concedersi il lusso di ascoltare l’incantevole, ma mortale canto delle Sirene, però dopo aver preso le necessarie precauzioni per non essere trascinato a rovina.
D’altra pare, proprio l’episodio delle Sirene evidenzia un altro aspetto caratteristico dell’uomo che confida molto, e forse troppo, nelle proprie forze: la curiostias, non sempre sostenuta da una dose altrettanto forte di virtus (ricordiamo le parole di Dante, riferite appunto alla narrazione del viaggio del "suo" Ulisse: e più lo ‘ngegno affreno ch’i’ non soglio, / perché non corra che virtù nol guidi: Inf. XXVI, 21-22); curiositas che è fatta d’inquietudine, febbre di nuove esperienze, amore dell’avventura e anche del rischio, e che si esprime oggi, per esempio, nella pratica dei cosiddetti sport estremi, per vedere si dove si possa arrivare nello scherzare col pericolo. Questo aspetto della psicologia umana si è enormemente sviluppato nell’uomo moderno, in una misura che all’uomo antico sarebbe risultata incomprensibile: perché nell’uomo antico Ulisse rappresenta decisamente l’eccezione, mentre nella civiltà moderna essa è quasi la regola, anche se molti vivono tale dimensione in una maniera tale per cui non afferrano neppure tutto il potenziale di pericolosità che essa porta con sé. Si assiste ormai quotidianamente allo sconcertante spettacolo di bambini, ragazzi, uomini (e donne) adulti, e perfino vecchi, i quali, dopo essersi cacciati in situazioni di pericolo d’ogni genere, mostrano la più grande e, si direbbe, la più sincera meraviglia allorché, poi, le circostanze li mettono di fronte alle conseguenze, talvolta drammatiche, della loro imprudenza, della loro leggerezza e della loro incoscienza. Dai principianti che si avventurano su difficili percorsi di montagna, agli speleologi che scendono in una grotta in una giornata che il bollettino meteorologico annuncia come molto piovosa, gli esempi sarebbero pressoché infiniti: ci sono i visitatori dello zoo che infilano le mani fra le sbarre della gabbia di una tigre, al modesto impiegato che si gioca al tavolo verde tutto lo stipendio, e anche i suoi sudatissimi risparmi. Il movente, in entrambi i casi, è lo stesso: perché l’attrazione verso il pericolo nasce, spesso, da una forma di dipendenza, e la dipendenza verso comportamenti che sono oggettivamente destabilizzanti (come il vizio del gioco) è il surrogato di quelle emozioni pericolose cui molte persone anelano, ma senza avere il coraggio fisico per esporvisi materialmente. La radice, tuttavia, è identica: si è segretamente insoddisfatti della propria vita, della propria condizione; si è frustrati, ci si annoia, si vorrebbe un cambiamento; si prova la tentazione compulsiva di sfidare la sorte, di giocare col destino, di mostrarsi più forti di tutto, compreso l’istinto più radicato, quello della propria conservazione. Ciò avviene quando, in una società, si perde completamente di vista ciò che è essenziale e lo si confonde con ciò che è secondario o irrilevante. Chi ha compreso il valore della vita, e il perché la vita ci è stata data, non gioca con essa; se la mette a repentaglio, lo fa solo in casi estremi, quando è in gioco qualcosa il cui valore supera quello della vita stessa. Di certo non lo farebbe per nutrirsi di emozioni "forti" che provocano il rilascio di adrenalina e consentono di inebriarsi con un effimero senso di onnipotenza: perché chi sfida intenzionalmente e gratuitamente un pericolo mortale si sente e si crede onnipotente, almeno finché gli va dritta, ma proprio quel senso di ebbrezza lo spinge a tentare delle continue verifiche di tale onnipotenza, con l’esito finale che si può facilmente immaginare, poiché il destino non si lascia beffare all’infinito.
Abbiamo detto che esistono delle cose il cui valore è superiore a quello della vita stessa e ciò avrà fatto sobbalzare gli esponenti della cultura politicamente corretta, i fautori dell’umanesimo integrale, compresi i cattolici progressisti, per i quali la vita è il massimo bene esistente ed immaginabile. Eppure è così: pur essendo dotata di un grande valore, la vita umana non è il valore supremo: il valore supremo è la verità, che comprende tutti gli altri, a cominciare dal vero bene. Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici, dice Gesù Cristo, durante l’Ultima Cena, rivolto ai suoi discepoli; e, di lì a poche ore, ne darà la dimostrazione pratica, offrendo la sua vita sulla croce, per amor loro e per amore di tutti gli uomini. Dunque, la vita è sacra, nel senso che nessuno può disporne con leggerezza, perché appartiene a Dio soltanto; ma non è il bene supremo, perché non appartiene all’uomo. Una vita strappata alla morte per mezzo del tradimento verso i propri amici, ad esempio, non è una vita degna di essere vissuta; a meno che subentri un profondo pentimento, nel qual caso quella vita diverrà una incessante preghiera di espiazione e di riparazione. Questa riflessione ci riporta al tema iniziale e ci permette di chiudere il cerchio. Nulla è perduto, fino a quando noi siamo capaci di conservare noi stessi: cioè di conservare la nostra identità, la nostra libertà, la nostra dignità di persone; ma se abdichiamo a tutto questo, magari in cambio del piatto di lenticchie del consumismo, cioè della servile adorazione delle cose (perché il consumista crede e s’illude di servirsi delle cose e di disporne a piacimento, mentre ne diviene il servitore, e sono esse a disporre di lui: ragion per cui si dovrebbe sempre specificare: il diabolico consumismo), allora tutto è veramente perduto, la società è destinata al crollo – a cominciare dalla società fondamentale, la famiglia – e l’umanità non riuscirà mai più a riscattarsi dalla miserevole condizione in cui si è ridotta: quella di un immenso branco di animali da fatica, di consumatori alienati, rassegnati e disciplinati, nonché di produttori di cose in gran parte inutili o nocive, che essi stessi, poi, dovranno consumare, volenti o nolenti, in un circolo chiuso e senza fine, del quale si avvantaggeranno solo i padroni della finanza mondiale. Per scongiurare una tale eventualità, abbiamo una strada ben chiara da seguire: quella del distacco dalle cose e della rinuncia alle passioni disordinate che ci tengono legati a un potere estraneo più forte di noi: chi lascia morire in sé l’uomo vecchio, pieno di ego, di ambizioni e di funesta brama di potere, gratificazioni e piaceri, è libero dal ricatto del sistema usuraio sul quale si fonda la civiltà moderna. Il diavolo, sommo artefice e sommo regista di essa, non trova il modo di far presa su di lui; e i suoi vassalli, i tentatori, i corruttori di questo mondo, coloro i quali gli offrono sesso, denaro e carriera in cambio della sua anima, resteranno a mani vuote, perché egli rifiuterà di porgere il collo per farsi mettere il guinzaglio. Ma una tale forza nessun uomo può averla da sé: deve chiederla a Colui che può tutto…
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