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4 marzo 2018, che hanno capito i cattoprogressisti?

Che cosa hanno capito, i cattolici progressisti, delle elezioni del 4 marzo 2018? Si sono resi conto che si è trattato di un massiccio referendum contro la politica globalista e migrazionista del signor Bergoglio e dei vario Paglia, Galantino & Co? Hanno fatto una sia pur minima riflessione sul fatto che la maggioranza degli stessi cattolici non ne può più di sentirsi predicare il dovere cristiano dell’accoglienza, essendosi resi conto che di un tale dovere non esiste alcuna traccia nel Vangelo, ma che è un’invenzione della massoneria ecclesiastica andata al potere (non solo in Vaticano, ma anche nell’Italia dei vari Monti, Letta, Renzi e Gentiloni) al preciso fine di ricattare i fedeli, e in generale gli italiani, per ottenere la loro adesione, o meglio la loro sottomissione, alle politiche miranti a favorire l’invasione africana ed islamica del nostro Paese e la graduale sostituzione degli italiani con milioni di africani, e del cattolicesimo da parte dell’islamismo? Hanno compreso che gli italiani hanno compreso qual è il gioco della neochiesa, e che hanno sonoramente bocciato il "partito" di Bergoglio? Quello di Eugenio Scalfari, de La Repubblica e del Partito democratico, quello di Renzi e De Benedetti? Il quale papa, guarda caso, dice esattamente le stesse cose che dice il plurimiliardario George Soros, e che dicono tutti i propugnatori del mondialismo, e invita, dietro la scusa, e il ricatto, della solidarietà e dell’accoglienza verso i "migranti", a fare buon gioco alla invasione in atto e ad accettare la dissoluzione delle identità nazionali, culturali e religiose, nella fattispecie la dissoluzione dell’Europa, della sua civiltà e della sua religione, cioè il cristianesimo. E hanno capito che molti italiani hanno capito da quali centrali culturali e politiche prendono l’imbeccata gli uomini, consacrati e laici, della neochiesa progressista e modernista, a cominciare dal B’Nai B’rith, sorta di massoneria ebraica che è sempre in prima fila nel predicare il multiculturalismo e l’integrazione, anche se gli ebrei, dal canto loro, si guardano bene dal mettere in pratica simili principi, specialmente in Israele (che non accetta di tenersi neppure 16.000 migranti), ma si limitano a raccomandarli caldamente a tutti gli altri, e alla Chiesa cattolica in primissimo luogo, dato che in essa vi sono così tante paia d’orecchi più che disposti ad ascoltarli?

Per farsi un’idea di quel che la neochiesa di Bergoglio e la cultura cattolica progressista e neomodernista, che ad essa si ispira e che da essa trae alimento, e a sua volta l’ha ispirata e stimolata, basta vedere quali riflessioni ne ha tratto uno dei più caratteristici esponenti del cattolicesimo progressista, il professor Andrea Riccardi, guru e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, teorico della "chiesa delle periferie" o "in uscita" (come dice Bergoglio), uomo di punta del dialogo inter-religioso inaugurato dal Concilio Vaticano II e dello "spirito di Assisi". Egli è grande amico del rabbino Riccardo Di Segni, dal quale ha ricevuto il maggiore attestato di stima che un non ebreo possa ricevere da un ebreo (ha fatto del rapporto con gli ebrei il punto focale della sua vita: così su Avvenire del 18/01/200) e ammiratore dell’ebraismo, specie del noachismo e del rabbino Elia Benamozegh (1823-1900), profeta di una super-religione che nascerà quando cristiani e islamici riconosceranno il loro "errore" nei confronti della superiore verità dell’ebraismo, e una specie di super-panteismo, camuffato da "universalismo", sostituirà le vecchie fedi, basandosi sul principio che tutto l’universo è una "incarnazione" di Dio, e non certo il solo Gesù Cristo, come credono i cristiani nella loro ottusa presunzione di falso popolo eletto (perché il vero popolo eletto è e rimane sempre quello dei yehudim, ben distinto dai goyim). Oltre che professore ordinario di storia contemporanea, nonché presidente della Società Dante Alighieri, Riccardi nel novembre del 2011 è entrato a far parte del più vergognoso fra i governi della storia italiana più recente, quello imposto all’Italia dalla Banca centrale europea nella persona del (massone) signor Monti, come ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione, con competenze anche su famiglia, gioventù, politiche antidroga, servizio civile, adozioni internazionali e antidiscriminazione razziale: mica poco per un ministro senza portafoglio, cioè senza alcun dicastero.

Riccardi tiene sulla rivista cattolica più diffusa, il settimanale Famiglia Cristiana dei Periodici San Paolo, una rubrica fissa intitolata Editoriale; il che la dice lunga sul suo notevole "peso" specifico nella stampa cattolica progressista, visto che, nel linguaggio dei comuni mortali, l’editoriale è un pezzo giornalistico scritto, di norma, dal direttore del giornale stesso (o almeno da lui ispirato), che nella fattispecie sarebbe don Antonio Rizzolo, e non da un redattore fisso, a meno che a questi vengano riconosciuti particolarissimi meriti e una speciale autorevolezza, insomma le qualità tipiche di una "grande firma". È una grande firma, quella di Andrea Riccardi? Possiamo farcene un’idea dalla interpretazione che egli ha dato, "a caldo", della giornata elettorale del 4 marzo 2018, sul numero 11 del 18/032013, in un pezzo significativamente intitolato Il messaggio del Vangelo resta fuori dalla scelte; sottotitolo: Le parole di Bergoglio sui migranti sono state ignorate dalla maggior parte degli elettori (ma per un giornalista cattolico, è normale parlare del papa regnante chiamandolo con il cognome di battesimo, come si farebbe parlando di un personaggio qualsiasi, e specialmente di un politico? Evidentemente sì). Fin dal titolo e dal sottotitolo, dunque, si prende atto che il voto degli italiani è stato, come minimo, anche un "no" secco a Bergoglio e alla sua linea immigrazionista; tuttavia, al tempo stesso, si lasciano trasparire tutto il disappunto, l’irritazione, il fastidio che quel risultato elettorale hanno suscitato nei cattolici progressisti, a cominciare appunto dai fan più sfegatati del signore argentino che siede sulla cattedra di san Pietro. La lucidità di una presa d’atto che quel voto, per loro, è stato una sconfitta secca, bruciante, senza alcuna possibilità di smentita, si sposa con l’orticaria, anzi, con il dispiacere e la stizza che esso ha provocato nei destinatari della protesta: i quali, da buoni integralisti, non si chiedono se per caso abbiano sbagliato qualcosa, ma lasciano capire, quasi prima di aprir bocca, che a sbagliare non sono stati certamente loro, bensì gli italiani.

Ecco i passaggi salienti dell’editoriale:

Balza agli occhi che il messaggio di papa Francesco e della Chiesa sugli emigrati e i rifugiati non sia stato recepito da una fetta maggioritaria dell’elettorato, anche se tra i comportamenti personali e la scelta elettorale non c’è sempre coerenza. IL "SOVRANISMO", ITALIA FIRST — DIREBBE TRUMP — PROFESSATO APERTAMENTE DA UNA PARTE DELLA DESTRA, NON SI CONCILIA CON LA GLOBALIZZAZIONE DELLA SOLIDARIETÀ E L’INTEGRAZIONE EUROPEA [la sottolineatura è dell’Autore] su cui papa Francesco ha insistito. La rabbia e la paura, espresse dal voto, non sono i sentimenti che Bergoglio ha predicato di fronte all’altro e al mondo globale. Non voglio però interpretare le elezioni come un test sull’insegnamento della Chiesa. Tuttavia bisogna riflettere in che misura taluni messaggi diventino cultura e vita del popolo cattolico. Il risultato elettorale avvicina l’Italia al sentire dei popoli dell’Est. In alcuni di essi è rilevante il peso di Chiese, però non troppo in sintonia con il messaggio papale sui migranti. Si può dire che il risultato elettorale manifesti uno scollamento dell’idea d’Italia degli elettori da quella solidale del Papa o pacata della Cei e infine della maggioranza dei vescovi.

EPPURE LA CHIESA NON È LONTANA DALLA VITA DELLA GENTE ED È IN CONTATTO CON I SUOI SENTIMENTI [come sopra]. Non è vera la rappresentazione, talvolta affiorata nella campagna elettorale, di vertici episcopali "solidali" e di un popolo cattolico che va in altro senso. Il problema è un altro. Le grandi culture popolari italiane di ieri si sono infrante con la globalizzazione e la fine delle ideologie: la gente è sola di fronte alla televisione e ai social in una stagione dominata dalle emozioni. Infatti il voto oggi è molto emozionale

Questa pagina di prosa è un vero capolavoro di ambiguità, di ammissioni e negazioni, di apparente autocritica e di durissima critica dell’altro; un capolavoro di tortuosità, capziosità e gesuitismo, anche sintatticamente, con quei falsi congiuntivi che spadroneggiano sin dalla prima riga. Cosa dice, infatti, Riccardi in queste sue riflessioni?

Primo, che l’elettorato ha ascoltato i richiami della destra e non del papa; ma questo non dovrebbe stupire chi sa che Famiglia Cristiana – che i suoi critici di area cattolica chiamano Fanghglia Cristiana – è, ormai da parecchi anni, un giornale dichiaratamente e ideologicamente contrario alla destra politica e quindi, necessariamente, un giornale classificabile come di sinistra.

Secondo, che gli italiani sono probabilmente migliori di quel che non sia apparso, perché pur avendo votato in maniera contraria all’invasione africana e islamica, nella vita privata non sono né intolleranti, né razzisti: insomma, italiani brava gente, tutto secondo il copione del politicamente corretto. Sottinteso: li perdoniamo perché abbaiano, ma non mordono.

Terzo: gli elettori sono stati comunque birichini, perché il loro voto è stato una espressione di rabbia e di paura, e ciò contrariamente alle indicazioni di Bergoglio; ma sul perché gli italiani siano diventati rabbiosi e impauriti, neanche una parola. E questo è cattivo giornalismo, oltre che pessima analisi politica. La mentalità dei "sinistri" è immodificabile: sanno solo tirar le orecchie agli altri.

Quarto — e qui si tocca il vertice dell’incoerenza — non si è trattato, comunque, di un test pro o contro l’insegnamento della Chiesa; e si noti che qui "l’insegnamento della Chiesa" è, tout-court, che gli italiani devono lasciarsi invadere e che devono rassegnarsi a una sostituzione di popolazione in favore dei nuovi arrivati, molto più prolifici e molto più aggressivi di loro . A questo punto ci si dovrebbe chiedere se sia legittimo un simile insegnamento da parte della Chiesa, e perciò che razza di chiesa sia quella che lo impartisce al popolo cattolico.

Quinto: il risultato elettorale avvicina gli italiani ai popoli dell’Est Europa; come tutti i catto-progressisti, qui il professor Riccardi non si mostra troppo ferrato in geopolitica, forse è rimasto ai tempi della Guerra fredda e della Cortina di ferro: perché l’Austria, l’Ungheria, la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Polonia non sono affatto Paesi dell’Europa orientale, ma della Mitteleuropa, dell’Europa centrale, centralissima, in gran parte eredi della cultura politica asburgica, nei quali, sì, esiste il peso di "certe chiese"- ma stiamo parlando soprattutto di quella cattolica -, però poco in sintonia con quel che dice il signor Bergoglio. Evidente allusione al Rosario dei Polacchi sui confini del loro Paese per preservare la sua identità cristiana contro l’invasione islamica: non potendo negare che quei popoli rifiutano i migranti non per ragioni di egoismo "laico", ma proprio per ragioni cattoliche, non resta che tacciarli di disobbedire alle direttive bergogliane. E qui sarebbe il nodo più difficile da sciogliere: quante sono le chiese cattoliche? Come è possibile che i cattolici di alcuni Paesi, coi loro vescovi e i loro preti in testa, vadano in direzione opposta a quella predicata dal papa? Il papa non dovrebbe essere il papa di tutti i cattolici, di tutta la Chiesa? E proprio questo papa, che identifica sempre il male con ciò che divide, e il bene con ciò che unisce, si rende conto di essere diventato il principale elemento di divisione nel mondo cattolico e nella Chiesa stessa? È normale, questo, per il professor Riccardi e per i cattolici progressisti? Evidentemente sì, perché Bergoglio è un progressista come loro. E tanti saluti alle buone intenzioni di unità, carità e comprensione nella Chiesa: si vede che questi valori sono tali solo se rivolti all’esterno, verso i luterani, i giudei, gli islamici, i massoni, ma cessano di essere delle virtù se rivolti all’interno.

Sesto: gli italiani hanno un’idea dell’Italia che diverge, che è scollata, da quella del papa, della Cei e della maggioranza dei vescovi. Un osservatore onesto, dopo aver fatto questa analisi, si farebbe qualche domanda personale: ma lui no, ci mancherebbe; non hanno forse la verità in tasca, i cattolici progressisti? Non sono forse gli unici che sanno cosa è il bene dell’Italia, e i soli che la possono governare come si deve? (Nello stesso numero di cui stiamo parlando, e già dalla copertina, l’intramontabile Rosy Bindi dichiara, o meglio minaccia: Solo un riformista credente può governare al meglio l’Italia; tradotto: solo un catto-comunista; ma signora Bindi, in che mondo vive se non si è accorta che l’Italia è già, da un bel pezzo, governata dai catto-comunisti? Renzi, Gentiloni, Mattarella, che cosa sono, secondo lei?) Esclusa la possibilità di una vera autocritica, non resta che metter le mani avanti per giustificare tale scollamento; e Riccardi lo fa usando gli aggettivi a ciò necessari: l’idea d’Italia del papa è solidale, quella della Cei è pacata. Dunque, a sbagliare non sono certo loro. (Domanda: ma il papa ha il diritto di esprimere la sua idea di ciò che l’Italia deve essere o di ciò che dovrebbe diventare? Lui, se non altro per ragioni di fair play politico — è pur sempre il capo di uno Stato indipendente e sovrano, e non è neanche cittadino italiano, ma dovrebbe essere il capo spirituale di tutti i cattolici del mondo, non farebbe bene a tacere su ciò?)

Settimo: la Chiesa non ha sbagliato, non è lontana dal sentire della gente (strano, dopo quanto detto sopra…). Come sostenere una così palese contraddizione? Affermando che il problema è un altro, frase ben poco originale; e gettando la colpa di tutto sulla televisione, che rende il voto emozionale

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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