
L’Italia è il laboratorio della élite globalista
9 Aprile 2018
Senza la grazia, l’uomo è meno di nulla
10 Aprile 2018Prima o dopo il nodo arriverà al pettine e il bubbone scoppierà: è inevitabile. Sotto la sapiente regia occulta della élite finanziaria globale, l’Europa si sta spaccando a metà: la metà favorevole alla invasione africana ed islamica, spacciata per accoglienza umanitaria, e la metà che vi si oppone, o meglio, che vorrebbe opporvisi, se lo potesse, cioè se vi fosse una sola forza di governo disposta a tanto. Attualmente, cioè è possibile solo in alcuni Paesi del centro-est, come la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, mentre nei Paesi fondatori dell’Unione (Germania, Francia, Italia e Benelux) è semplicemente impossibile anche solo formulare a voce alta e per esteso un programma di opposizione a tale progetto. Al massimo si può ancora parlare, e con difficoltà sempre più grandi, di rimpatriare i clandestini; ma nessuno osa discutere il diritto di milioni di africani e asiatici di entrare nei Paesi europei e di stabilirvisi in maniera perfettamente legale: ove, a causa del loro tasso d’incremento demografico, nel giro di nemmeno due generazioni avranno dominato il continente. E invece il problema è tutto lì. Perché è chiaro che i clandestini, in un modo o nell’altro, dovranno essere rimpatriati, perfino da Paesi super-accoglienti, come l’Italia (la quale, ingenuamente, si aspetta la riconoscenza del resto dell’Europa proprio per il fatto di essere così accogliente); ma ciò che costituisce un problema, realisticamente, non solo loro, bensì i milioni e milioni di "regolari", i quali pacificamente, silenziosamente, stanno sostituendo la popolazione europea, una strada dopo l’altra, un quartiere dopo l’altro, una città dopo l’altra. E per agevolare il loro disegno, i parlamenti legiferano nel senso di rendere sempre più breve l’iter per la concessione della cittadinanza; e alcune forze politiche, come il Partito Democratico, pur rappresentando circa un italiano e mezzo su dieci che vanno a votare, e probabilmente uno su venti del totale, ha provato sino all’ultimo a far approvare dal Parlamento una legge che avrebbe regalato la cittadinanza a tutti i bambini stranieri nati in Italia, per il solo "diritto" derivante dal territorio: ius soli. La legge, caldeggiata a suo tempo dalla signora Kyenge, farebbe dell’Italia — e non ci vuole un genio per capirlo – la sala parto di tutta l’Africa e di un bel pezzo dell’Asia: tutte le donne incinte desiderose di diventare cittadine europee prenderebbero d’assalto le nostre coste e i nostri confini terrestri, che, di fatto, non esistono più: perché i confini esistono quando c’è qualcuno disposto a difenderli e quando vige la norma che violarli è un grave reato, condizioni che da noi son venute meno da quel 28 marzo 1997 un cui il comandante Fabrizio Laudadio speronò una nave della mafia albanese carica di migranti e venne poi messo in croce per aver eseguito gli ordini del governo, miranti appunto alla difesa dei confini marittimi. Parlare di un blocco, o anche solo di una limitazione, dei cosiddetti migranti regolari, però, è divenuto impossibile; si viene immediatamente accusati di razzismo; specialmente se si è cattolici, perché il neoclero bergogliano ha eretto a dogma di fede (abusivamente ed ereticamente) il dovere di accogliere milioni di straneri, di farli entrare in casa, in chiesa e perfino partecipare alla Messa, loro, gli islamici che considerano i cattolici alla stregua d’infedeli, e che, nel Corano, leggono ogni giorno che Gesù Cristo non è Dio, non è il Figlio di Dio, ma solo un uomo, e che chi afferma il contrario è un miscredente (cosa che non impedisce al signor Bergoglio di prendere in mano il Corano e di deporvi sopra, per la gioia delle telecamere e dei fotografi, un bacio devoto, che è tutto un programma ideologico mondialista).
I popoli dell’Europa, tuttavia, si stanno svegliando. Un numero crescente di persone si sta destando dal sonnambulismo, si sta riscuotendo dal plagio e dal condizionamento ideologico, si sta perfino liberando dal ricatto morale. Queste persone non sono d’accordo sulle politiche di auto-invasione, né sulla generosità all’ingrosso nei confronti di masse di falsi profughi, specie di questi tempi, con milioni e milioni di europei impoveriti e proletarizzati dalla crisi finanziaria del 2007. Nascono delle correnti di opinione, dei movimenti sociali, delle forze politiche decisi a difendere l’identità, la civiltà, la tradizione del nostro continente. Naturalmente sono subito etichettati come razzisti, populisti e anche fascisti; ed essere definito "populista", nel linguaggio del politicamente corretto, equivale a una sentenza di bando perpetuo. Perciò, quando i giornali e i telegiornali (tutti a libro paga della élite finanziaria) designano un leader o un movimento con la parola "populista", la cosa equivale a una sentenza di morte civile e a una condanna morale inappellabile e inestinguibile. Ciò nonostante, rifiutando di lasciarsi ricattare e porre sotto scacco ideologico, i popoli europei si vanno organizzando, in cominciano a reagire. Le tanto deprecate forze "populiste" avrebbero forse vinto le elezioni del 2017 in Francia, se, per fermarle, non si fosse creata una crociata universale di tutti gli altri partiti, da destra a sinistra, contro di esse, col risultato di aver portato all’Eliseo una perfetta nullità come il signor Macron, il quale, però, a differenza di Marine Le Pen, fa e continuerà a fare tutto quel che vogliono le banche, e specialmente la Banca Centrale Europea, compresa la politica di auto-invasione islamista. Perfino nei due Paesi maggiormente sottoposti a pressione e a ricatto, la Germania e l’Italia — l’una per via del passato nazista, che le viene e le verrà rinfacciato in saecula saeculorum, l’altra per via della forte presenza di una neochiesa sempre più migrazionista e filo-islamica — le forze "populiste" sono in rapida crescita e, in prospettiva, potrebbero anche andare al governo. Centinaia di milioni di europei non ne possono più della retorica buonista e filantropica della quale squali e sciacalli come il miliardario George Soros si servono per travestire questa sporca operazione di alto tradimento: una serie di politiche, da parte delle classi dirigenti, che non hanno per fine il bene e l’interesse nazionale dei rispettivi popoli, ma un bene per qualcun altro o per qualcos’altro, ossia per un potere occulto, innominabile, quello dell’alta finanza mondiale. Essa, ed essa sola, ha interesse e trae vantaggio dalla politica di snazionalizzazione, distruzione della identità europea e di scomparsa del cristianesimo dall’orizzonte spirituale del mondo moderno. In un primo tempo se ne avvantaggerà anche l’islam, ma esso è solo una pedina nelle mani della élite finanziaria, che non è certo islamica, semmai in prevalenza ebreo-americana; e verrà anche la sua volta di essere aggredito, eroso, svuotato, liofilizzato, fatto evaporare: come ora sta toccando al cattolicesimo, sotto le amorevoli cure del neoclero progressista, buonista e "misericordioso". L’obiettivo finale è costruire (o meglio, decostruire) un’umanità senza più tradizioni, né radici, né punti di riferimento culturale, morale e spirituale; un’umanità di proletari sottopagati, disposti ad ammazzarsi a vicenda pur di accaparrarsi un lavoro sempre più precario, sempre più nocivo alla salute, sempre più ingrato. Altro che liberazione dell’uomo per mezzo delle macchine. I cantori della civiltà industriale non avevano capito proprio niente – o forse avevano capito anche troppo -, e Marx aveva capito meno di tutti. Sarà per questa curiosa circostanza che gli eredi della cultura marxista, oggi, e specialmente i neopreti di sinistra, sono i più zelanti fautori del Nuovo Ordine Mondiale, e magari — questo è il bello — in nome dei "poveri"?
Prendiamo intanto il caso della Germania, un Paese di 82 milioni d’abitanti, nel quale gli stranieri hanno raggiunto (ufficialmente) la quota del 12% della popolazione totale residente. Fin dal 2015 la cancelliera Merkel aveva affermato, sulla scia delle parole dell’ex presidente Christian Wulff, che l’islam fa parte della identità tedesca, grazie al fatto dei milioni d’islamici che vivono in Germania e che hanno la cittadinanza tedesca. Un concetto che non è piaciuto a una parte dei tedeschi (come chiamarli: aborigeni? tedeschi dalla pelle bianca, certo non si può; sarebbe un’abominevole forma di razzismo), tanto che il nuovo ministro dell’Interno, il bavarese Horst Seehofer, ha dichiarato che l’islam non appartiene alla Germania, la quale è stata forgiata dal cristianesimo. E nonostante fosse evidente che tale affermazione nasceva da un mero calcolo elettorale, ossia dall’esigenza di contenere l’ulteriore crescita del partito "populista" Alternativa per la Germania (Afd), la signora Merkel non gliel’ha passata per buona ed è subito intervenuta a smentirlo e rimbeccarlo, ribadendo la sua precedente affermazione che l’islam, sissignori, è parte dell’identità tedesca. Ora, è chiaro che non si tratta di una disputa accademica tra professori di filosofia o di antropologia comparata, ma di una questione centrale e vitale per il futuro di una nazione. Se l’islam viene riconosciuto, anche giuridicamente, come parte dell’identità tedesca, o italiana, o francese, e così via, allora la civiltà europea imboccherà l’ultimo tratto della sua parabola discendente: quella dell’auto-dissoluzione. È questo che vogliamo? È questo che vogliono i popoli europei? Eppure, non si può negare che nelle parole di Angela Merkel vi sia una certa logica, anche se perversa. Se si ammette il principio che qualunque aliquota di popolazione di qualunque continente può liberamente e legalmente stabilirsi entro i confini di uno Stato sovrano (o ex sovrano), ne deriva di necessità che, entro un certo tempo, quel Paese cesserà di avere una sua tradizione e una sua civiltà, per divenire un melting-pot di popoli e tradizioni diverse, le cui richieste di riconoscimento ufficiale sono giustificate dai dati di fatto. Se in Germania, ad esempio, vi sono oltre quattro milioni di turchi (un milione e mezzo dei quali hanno ancora la cittadinanza di origine) è abbastanza logico che essi chiedano le loro moschee e il riconoscimento della loro specificità culturale e religiosa; e ciò vale anche per gli altri stranieri presenti in Europa. Ma se passa questo principio, in Europa accadrà ciò che accadde negli Stati Uniti nei due secoli scorsi, e continua al presente: un rimescolamento di popolazione destinato a far scomparire il ceppo originario. Ma l’Europa non è gli Stati Uniti: questi sono nati come Paese d’immigrati, mentre le popolazioni in Europa si sono fondamentalmente stabilizzate fin dal X secolo, allorché gli ultimi arrivati, gli Ungheresi, si cristianizzarono e divennero sedentari. Dopo di allora, e contrariamente a quel che generalmente si crede, l’Europa, in quanto continente (e cioè lasciando fuori dal discorso gli imperi coloniali) non si è espansa, ma rimpicciolita, perché ha lasciato brani del suo territorio (e della sua civiltà) in mano a un nemico esterno molto aggressivo, l’islam dell’Impero ottomano. Basti dire che il maggiore centro della civiltà europea, dopo Atene e Roma, cioè Bisanzio, non è più Europa, in barba non solo alla storia, ma anche alla geografia, e non si chiama più Bisanzio, né Costantinopoli, come si chiamava quando era la capitale del più importante impero europeo per un migliaio di anni, ma è diventata Istanbul, e la sua cattedrale, la Chiesa di Santa Sofia, non è più una chiesa cristiana, ma è diventata (dal 1935) un museo. L’intera Turchia del resto altro non è che l’antica Asia Minore, un Paese cristianissimo, il più cristiano dell’Impero romano e un Paese di lingua e civiltà greca, fino a quando i barbari turchi non la conquistarono, pezzo a pezzo, fra il 1000 e il 1400, strappandola ai bizantini.
Perciò non si può considerare come il "naturale" destino dell’Europa quello di perdere la sua identità e la sua anima e divenire un non-continente, a disposizione di chiunque voglia venire a prenderselo. In Europa, a differenza che negli Stati Uniti (nati, peraltro, da una gigantesca pulizia etnica a danno dei primitivi abitanti, i pellerossa), ogni paese, ogni edificio, ogni pietra hanno una storia, un’anima; una storia bellissima, un’anima unica al mondo. La civiltà europea è qualche cosa di cui gli europei possono andar fieri; o almeno lo potrebbero, se la congiura mondiale della élite finanziaria, servendosi dell’informazione e della cultura politicamente corrette, non inculcasse nei giovani il mal seme di un crudele pregiudizio contro se stessa, insieme a un’ignoranza coltivata di proposito, al punto che molti giovani europei non amano la loro civiltà, per il puro e semplice fatto che non la conoscono. Parlando ancora della Germania, che cosa è oggi Berlino, se non una grande città senz’anima, un classico non luogo della modernità, patria d’elezione di chiunque voglia venire a stabilirvisi, senza più radici, senza alcun legame con il proprio passato? Certo, nel caso di Berlino (come di tante altre città europee) la perdita delle radici e dell’anima è stata resa possibile dai feroci bombardamenti aerei dei "liberatori" angloamericani, fra il 1943 e il 1945, e dal colpo di grazia che le diede l’Armata Rossa, nell’negli ultimi giorni della guerra. La città fu praticamente rasa al suolo, e una città rasa al suolo può essere ricostruita quanto si vuole, non sarà mai più la stessa. Ora, quel che hanno fatto le bombe a Berlino, nel 1945, lo ha fatto il consumismo di matrice americana in tutte le città d’Europa, da allora a oggi: le ha trasformate in non luoghi, in ipermercati, in tante Disneyland, agglomerati umani puramente economici e biologici. E non importa dov’è Disneyland, se a Londra o a Madrid: è sempre e solo un parco giochi per bambini, trasferibile e intercambiabile. L’Europa, ridotta a un deserto spirituale, è così divenuta il terreno ideale per la conquista islamica. Le proiezioni dicono che, se anche il tasso d’immigrazione scendesse a zero (cosa, evidentemente, irreale), nel 2050, fra appena trent’anni, grazie al semplice incremento demografico, in Germania l’8,7% della popolazione sarà islamica; in Italia, l’ 8, in Francia il 12,7; in Gran Bretagna il 9,7; in Svezia l’11,1; in Austria il 9,3. Resteranno europei, nel vero senso della parola, i Paesi dell’Est e, sorpresa, la Spagna, la più vicina geograficamente all’Africa. A prova del fatto che l’islamizzazione e l’africanizzazione dell’Europa non sono un destino e che, volendo, si può ancora invertire la rotta. Ma qui esploderà il dramma: come potranno intendersi le due Europe, pro e contro il mondialismo?
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash