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Dai suoi frutti si riconosce l’albero

Il fedele è un credente; è uno che crede in qualcosa, ma non nel senso comunemente attribuito a quella parola, bensì in senso teologico: credere nel senso di riporre la propria certezza in una verità soprannaturale, che poi non è affatto una verità, ossia una fra altre, bensì crede nella verità: la sola, al di fuori della quale non ce ne sono altre, né potrebbero esservi, per una evidente contraddizione di ordine logico. Certo, questo fa a pugni con il modo di pensare del mondo moderno, fondato su ciò che esso chiama pluralismo, come se fosse una virtù, mentre è assai più giusto e obiettivo chiamarlo relativismo, e non ci pare che sia una virtù, perché riteniamo che relativizzare il concetto della verità non sia una operazione né bella, né buona. Anche se il signor Bergoglio è di diversa opinione e non si stanca mai di ribadire, specie conversando con il suo grande amico Eugenio Scalfari, il classico intellettuale radical chic, ricco come un nababbo, massone, rigorosamente anticristiano e anticattolico, che la Chiesa, dice lui, ha il dovere di aprirsi al mondo moderno. Aprirsi? Ecco una parola farlocca, una parola truffa, ma spacciata per moneta buona e addirittura beatificata dall’alto della cattedra di san Pietro. Se aprirsi vuol dire accogliere la mentalità moderna, la visione moderna del reale, le concezioni moderne circa l’etica, la politica, la società, la cultura, la scienza, l’arte, la filosofia, la religione, ebbene, allora diciamo senz’altro che il signor Bergoglio sta sostenendo un concetto che non è cattolico, che non è coerente con il Vangelo, che non si armonizza con l’insegnamento del nostro Signore Gesù Cristo (perché il nostro Signore, giova ricordarlo a chi se ne stesse dimenticando, è Gesù Cristo e non il signor Bergoglio). Credere al Vangelo, credere in Gesù Cristo, credere a tutto ciò che la Chiesa ha sempre insegnato, non inventandolo da se stessa, ma nel suo Nome, sulla duplice base della Tradizione e della Scrittura: questo, e non altro, significa essere cattolico. Credere a ciò che la Chiesa ha insegnato fino al 1054, e poi no, significa essere ortodosso. Credere a ciò che la Chiesa ha insegnato fino al 1517, e poi no, significa essere protestante. Non credere né al Vangelo, né in Gesù Cristo, né in ciò che la Chiesa ha insegnato fin dall’inizio, significa non essere cristiani. Tutto questo dovrebbe essere di una evidenza addirittura tautologica. Eppure, strano a dirsi, c’è bisogno di ripeterlo: perché proprio chi dovrebbe custodire questa lapalissiana verità, non lo fa, anzi, è impegnato nell’operazione contraria: insinuare l’idea che tutte le fedi e le confessioni si equivalgono, che tutte le strade portano a Dio, e che non c’è una differenza sostanziale fra esse, anche perché, parole testuali del signor Bergoglio, Dio non è cattolico.

Ma il signor Bergoglio è cattolico? E un po’ difficile che lo sia, e per sua stessa ammissione. Per lui, la dottrina – cattolica, evidentemente — è una cosa buona se unisce, cattiva se divide: ha espresso più volte, e in maniera molto esplicita, questo concetto. Ora, il cattolicesimo ha una sua dottrina, e non potrebbe non averla. Il cattolicesimo non è una corrente d’opinione: è una dottrina. I cattolici, di fronte a una questione morale, non interrogano innanzitutto la propria coscienza, come pure ha asserito il signor Bergoglio: interrogano la dottrina. La dottrina non è una cosa arcigna e sgradevole, inventata da qualche prete inacidito e da qualche teologo vendicativo: è il Vangelo di Gesù Cristo, esposto e tramandato dal Magistero della Chiesa. Della Chiesa cattolica: non della chiesa luterana, o presbiteriana, o anglicana: il che dovrebbe chiarire, una volta per tutte, cosa è il vero e cosa il falso ecumenismo. È vero l’ecumenismo che mira a riportare ad unità i cristiani, sotto le ali della Chiesa cattolica e secondo il suo Magistero, che poi è il Magistero perenne, fino a quando gli scismatici non vennero ad attaccarlo e a pretendere di modificarlo. È falso e deleterio un ecumenismo nel quale i cristiani ritrovano l’unità accordandosi su una dottrina di compromesso, mezza vera e mezza no, mezza autentica e mezza eretica. E andiamo oltre. Se preservare l’unità fosse lo scopo della dottrina, tanto varrebbe dire che il cattolicesimo non deve avere alcuna dottrina, e, se per caso ce l’ha, che se ne deve spogliare come di un’inutile zavorra, perché è evidente che, volendo conservare l’unità ad ogni costo, si finisce per prendere a bordo tutti, cani e porci. Per essere più precisi: i non cristiani all’esterno (ed ecco gli islamici alla santa Messa, ecco il bacio del signor Bergoglio al Corano: libro nel quale si nega la divinità di Cristo e si qualifica di infedele chi la professa) e i non cattolici all’intero (ed ecco gli eretici che, imbaldanziti, escono dalle loro tane e danno l’assalto al vertice stesso della Chiesa: il che sta accadendo ora, sotto i nostri occhi, con la rivincita e il trionfo dell’eresia modernista, peraltro lungamente preparata e accarezzata dai vari Buonaiuti, Teilhard, Rahner, Kasper, Bianchi, eccetera). Quanto ai cosiddetti "fratelli maggiori", come Giovanni Paolo II chiamava gli ebrei, l’assicurazione, resa sempre dal signor Bergoglio – ma implicita nella svolta della Nostra aetate, cioè fin dal 28 ottobre 1965 — che essi hanno già il privilegio della salvezza, perché l’Antica Alleanza è sempre valida e il rifiuto di Gesù Cristo da parte loro non l’ha incrinata – è semplicemente eretica. Essa equivale a dire che farsi circoncidere o farsi battezzare è la stessa cosa, e che essere giudei o cristiani si equivale. In tal caso, resta da capire cosa sia venuta a fare Gesù Cristo sulla terra: perché mai si sia preso il disturbo di incarnarsi, Lui, la Seconda Persona della Santissima Trinità; perché abbia affrontato le tentazioni del demonio, insegnato, predicato, fatto miracoli, eseguito esorcismi e guarigioni; perché sia andato incontro alla Passione e alla Morte, e perché poi sia risorto dal sepolcro il terzo giorno. A quanto pare, avrebbe potuto benissimo risparmiarsi la fatica. I Giudei erano già salvi, in ogni caso; ed essendo loro il popolo eletto, ciò che Iddio aveva operato nei confronti dell’umanità, nella sua infinita Provvidenza, era già più che sufficiente. Non c’era bisogno di null’altro. Dunque, non c’era nemmeno bisogno del Vangelo e del cattolicesimo.

Ed eccoci tornati alla piena conferma del fatto che il signor Bergoglio non è cattolico, né vuole esserlo. Anzi, gli dà fastidio essere considerato tale, così come gli danno fastidio i veri cattolici — basti pensare, fra le altre cose, alla drammatica vicenda dei Francescani e della Francescane dell’Immacolata, da lui perseguitati con l’accanimento di un nemico — e gli dà pure fastidio che qualcuno pensi che Dio è cattolico. Quando proprio deve benedire — ma ciò che predilige più di tutto è seminare dubbi, confusione, turbamento nelle anime dei credenti — gli piace benedire nel nome di Dio, Padre di tutte le fedi e di tutte le confessioni: sue parole testuali; parole che avrebbero fatto sobbalzare sulla cattedra Pio XII o qualsiasi altro papa di qualsiasi epoca anteriore al Concilio, cioè di uno qualsiasi dei 260 papi che si sono succeduti al timone della Chiesa cattolica nell’arco di millenovecento anni circa. Queste logiche conclusioni ci dicono due cose: primo, che se il signor Bergoglio non è cattolico, né vuole esserlo, allora non è nemmeno papa e non lo si deve considerare tale; secondo, che il Concilio ha operato una frattura decisiva nella storia del Magistero, il che pone l’alternativa secca: o era falsa ed eretica la Chiesa di prima del Concilio, da san Pietro a Pio XII, oppure è falsa ed eretica la chiesa odierna. Ma delle due, ci sembra evidente che è vera la prima delle due possibilità: innanzitutto perché la Chiesa fondata da Gesù Cristo, e da Lui personalmente e direttamente affidata a san Pietro, è la Chiesa delle origini, la Chiesa così come Gesù stesso ha voluto che fosse, e che poi, nel corso del tempo, si è adornata dei Santi, dei Martiri, dei teologi e dei mistici più grandi che la storia del cristianesimo abbia avuto; mentre la chiesa del post Concilio, nel momento in cui ha preteso di riformulare tutta una serie di verità assodate e costantemente insegnate dal Magistero, si è messa, da se stessa, in discontinuità con la Tradizione. Inoltre non ha dato dei frutti neanche lontanamente paragonabili a quelli delle fasi precedenti, anche limitando lo sguardo agli ultimi decenni precedenti l’evento del Concilio. In luogo di un san Giovanni Bosco, un don Lorenzo Milani; in luogo di un san Pio da Pietrelcina, un Enzo Bianchi; in luogo di un san Pio X, un Bergoglio. In luogo dei martiri del Messico, della Spagna, della Russia, i preti gay, le suore che cantano e ballano, i sacerdoti che si fanno crocifiggere per fare spettacolo, o che dicono la santa Messa con i burattini. In luogo di un ragazzo come José Sánchez del Rio, che si fa martirizzare per non rinnegare Gesù Cristo, e disegna in terra una croce col suo stesso sangue, prima di morire, abbiamo i seminari vuoti; invece di santa Maria Goretti, una bambina di undici anni che muore dopo aver perdonato il disgraziato che, non riuscendo ad abusare di lei, l’aveva pugnalata a morte, abbiamo la signora Francesca Immacolata Cahouqui. Gesù diceva: riconoscerete l’albero dai frutti: ebbene, sono questi i frutti del Concilio, se si ha il coraggio di guardarli in faccia.

Ma se il papa non è cattolico, e se non è nemmeno il papa; e se quella che oggi si spaccia per la vera chiesa non è la vera chiesa, ma una sua goffa e deforme contraffazione: allora chi o che cosa si cela dietro una mistificazione, anzi, per chiamare le cose con il loro nome, dietro un tradimento così enorme, così abominevole, dal momento che mette in gioco la salvezza di milioni e milioni anime e rischia di compromettere — per quanto le formiche umane siano in grado di fare una cosa del genere — i disegni ineffabili della divina Provvidenza riguardo all’umanità? È molto difficile, anche a voler peccare d’ingenuità a oltranza, non vedere che una cosa del genere non si produce per caso, non avviene per effetto di tendenze "naturali", e soprattutto non avviene in buona fede, se per buona fede s’intende che gli autori di una tale mistificazione e di un tale tradimento non si rendono conto della reale portata dei loro atti e delle loro parole, ma credono soltanto di agire e di parlare nel modo migliore per il bene della Chiesa stessa e per la Verità di Gesù Cristo. È più che evidente, infatti, che, se il direttore di una banca, o l’amministratore delegato di una industria, o il presidente di una holding, possono anche prendere delle decisioni, che poi si rivelano sbagliate ed esiziali, però nella convinzione di agire nel modo migliore, ossia nel modo più conveniente per l’interesse dell’ente o dell’impresa di cui sono al servizio, un papa, o il collegio cardinalizio, o il collegio dei vescovi, non possono agire in una tale maniera, e perciò non potrebbero, neanche volendo, commettere simili errori. La differenza fra le due situazioni, infatti, è che il direttore della banca, l’amministratore delegato dell’industria o il presidente della holding, agiscono in base a criteri puramente umani, secondo una logica puramente umana, in una prospettiva puramente umana; mentre il papa, i cardinali e i vescovi non agiscono affidandosi alle loro povere forze di esseri umani, né ragionano in un’ottica puramente umana, ma si affidano alla volontà del Signore Gesù Cristo, chiedono a Lui ispirazione e consiglio, e si pongono nella prospettiva della vita soprannaturale: quella dell’assoluto e dell’eterno. Orbene, chi fa una cosa del genere, non sbaglia, semplicemente non può sbagliare; lo ha assicurato Gesù Cristo in Persona (Matteo, 10, 16-20):

Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.

E non si obietti che Gesù Cristo, qui, sta parlando solo della Chiesa missionaria: perché la Chiesa è sempre, per definizione, missionaria; e, se non è missionaria, non è la vera Chiesa, ma una falsa chiesa, opportunista e furbetta, che cerca di mettersi d’accordo con i poteri di questo mondo e di fare in modo da risultar gradita alle folle, secondo i loro gusti e i loro piaceri, anche i più perversi. Lasciamo che il signor Bergoglio dica al signor Scalfari che l’apostolato è una solenne sciocchezza: che lo chiami apostolato, oppure spirito missionario, il concetto è lo stesso: ed è la sua ennesima affermazione non cattolica. Dice dunque Gesù, il nostro Signore: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Ora, tutto quel che dobbiamo fare, allorché il signor Bergoglio o il signor Galantino, o Paglia, o Sosa Abascal, dicono o fanno una certa cosa, per essere certi della sua veridicità, ossia della sua cattolicità, basta chiedersi: è lo Spirito del Padre celeste che parla attraverso le loro parole e i loro atti? E allora, vediamo. Allorché il signor Bergoglio afferma che non c’è l’inferno, che le anime dei malvagi non vanno all’inferno ma si dissolvono, è lo Spirito Santo che parla in lui? Allorché il signor Galantino afferma che Dio non distrusse Sodoma, ma la risparmiò, è lo Spirito Santo che parla in lui? Allorché il signor Paglia afferma che noi tutti dobbiamo prendere a modello delle nostre vite il defunto Marco Pannella, uomo dalla spiritualità altissima, è lo Spirito Santo che parla in lui? E allorché il signor Sosa afferma che il diavolo non esiste, è un’immagine simbolica del male, e che Gesù non affermò in assoluto l’indissolubilità del matrimonio, perché non si sa cosa disse realmente, in quanto non c’erano dei registratori a catturarne la voce, è lo Spirito Santo che parla in lui? Ebbene: che ciascuno risponda onestamente…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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