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L’uomo a due dimensioni

Parafrasando Marcuse, si potrebbe definire l’uomo contemporaneo come l’uomo a due dimensioni. Egli è intimamente lacerato, scisso, diviso. All’inizio della modernità, cioè con l’Umanesimo, si tratta essenzialmente di una scissione morale fra l’uomo vecchio, attaccato alle cose del mondo, e l’uomo nuovo, che vorrebbe lasciarsi quelle cose dietro le spalle e cercare i beni dello spirito: lo vediamo esemplarmente in Petrarca, il quale, di se stesso, dice (nella lettera sull’ascensione al Monte Ventoso): quel doppio uomo che è in me. Poi, col progredire della modernità, la scissione diventa soprattutto ideologica: fra il razionalismo, il materialismo, l’oggettivismo di matrice illuminista e la passionalità, la spiritualità (sovente morbosa) e il soggettivismo di matrice romantica. L’uomo illuminista, e poi quello positivista e quello neo-positivista, suoi eredi diretti, sono freddi, sicuri di sé, fiduciosi nel progresso, nella scienza, nella ragione; l’uomo romantico, e poi quello decadentista, e poi quello esistenzialista, suoi eredi diretti, sono appassionati, viscerali, emotivi, insicuri, scoraggiati. L’uomo illuminista ha occupato, ed occupa tuttora, il piano nobile del palazzo della cultura contemporanea e della psicologia individuale; l’uomo romantico è stato respinto nelle cantine, ma, da là sotto, non cessa di agitarsi e di levare i suoi lamenti. Gli psico-analisti parlano di inconscio e di super-io; noi preferiamo parlare del livello superiore e di quello inferiore della coscienza. Ciò che viene respinto in cantina è oggetto di pubblico disprezzo, ma di segreta attrazione: perciò l’uomo contemporaneo indossa la divisa illuminista al mattino, quando va al lavoro, e si abbandona ai suoi disordini romantici la sera, quando rimane solo con se stesso. Di giorno è un uomo freddo, razionale, che ride di tutto ciò che la ragione non sa spiegare e che avanza sicuro della meta, sebbene non sappia lui stesso quale essa sia; la notte esce di casa come un ladro e si spinge nei quartieri malfamati di periferia, cerca emozioni proibite, vuol sentirsi vivo, e sia pure infrangendo tutti i codici di comportamento che si è dato egli stesso. Forse non lo fa materialmente; lo fa in spirito, ad esempio quando indulge nell’alcol, o nella droga, o nei rapporti sessuali promiscui, oppure, assai più timidamente, lo fa con la fantasia, scorrazzando tra i film dell’orrore e i giochi elettronici a base di sadismo e sesso estremo. A quest’uomo notturno, dei sotterranei, piace aver paura: gode immensamente di sentirsi minacciato, in pericolo: è il suo modo, profondamente distorto, di reagire alle paure vere e alle minacce vere della sua vita reale: da quella di perdere il lavoro a quella di essere abbandonato dalla moglie, fino a quella di essere aggredito in casa dai malviventi e derubato, picchiato, violentato.

Ci si faccia caso. La letteratura del terrore nasce col pre-romanticismo, alla fine del Settecento; gli storici del genere ci parlano del Castello d’Otranto di Horace Walpole, del 1764, e del Monaco di Matthew Gregory Lewis, del 1796. L’uomo romantico ama la paura, adora aver paura: è una droga di cui non potrebbe fare a meno. Nel suo profondo, egli crede ai mostri, ai diavoli e all’inferno. Però l’uomo illuminista che è in lui non ci crede; e allora li respinge, anch’essi, nel sottosuolo, dove li va a sbirciare quando il suo geloso custode dei piani superiori abbassa la guardia. Li va a sbirciare, però con cattiva coscienza, e quindi, per vincere il senso di colpa (nei confronti della ragione, non in quelli dell’etica!) degrada la cosa al livello di un film o di un romanzo horror: e così concede a se stesso di guardarli da vicino, ma senza prenderli sul serio; ed elude la serietà della cosa — se il diavolo esiste e se l’inferno esiste, allora dovrebbe pur farsi qualche domanda sulla sua vita — abbassando il tutto al livello di una fuga dalla realtà. Invece, il bello è che anche l’uomo illuminista crede al diavolo; ma non ci crede nel senso che ne ha paura, bensì nel senso che è pronto e disposto ad adorarlo, non solo nei suoi strumenti — il denaro, il potere, il sesso — ma anche in se stesso, come se fosse il suo dio. Il satanismo è più diffuso di quel che non si creda comunemente e i satanisti, quelli veri — non i ragazzi drogati e sbandati che giocano, si fa per dire, a fare i servi del demonio — sono persone colte, razionali, che occupano posizioni elevate nella società. Per fare un esempio, gli atroci delitti a sfondo sessuale del cosiddetto mostro di Firenze, fra il 1968 e il 1985, portano la sua firma. È gente seria che fa maledettamene sul serio: la sua fede nel diavolo è più salda e convinta di quella di molti cristiani in Gesù Cristo. Non che gli uomini illuministi siano tutti così, beninteso; ma ciò che conta è che nella forma mentis dell’uomo illuminista vi è una disponibilità a inchinarsi davanti al diavolo (vedi Faust), e ciò per ragioni meramente razionali: dato che l’uomo illuminista si sente un piccolo dio in virtù della sua ragione, ma si accorge che i suoi poteri sono pur sempre limitati, allora sente il bisogno di cercare un alleato potente, un signore da servire, ma, in cambio di un maggior potere da esercitare sulle cose. Situazione paradossale: l’uomo illuminista, che dice di credere solo nella ragione e nella scienza, è disposto non solo a credere, ma anche ad adorare il diavolo; l’uomo romantico, con tutta la sua "spiritualità" (posto che non la esaurisca nelle sedute spiritiche o nella lettura dei Tarocchi) non ha il coraggio di crederci sino in fondo e si limita a giocare con la paura che gliene deriva, attraverso lo schermo della letteratura, del cinema o dei giochi elettronici. È come se si scambiassero i ruoli, per poter continuare a convivere senza darsi troppo fastidio l’un l’altro. Quel doppio uomo che è in lui, appunto.

Questa duplicità, questa ambivalenza lo accompagnano in ogni ambito della sua vita. Di fronte a tutti i problemi, pratici e teorici, nei quali s’imbatte, appare la sua divaricazione, la sua doppia natura, che lo induce ad assumere atteggiamenti schizofrenici. Prendiamo il caso dei cosiddetti migranti e dei cosiddetti profughi, i quali, a decine e centinaia di migliaia, sbarcano sulle nostre coste o penetrano entro i nostri confini. L’uomo illuminista, che non è solo razionalista, ma anche cosmopolita e filantropo, erede dei philosophes francesi i quali sognavano un mondo più bello e intanto glorificavano il "buon selvaggio", sogna, a sua volta, un mondo ove tutto è di tutti, non vi sono più egoismi, né attaccamenti, e la terra è talmente generosa da poter ospitare qualsiasi quantità di esseri umani nei loro spostamenti da un continente all’altro. Colore della pelle, cultura, religione, usanze e tradizioni sono bazzecole, solo dati irrilevanti, di fronte alla sola, luminosa verità che sono tutti membri della stessa famiglia umana e tutti figli dello stesso dio (con la minuscola), la coscienza cosmica, versione aggiornata del grande architetto dell’universo, raggiungibile per cento e cento strade diverse, dalla meditazione trascendentale alle pratiche New Age. Avanti, dunque, perché c’è posto per tutti: che saranno mai alcuni milioni di africani di fede islamica, in un continente come l’Europa, laico e pluralista, erede della tradizione della Encyclopédie? Viceversa, l’uomo romantico non è affatto persuaso da simili argomenti: è legato alle identità, alle tradizioni, ai valori, alla storia, e concepisce la libertà innanzitutto come libertà di auto-determinarsi: mentre l’invasione travestita da emergenza umanitaria gli sa un po’ troppo di forzatura e d’imposizione. La priorità, per lui, è difendere ciò è l’Europa; per l’altro, salvare le vite umane (messe in pericolo da chi, e perché? non si sa): sono due visioni opposte e inconciliabili. Al tempo stesso, si noti che vi è, anche qui, uno scambio di ruoli: rientra dalla finestra quel che è stato cacciato dalla porta. L’uomo illuminista cede al richiamo del sentimentalismo, dell’emotività; si scorda delle sue convinzioni maltuhusiane e si commuove per la sorte di quelle persone, di quei bambini, sballottati sulle onde del mare. L’uomo romantico, per quanto passionale ed emotivo, ritrova la sua parte razionale e si domande se, dietro lo spettacolo pietoso dei barconi in balia del mare, non si celi un disegno planetario, che mette in pericolo tutte le identità e tutte le appartenenze, per instaurare il regno della mercificazione assoluta delle persone. Ed ecco che l’Europa, divisa in se stessa, sta scivolando velocemente verso la guerra civile. La guerra civile è l’esito inevitabile di una società che è scissa fra due anime opposte e inconciliabili. L’uomo diviso in se stesso scivola verso la nevrosi e, nei casi più gravi, la schizofrenia; la società divisa in se stessa scivola verso quella forma di pazzia furiosa che è la guerra civile. La guerra civile è il punto di non ritorno di una società che non riesce più a trovare un collante ideale per tener insieme i suoi membri. Se la società si ridice a una somma aritmetica d’individui egoisti e preoccupati solo di far valere ciascuno i propri diritti, inevitabilmente si disgrega e implode; e se il partito degli intransigenti e quello dei possibilisti, divenuti entrambi rigidi, si polarizzano intorno alle rispettive certezze, la guerra civile è inevitabile. Essa è l’esito finale di una società, anzi, di una civiltà, che lungamente, tenacemente, ha coltivato nei singoli individui i germi della divisione e degli opposti unilateralismi.

L’uomo contemporaneo, forma avanzata dell’uomo moderno, è l’uomo del sottosuolo che non riesce più a comporre la doppia anima che è in lui, e che si schiera sotto una bandiera ideologica per poter razionalizzare il proprio nemico, e, nello stesso tempo, per poterlo proiettare in una immagine esterna: mentre il suo vero e principale nemico è dentro di lui e risiede nelle sue stesse contraddizioni spirituali ed esistenziali. Tornando alla letteratura, l’uomo moderno è Saul, il Saul di Vittorio Alfieri, caratterizzato dalla dismisura e da una strana mescolanza di titanismo e vittimismo, di hybris e senso di colpa, di lucidità e allucinazione, di orgoglio e follia. Ha bisogno di odiare qualcuno e di lottare contro qualcuno, vede nemici dappertutto e non si rende conto che è lui stesso il peggiori nemico che lo minaccia. La sua è una lotta tragica e disperata, perché, qualunque ne sia l’esito, egli ne uscirà sconfitto, dal momento che sta lottando contro un nemico che è dentro di lui, non fuori: e chi potrà mai uscire vincitore da una lotta contro se stesso? La disfatta e l’auto-annientamento sono la sola conclusione possibile. In breve, l’uomo moderno è Jekyll e Hyde; la parte razionale la parte istintiva; la parte che rispetta le regole e la parte che le vuole infrangere; l’egoista e l’altruista; il generoso e l’avaro; il magnanimo e il meschino. Qualcuno potrebbe obiettare che tale è la natura dell’uomo, dell’uomo di sempre, e non quella specifica dell’uomo moderno. Rispondiamo che la natura dell’uomo è, sì, intimamente contraddittoria, ma che è proprio dell’uomo moderno aver portato quelle contraddizioni fino al limite estremo, averle polarizzate e irrigidite, e infine, cosa peggiore di tutte, averle delegittimate reciprocamente: nel senso che l’uomo illuminista si vergogna dell’uomo romantico e fa finta di non vederlo neppure (tanto, lo ha relegato in cantina), mentre l’uomo romantico detesta di tutto cuore l’uomo illuminista, così come uno schiavo, incatenato ai banchi dei rematori su di una galera, non sogna altro che il momento in cui potrà ribellarsi e strappare la frusta di mano al suo aguzzino. Il male non è solo e non è tanto nel fatto che l’uomo moderno vive la tensione lacerante fra due "io" divisi e contrapposti, ma che, al livello della sua coscienza, non riconosce l’esistenza di quel conflitto e fa finta di non esserne toccato, il che rende impossibile una sua composizione ragionevole. È questa la sua cattiva coscienza, o, nello stesso tempo, la sua coscienza infelice.

Ebbene, lo stesso schema si è verificato per quel particolare tipo di uomo moderno che è il cristiano moderno. Il diavolo, che conosce tutte le nostre debolezze e sa far bene il suo lavoro, ha inoculato il virus della modernità (perché di un virus si tratta, foriero di una malattia mortale) nel clero cattolico e ha illuso i cattolici moderni, o piuttosto modernisti, cioè gli eretici anticattolici che usurpano il nome di cattolici, di essere i cristiani "migliori" mai prodotti in duemila anni di storia della Chiesa: quelli che hanno compreso il Vangelo più e meglio di tutti quelli vissuto prima di loro. E ha fatto leva su di un singolo evento, il Concilio Vaticano II, per creare in essi l’ebbrezza e l’euforia di una seconda Pentecoste: concetto in se stesso eretico, perché la Pentecoste è stata un evento irripetibile, ve ne è una e una sola, e una seconda Pentecoste non può essere altro che un passo deciso verso l’apostasia. E così è stato. Il diavolo ha realizzato il suo capolavoro: portare la rivoluzione modernista dentro la Chiesa, facendo in modo che i rivoluzionari si considerassero come i cristiani più evoluti, più maturi e più aperti: quelli capaci di fare ciò che la Chiesa, sinora, non aveva mai saputo fare: ricucire lo strappo con il mondo. E pazienza se, per ricucire tale strappo, bisognava svendere la dottrina e la morale cattolica, ritoccare e capovolgere il Vangelo, far dire a Gesù Cristo ciò che non ha mai detto e non si è mai neppure sognato: che il peccato non è più peccato; che una persona, in stato di peccato mortale, può fare tranquillamente la santa Comunione; che due uomini possono andare a vivere insieme sotto un vincolo equiparabile a quello matrimoniale; che l’indissolubilità del matrimonio non è un dogma; che aborto ed eutanasia sono, sì, dei mali, ma che, a determinate condizioni, finiscono per essere il male minore, e quindi, in una certa misura, scusabile, o, quanto meno, non costituiscono dei peccati poi così gravi… Insomma, che tutta la divina Rivelazione deve essere relativizzata, specialmente sul piano etico. E così anche il cattolico moderno è un cattolico scisso, diviso, lacerato: da un lato c’è il cattolico fedele a Gesù Cristo, dall’altro c’è il cattolico fedele al signor Bergoglio. Così il diavolo ha realizzato il suo più antico obiettivo: porre il mal seme della divisione entro la Sposa di Cristo. Ma, come diceva san Josemaria Escrivà: Triste ecumenismo quello che sta sulla bocca di cattolici che maltrattano altri cattolici…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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