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Il Signore lo tiene per mano

Il Signore fa sicuri i passi dell’uomo, / segue con amore il suo cammino. / Se cade, non rimane a terra, / perché il Signore lo tiene per mano (Salmo37, 23). In questi pochi versi della Bibbia è sintetizzata la visione religiosa e cristiana della vita: la visione che poi, per merito di san Tommaso d’Aquino, si fonde meravigliosamente con il ceppo della filosofia greca e forma la concezione cattolica, anima e sostegno della civiltà europea per quasi duemila anni. L’uomo non è solo; non è frutto del caso; non va verso il nulla; non è in balia di forze incontrollabili e incomprensibili; ha un destino, un fine, una meta, perché il Signore lo tiene per mano. Se si volesse concentrare in una formula telegrafica il senso della civiltà cristiana ed europea, il valore del cristianesimo nella storia e la funzione da esso svolta nella psicologia individuale e in quella collettiva, lo si potrebbe fare con queste poche parole: il Signore tiene l’uomo per mano; se cade, non rimane a terra. In queste parole c’è il segreto della forza spirituale che ha animato un’ottantina di generazioni, fino quando la civiltà moderna ha definitivamente soppiantato quella cristiana e l’ha in gran parte spazzata via.

Naturalmente, dal punto di vista della fede cattolica, non ci si può limitare a valutare solo sul piano storico e immanente l’importanza svolta dalla visione cristiana nella vita delle persone e nell’evoluzione della società; dal suo puto di vista, infatti, la divina Rivelazione ha agito anche sul piano soprannaturale, perché nell’uomo vi è, accanto alla natura biologica, anche la componente spirituale, che appartiene alla dimensione del soprannaturale. Se ci si dimentica di questo, non si può capire quel che il Vangelo rappresenta e ha rappresentato nella storia d’Europa e del mondo, così come nella storia delle singole anime umane. In altre parole: il cristiano, il vero cristiano, non ha mai pensato di dovere o di potere affrontare la vita con le sue sole forze; né ha mai pensato che la sua vita personale, nonché l’insieme della storia umana, siano qualcosa che si svolge e si risolve sul piano puramente terreno, ma, al contrario, che l’una e l’altra sono nelle mani di Dio, fanno parte di un disegno di Dio e godono dell’assistenza costane della Provvidenza divina. Se ci si ostina a pensare al cristianesimo come a un prodotto puramente storico (e ancora oggi c’è chi seguita a porre in dubbio perfino l’esistenza storica di Gesù Cristo; oppure, in alternativa, nega che il cristianesimo sia la continuazione dell’opera di Gesù Cristo, ma pensa che sia una creazione di san Paolo e di altri personaggi che nemmeno avevano conosciuto il Maestro), se ne ha una visione assai limitata e sostanzialmente deformata. Voler capire cosa è stato il cristianesimo sul piano della psicologia e della storia, restando solo e unicamente sul piano della psicologia e della storia, è una operazione intellettualmente discutibile, quanto lo sarebbe voler capire che cosa significa la poesia, nella vita dei singoli e in quella dei popoli, restando solo sul piano della lingua; o che cosa significa la musica restando solo sul piano della tecnica strumentale; o che cosa significa la guerra restando solo sul piano della tattica e della strategia.

La visione diametralmente opposta a quella cristiana è la visione della modernità. L’uomo moderno è convinto che Dio non esiste, è solo una proiezione di desideri umani; che l’uomo è un animale prodotto dal caso ed evoluto a caso; che tutte le creazioni dello spirito sono solo un prodotto derivato dalle funzioni biologiche e nervose; che la vita umana è solo ciò che di essa si può vedere, osservare e studiare; che non esiste nient’altro al di fuori e al di sopra della dimensione terrena, e che cercare dei valori assoluti, come il vero, il giusto, il bene, il bello, è come andare a caccia di fantasmi; che solo la scienza ha le risposte agli interrogativi dell’uomo, e che, se vi sono domande alle quali la scienza non sa rispondere, ciò significa o che le domande sono mal poste, o che non sono vere domande, ma fantasie deliranti. Da questa visione deriva necessariamente una enorme sopravvalutazione delle cose terrene, che conduce, altrettanto inevitabilmente, alla loro adorazione, visto che è nella natura umana finire per adorare qualcosa; e, come disse il santo curato d’Ars, se gli uomini non adorano più dio, finiscono per adorare persino le bestie.

Pertanto, se si volesse sintetizzare in una formula brevissima il senso della civiltà moderna, si potrebbe dire così: I passi dell’uomo non sono guidati dall’alto, sono i passi di un animale intelligente che vuol conquistare il mondo, che prende il proprio destino nelle sue stesse mani e che non si aspetta altra sorte finale che la morte e il nulla. Pertanto, se l’uomo cade, rimane a terra; non solo, ma tutti gli altri passeranno sopra il suo corpo: perché, sotto la vernice delle buone maniere, l’uomo è e resta un animale, e gli animali sono guidati dall’istinto di sopravvivenza e non dai valori morali, che ignorano del tutto. Appare dunque evidente che la civiltà cristiana e la civiltà moderna sono diametralmente opposte e inconciliabili; che la civiltà moderna è sorta e si è affermata come la negazione deliberata della civiltà cristiana; che la visione della modernità, fondata sull’io, si colloca agi antipodi di quella cristiana, fondata su Dio. E appare altrettanto evidente che qualsiasi tentativo di "aggiornare" il cristianesimo e la Chiesa cattolica, mettendoli al passo con il mondo moderno, è non solo sbagliato e impossibile, ma sicuramente nasce da un disegno perverso, in quanto intenzionalmente diretto a sovvertire il Vangelo e a distruggere la Chiesa stessa. Sarebbe come se si volesse concimare un campo di grano con un potentissimo veleno: nessun agricoltore, che sia in buona fede, potrebbe concepire un’idea del genere. Perciò una tale idea può nascere solo nella mente di qualcuno che odia il cristianesimo e odia la Chiesa.

Naturalmente, da un punto di vista cristiano, la civiltà moderna non è una vera civiltà; è, semmai, il contrario di una civiltà, è una anti-civiltà, e ciò per l’ottima ragione che, negando Dio, nega anche una componente essenziale dell’anima umana, e quindi è una civiltà che tradisce l’uomo, che ne ha un concetto falso e ingannevole, e che, pertanto, non riuscirà mai a soddisfare i suoi veri bisogni, condannandolo, invece, ad una infelicità assolutamente certa. Tuttavia, per adesso, vorremmo restare su un terreno più neutrale e considerare la cosa da un punto di vista non specificamente cristiano, ma aperto, almeno in una certa misura, al confronto con altre prospettive, sulla base di una valutazione oggettiva dei fatti. La civiltà moderna, essendo fondata su una concezione del tutto immanente del reale, sa che ogni sforzo umano verrà annullato dalla morte; di conseguenza, per quanto si sforzi di non pensarci, o forse appunto per questo, l’uomo moderno è letteralmente ossessionato dal pensiero della morte, che gli fa molta paura, certo assai più di quanta ne faccia al cristiano. Ed è logico: se non esiste nient’altro che questa vita terrena, la morte è la fine di tutto, è il nulla; e questo pensiero mal si concilia con il senso di ebbrezza, di dominio, quasi di onnipotenza che l’uomo moderno ricava dalle sue scoperte scientifiche e tecnologiche, le quali gli hanno conferito un potere prima impensabile sulla natura. D’altra parte, egli non può, senza smentirsi, ammettere che il pensiero della morte lo terrorizza, perché, se lo facesse, dovrebbe ammettere che in lui esiste qualche cosa che non è solamente naturale, un desiderio di eternità che non si riscontra negli altri animali. Paradossalmente, proprio la scienza moderna conferma la sentenza inappellabile e ribadisce la condanna: che l’uomo è solo un animale e che, come tutti gli animali, viene dal caso e sparisce nel nulla. Ribellarsi a questa idea sarebbe come ammettere di aspirare a una vita ulteriore, e ciò gli viene inibito dalla sua stessa scienza, nonché dalla sua psicologia, la quale gli insegna che il desiderio d’immortalità è solo una nevrosi, senza alcuna corrispondenza reale con la natura del mondo. A ciò si aggiungono la sua sociologia e la sua antropologia materialiste, le quali gli dicono che la religione nasce da una proiezione illusoria del suo io, da una duplicazione irragionevole del tessuto sociale al quale egli appartiene, con un Signore dell’universo che corrisponde ai grandi monarchi dell’antichità o agli imperatori del Medioevo, ma che, nella realtà politica di oggi, non trova alcun riscontro credibile e rivela, così, la sua origine puramente simbolica. Pertanto l’uomo moderno è preso in trappola dalle sue stesse convinzioni: la sua coscienza è infelice perché tutto il suo sapere contrasta con il suo essere, desideroso di vivere per sempre.

E qui entra in campo un altro elemento caratteristico della civiltà moderna: il rifiuto della consolazione. L’uomo moderno non può accettare un pensiero che lo consoli, perché gli sembrerebbe una debolezza; non può ammettere un Dio che lo ami, perché gli parrebbe una forma d’infantilismo; non può nemmeno ipotizzare una Provvidenza che vegli su di lui, perché si tratta di una ipotesi incompatibile con le premesse materialistiche di tutta la sua concezione, e assolutamente irricevibile dal punto di vista della sua scienza. Anche un bambino vedrebbe che questo rifiuto di essere consolato è il risultato di una superbia luciferina, la superbia di una creatura che non accetta il proprio statuto ontologico e che vorrebbe essere al posto del Creatore. La vera cifra della modernità è dunque la superbia: è per superbia che l’uomo moderno rifiuta l’ipotesi di Dio, rifiuta di fare la pace con se stesso e con l’idea della morte, e rifiuta il pensiero consolante che la sua vita non viene dal caso, non è diretta verso il nulla ma proseguirà, in altra forma, nella dimensione dell’eternità. L’uomo cristiano non si vergogna affatto di lasciarsi consolare e anzi si rivolge con fede a Dio, a Gesù Cristo, agli Angeli, alla Madonna e ai Santi, per ricevere da essi l’aiuto, il sostegno, il conforto e il consiglio; ma l’uomo moderno non può farlo, per lui sarebbe un abbassarsi, un umiliare la propria ragione, un auto-degradarsi. La civiltà moderna può quindi essere definita anche come la civiltà che rifiuta la consolazione. È la prima in assoluto ad aver fatto una cosa del genere, e non meraviglia che essa produca un numero così grande di individui angosciati, depressi, tormentati da mille paure e da mille fantasmi. È l’altra faccia della sicurezza, o meglio della sicumera, che l’uomo moderno ostenta quando si sente forte, in mezzo ai suoi gingilli tecnologici e dall’alto dalle sue predizioni scientifiche. Ma il rifiuto della consolazione ha un prezzo: la disperazione. L’uomo moderno è disperato, perché sa che niente e nessuno lo potranno redimere dalla sua angoscia, dalla sua paura del nulla. E se qualcuno si presenta per fargli una carezza di consolazione, lui la rifiuta con sdegno, con disprezzo. Il prototipo dell’uomo moderno è Mersault, protagonista de Lo straniero di Camus, il quale, condannato a morte dopo aver commesso un omicidio insensato, respinge il sacerdote che vorrebbe offrirgli i conforti religiosi e si avvia al suo destino con atteggiamento di sfida, augurandosi d’essere accolto da grida di odio.

Non c’è solo la superbia alla radice della ferma volontà di rifiutare qualunque forma di la consolazione. Vi sono anche l’orgoglio, cioè il non voler apparire debole, e la vigliaccheria, cioè il non voler affrontare la vera essenza di questo atteggiamento, che è la paura di quel che penseranno gli altri e, forse, anche di quel che penserà lui di se stesso. In fondo, anche se si crede un libero pensatore e anche se è dominato da un individualismo esasperato, l’uomo moderno è un conformista: è il figlio della società di massa, che non ha sviluppato il coraggio per essere indipendente dal giudizio altrui e dal totalitarismo della cultura dominante. In una cultura dove il materialismo è d’obbligo, egli si vergognerebbe anche solo di considerare la possibilità che, dopotuttto, Dio esiste, che lo ama e che desidera essere lo scopo e la consolazione della sua vita. Quando sente parlare di un amico che si è convertito alla fede, non riesce a trattenere una smorfia di disprezzo o una risatina ironica. Il paradigma culturale al quale appartiene, e al quale si è votato senza mai aver formulato un pensiero veramente critico, esclude che la fede sia una risposta intellettualmente e moralmente dignitosa alle domande dell’uomo; la fede, per lui, è una fuga, una debolezza, una forma d’infantilismo. Per lui non meritano di essere presi sul serio se non coloro i quali hanno rotto ogni rapporto con Dio, anzi, coloro i quali non si prendono neppure più il disturbo di spiegare perché e come Dio sia morto. Per lui, partire dalla constatazione della morte di Dio è un pre-requisito per essere considerati delle persone serie, adulte e responsabili. Questo, naturalmente, è un capolavoro del demonio: aver creato una cultura nella quale l’uomo non vuol nemmeno sentir parlare di Dio. Doppio capolavoro, perché quella stessa cultura non vuol neanche sentir parlare dell’esistenza del diavolo. E le cose sono giunte a un punto tale, che perfino dentro la Chiesa cattolica è entrata la visione moderna del mondo e quindi è entrata anche l’insofferenza nei confronti dell’idea che il diavolo esista. Quanto a Dio, non si nega la sua esistenza, ma si tende a relegarla nella sfera dell’immanenza, il che è come negare, di fatto, che Dio sia Dio, cioè il Creatore e Signore dell’universo, e il Redentore dell’umanità. Il neoclero, infatti, adopera pochissimo queste parole: Re dell’universo, Signore del creato, Redentore degli uomini. Sono espressioni che gli provocano un certo disagio, perché gli ricordano, di riflesso, la piccolezza dell’uomo, la non autosufficienza dell’uomo. Dunque, la civiltà moderna è quella civiltà – unica, finora, nella storia – che nega Dio, che nega il diavolo, che non crede nell’eternità, che non si chiede quale sia il fine della vita umana, che rifiuta la consolazione. Come non vedere, pertanto, che essa potrebbe essere definita letteralmente, e senza esagerazione alcuna, come la civiltà del diavolo? E come non vedere che l’uomo, se vuol uscire da una tale prigione, dovrà lasciarsi prendere per mano dal suo Creatore?

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Raffaello)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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