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Si deve combattere la buona battaglia

Abbiamo detto, in più occasioni, che la vita è una guerra del bene contro il male e che il vero cristiano non è un pacifista, bensì un uomo di pace, ma nel senso che Gesù dà a questa parola: mai una resa unilaterale davanti al mondo. Il concetto si può esprimere così: per il cristiano, tutta la vita, dalla fanciullezza alla morte, non è che un’unica, buona battaglia; una battaglia che deve essere combattuta, perché rifiutarsi di combattere è la stessa cosa che aprire le porte al nemico e permettergli di compiere ogni sorta di malvagità, non solo contro i cristiani, ma contro tutti gli uomini, dal momento che il nemico, anche se lusinga e accarezza i peggiori vizi dell’umanità, in realtà ha un solo scopo: trascinarli tutti alla perdizione. Anche da ciò si vede il gradi di follia e di infedeltà di quei pastori, di quei vescovi, i quali, disobbedendo alle stesse leggi della Chiesa, rifiutando di nominare, nelle loro diocesi, dei sacerdoti esorcisti: è come se consegnassero le anime dei fedeli nella bocca del demonio. E da ciò si vede la gravità inaudita e il danno incalcolabile che hanno provocato le parole di Sosa Abascal, il generale dei gesuiti, a proposito della inesistenza del diavolo, da lui ridotto a un mero simbolo del male. Anche in quel caso, è come se le anime fossero spate ingannate e spinte in una situazione di estremo pericolo, proprio da colui che ha ricevuto la sacra missione di difenderle sempre, a ogni costo: anche a costo della sua stessa vita. Ma si tratta, evidentemente, di falsi pastori e di falsi sacerdoti: perché un vero sacerdote non direbbe e non farebbe mai cosa alcuna che possa mettere in pericolo le anime affidategli dalla pietà divina, né si macchierebbe di un così abominevole tradimento verso Gesù Cristo. Il quale, con i demonio, non scherzava: né quando metteva in guardia contro le sue male arti, né quando esorcizzava i posseduti. Ma Gesù, evidentemente, non aveva letto i libri di teologia della svolta antropologica, non era stato illuminati dallo spirito del Concilio Vaticano II e resta legato a delle forme di religiosità popolare, diciamo un po’ superstiziosa: non aveva le sottili finezze intellettuali di un Sosa, di un Kasper, di un Rahner. E nemmeno la misericordia di un Bergoglio…

Insomma, a dirla in breve, e a dirla tutta, il cristiano deve essere un guerriero: un guerriero mite, ma non disarmato; fiducioso, ma non ingenuo; pacifico, ma non pacifista; benevolo, ma non buonista; arrendevole, ma solo per ciò che riguarda il suo ego: per ciò che riguarda le cose di Dio, deve essere, al contrario, deciso e intransigente. Lo chiameranno fanatico? Non ci farà caso; lui sa cos’è il fanatismo: è credere in qualcosa in maniera irragionevole e ottusa; ma lui non crede in qualcosa, crede nella Verità stessa; e non ci crede in maniera irragionevole, bensì secondo ragione, fin dove la ragione può legittimamente arrivare; né considera l’intransigenza un difetto, se si applica a ciò che è essenziale. La Verità è essenziale: l’uomo non può vivere al di fuori di essa; o meglio, non può vivere bene lontano da essa. Ma la Verità è Dio, e non un dio qualunque, ma il Dio verso il quale tutto converge, la ragione naturale e la Rivelazione soprannaturale: il Dio annunciato da Gesù Cristo e impersonato in Gesù Cristo: Chi ha visto me, ha visto il Padre. Inoltre, il cristiano sa perché la sua coerenza e la sua combattività danno tanto fastidio: perché sono in contrasto con lo spirito del mondo, che è spirito di accomodamento il quale non scaturisce da benevolenza e generosità, ma da egoismo, pigrizia e desiderio di non essere disturbati dagli altri. Io non disturbo te e tu non disturbare me, anche se io e te facciamo delle cose ignobili. Ma il cristiano non accetterà mai di entrare in un tale ordine di idee. Per il cristiano, la Verità e l’errore non stanno sullo stesso piano ontologico: opinare ed agire diversamente, cioè come se fossero equivalenti, sarebbe un abbandonarsi al relativismo e al soggettivismo, cioè un tradimento verso la Verità, che è Dio. E il cristiano non scherza con le cose di Dio: le prende molto, ma molto sul serio. Di conseguenza, prende sul serio anche le cose che si oppongono a Dio; e la prima di esse è l’azione nefasta esercitata dal demonio, sia individualmente, sulle anime, sia collettivamente, e sull’insieme della storia umana.

Ecco perché il cristiano non può tollerare un sacerdote che dice: Il diavolo non esiste; ecco perché non può tollerare un vescovo che dice: Io non voglio esorcisti nella mia diocesi. Entrambi vanno contro la Verità e contro la carità dovuta al prossimo: perché ingannare le anime su cose di tale importanza equivale a gettarle in una condizione di estremo pericolo. L’uno e l’altro hanno peccato direttamente contro Dio: perché la Verità è Dio e Dio è la Verità; e perché ingannare le anime riguardo alla salvezza vuol dire infrangere la più importante delle tre virtù teologali: la carità. Entrambi andrebbero cacciati dalla Chiesa cattolica a pedate nel sedere: non un prete come don Minutella, il quale, pur con i suoi limiti, non ha insegnato alcuna dottrina falsa e pericolosa, ma quel sacerdote e quel vescovo, i quali sono venuti meno al comandamento fondamentale: l’amore verso Dio e verso il prossimo. Forse l’arcivescovo di Palermo, che ha cacciato dalla sua parrocchia don Minutella e, pare, lo ha sospeso a divinis, avrebbe fatto meglio, fra un giro in bicicletta e l’altro all’interno della sua cattedrale, a riflettere che Dio può perdonare qualunque peccato, ma, per bocca di Gesù Cristo, sappiamo che non perdona il peccato contro lo Spirito Santo. Ma quell’arcivescovo non solo non ha fatto una simile riflessione: non ha neppure voluto incontrare i parrocchiani della chiesa di San Giovanni Bosco, che gli chiedevano un colloquio dopo la sospensione del loro parroco. La "chiesa della misericordia" sempre più rivela il suo vero volto: altro che ponti, altro che dialogo, altro che apertura: i ponti, il dialogo e le aperture sono sempre e solo per i nemici della vera Chiesa, per gli abortisti, gli immigrazionisti, gli omosessualisti: per i veri cattolici non c’è misericordia, non c’è ascolto. Ci sono le aule di tribunale, perché codesti signori sempre più spesso ricorrono alle querele e alle azioni legali per zittire qualunque dissenso. In linea con il loro grande ispiratore e supremo modello, del resto, il falso papa Bergoglio: il quale ha dato l’esempio ignorando i dubia dei quattro cardinali su Amoris laetitia, e ignorando anche la loro richiesta, inoltrata personalmente da Caffarra, di una udienza privata; e il quale non si abbassa a spiegare ai Francescani e alle Francescane dell’Immacolata per quale ragione li stia trattando, da più di quattro anni, come degli appestati, dei sovversivi, dei potenziali delinquenti. Il tutto mentre si pavoneggia nelle piazze, sugli aerei, nelle chiese e perfino nei conventi di clausura, portando ovunque il suo sfrenato narcisismo, la sua smania di apparire, la sua risata sguaiata, il suo gusto per la battuta grossolana, e qualche volta anche irriverente o blasfema, che strappa, però, l’applauso del mondo. Perché il mondo gode di vedere sul soglio di san Pietro un tale "papa"; il mondo gode di tutto ciò che porta scandalo, turbamento e confusione dentro la Chiesa, perché ciò la indebolisce e la rende meno credibile, perciò anche  più vulnerabile ad ulteriori, futuri attacchi. Il mondo odia la Chiesa perché essa custodisce il Deposito della fede, e il Deposito della fede custodisce la Verità. Il mondo odia la Verità, come ha predetto con estrema chiarezza Gesù Cristo (Gv, 15, 18-19):  Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia.

Ora, se il cristiano sa che la vita è  una milizia, e se sa che la sua battaglia non è solo contro delle forze umane, ma anche contro gli spiriti del male, non si meraviglia di incontrare l’incomprensione e la disapprovazione del mondo; non si meraviglia delle maldicenze, delle denigrazioni, delle calunnie; non si meraviglia se proprio coloro i quali dovrebbero sostenerlo, consigliarlo, incoraggiarlo, lo attaccano, lo condannano, lo svillaneggiano e lo umiliano pubblicamente. Non hanno trattato così anche Gesù? Il quale ha anche detto (id., 20-21): Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato.

E il cristiano sa che la buona battaglia va combattuta comunque, e che egli ne uscirà sempre vincitore, perché Dio sarà sempre accanto a lui e non accanto ai suoi falsi seguaci, tutti protesi a trovare un comodo compromesso con il mondo, cioè – per parlare chiaramente – con le forze del male; e che, per riuscirci, devono per prima cosa sacrificare i testimoni della Verità, i quali sono divenuti simili a delle pietre d’inciampo sul loro perverso cammino di apostasia e di tradimento. Rileggiamo quel che dice di sé san Paolo, giunto quasi alla fine della sua vita (2 Timoteo, 4, 6-18):

Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione. Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto contro di loro. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Chi combatte la buona battaglia sa di non doversi aspettare aiuto o sostegno dagli uomini, nemmeno dai cosiddetti cristiani, molti dei quali, anzi, saranno i primi ad attaccarlo, e i più maligni a godere delle sue sofferenze. Non importa. Egli confida in Dio, giusto giudice, che è la Verità: è da Lui che riceverà la sua ricompensa, in Lui che troverà il premio e la pace. Perché tale è la caratteristica del vero cristiano: così come vuol piacere solamente a Dio, ugualmente non si aspetta altro aiuto che quello di Dio. Se si aspettasse comprensione e sostegno dal mondo, non sarebbe un cristiano, ma un umanista; e oggi va assai di moda essere dei "cristiani" di tal fatta. Ma non fa nulla. I cristiani progressisti e modernisti sono come le foglie al vento: oggi assaporano un illusorio trionfo; domani saranno già dimenticati, perché apparirà chiaro, sulla distanza del tempo, che erano solo degli impostori, degli uomini piccoli, amanti delle novità e usi a cavalcare l’ultima moda del momento: insomma, dei nani. È solo un nano, infatti, colui il quale, disprezzando la Tradizione, e ignorando duemila anni di storia, di teologia, di mistica, di santità, di eroismi, decide di abbracciare la strada della popolarità a poco prezzo, di fare il piacione, l’amicone, e svendere ciò che non è suo, ma appartiene solamente a Dio, in cambio dell’applauso del mondo: il perdono dei peccati. Quando confessa, il sacerdote è un alter Christus, un altro Cristo: i peccati che rimette, non li rimette a suo arbitrio, a suo capriccio, ma secondo la volontà di Dio; e quelli che non rimette, non lo fa a titolo personale, ma sempre e solo secondo la volontà di Dio. La volontà di Dio riguardo al peccato è molto chiara: ci sono i Dieci Comandamenti e ci sono le parole e i gesti di Gesù, come ci vengono tramandati dal Nuovo Testamento. Chiunque si permette di modificare anche solo una virgola del Vangelo, chiunque ardisce cambiare anche solo di uno iota la Parola di Dio, commette un abuso intollerabile e si assume una responsabilità tremenda, che coinvolge lui stesso, oltre che il peccatore al quale ha dato l’illusione che il suo peccato sia stato rimesso, anche in assenza di un sincero ravvedimento, o, addirittura, che esso non deve essere considerato come un peccato, ma come la legittima manifestazione di un bisogno naturale.

La triste eredità del Peccato originale è la concupiscenza, ossia la tendenza a commettere il male, assecondando i propri istinti inferiori. Chiunque ne sia cosciente, sa che l’anima deve esercitare una sorveglianza su se stessa, e che nulla è scontato: tutti possono cadere, perché la natura umana è fragile. Questo, però, non autorizza il cristiano a dichiarare il disarmo unilaterale a far finta che non ci siano dei nemici, e quindi dei pericoli, nella vita dell’anima; né, meno ancora, a fingere che il peccato non sia più tale, solo perché la teologia, dagli anni Sessanta del secolo scorso, ha imboccato la via della "svolta antropologica", mettendo al centro di ogni cosa l’uomo, coi suoi "bisogni" e la sua aspirazione a "realizzarsi", e relegando Dio sempre più sullo sfondo. Questa è stata una cattiva, anzi, una pessima teologia; e il suo pessimo ispiratore è stato Karl Rahner, la cui influenza nefasta sulla Chiesa cattolica si allunga dal Concilio fino ai nostri giorni, ed è continuata dai suoi discepoli, come Walter Kasper, oggi autorevolissimi personaggi alla corte di Francesco. Per codesti teologi, che, non a caso, Cornelio Fabro chiamava porno teologi, tutto ciò che viene dall’uomo è buono e va assecondato: ma questa è una forma di naturalismo, e non ha nulla a che vedere con il cristianesimo.

Astuti o folli, direbbe Leopardi, essi non hanno capito che la vita è una lotta e che bisogna battersi contro un duplice nemico: esterno e interno. Chi non è pronto e disposto a battersi, sarà travolto. La vita non fa sconti e l’incoscienza non è una scusante. Non c’è posto per gente simile, la quale confonde volutamente la mitezza con la viltà e l’ignavia, e si scorda che la forza viene solo da Dio…

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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