
Si deve combattere la buona battaglia
16 Marzo 2018
Stiamo allevando i nostri figli al fallimento
18 Marzo 2018Non sono venuto a portare la pace sulla terra, ma una spada. Metterò il figlio contro il padre e il padre contro il figlio, la figlia contro la madre e la madre contro la figlia… Sono parole di Gesù Cristo. Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, io vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno, tre contro due e due contro tre. Sono ancora parole di Gesù Cristo. Parole che, forse, il signor Bergoglio non ha ben meditato, visto che, per lui, ogni causa di divisione deve essere rimossa; e se, per rimuoverla, bisogna riabilitare Lutero con tante scuse, se bisogna invitare gli islamici alla santa Messa, se bisogna dire che i Giudei non hanno alcuna necessità di convertirsi, ebbene, quello è un prezzo che vale la pena di pagare. Bisogna gettare ponti e solo ponti, secondo lui; e abbattere tutti i muri. Gesù, però, non parlava affatto in tal modo; Gesù diceva di essere venuto a portare la divisone, perfino all’interno di una stessa famiglia. Più chiaro di così…
Qui si vede la malizia infernale e la superbia, veramente demoniaca, di certi teologi, di certi membri del clero, e quelle del falso papa prima di ogni altro, i quali pretendono di riscrivere il Vangelo; pretendono di averne scopeto il "vero" senso, evidentemente sinora ignorato; pretendono di essere, loro, i primi ad applicare in maniera corretta le indicazioni del Figlio di Dio, dopo aver fatto la tara a tutte le esagerazioni e le inesattezze che ci sono nei Vangeli. I quali, dopotutto, sono libri umani, e quindi imperfetti, non sono mica nastri registrati, come dice padre Sosa Abascal, pertanto non si sa con quanta fedeltà riportino quel che disse il Nostro Signore. Gli esorcismi effettuati da Gesù, per esempio: come è possibile prendere per buone le parole dei Vangeli, dal momento che — lo dice sempre l’ottimo padre Sosa, generale dei gesuiti, mica un pretino qualunque — il diavolo non esiste affatto e non è mai esistito? Evidentemente, si tratta di racconti allegorici, di racconti simbolici; si tratta — come direbbe il buon Bultmann di miti, insomma di storie un pochino romanzate, un pochino leggendarie, per far risaltare un certo significato morale. Che bellezza, leggere così il santo Vangelo: è il sogno di tutti i modernisti. Anzi, neppure i Loisy, i Tyrrell e i Buonaiuti avrebbero mai osato spingersi tanto lontano; il che ci conferma, ancora una volta, l’acume del giudizio di Jacques Maritain, secondo il quale il modernismo dei primi anni del ‘900 era un raffreddore da fieno, mentre quello dei suoi tempi era già una polmonite. Maritain diceva una cosa simile nel 1966, a Concilio da poco concluso: figuriamoci cosa direbbe oggi, cinquant’anni dopo; figuriamoci cosa direbbe se potesse vedere con i suoi occhi, e giudicare, la chiesa di papa Francesco: quella degli Spadaro, dei Paglia, dei Galantino, dei Sorondo…
Dunque, ecco una prima indicazione per discriminare il buon grano dalla zizzania, in questi tempi di suprema confusione dottrinale, morale, pastorale: il cristiano è sempre pronto e ben desto per affrontare la buona battaglia. Non è vero che il cristiano deve essere sempre e solo per la pace; quanto meno, non per la pace "del mondo", che è cosa completamente diversa dalla pace di Cristo. Vi lascio la pace, vi do la mia pace; ve la do, non come la dà il modo, dice Gesù Cristo ai suoi discepoli al termine del’Ultima Cena, in procinto ormai di affrontare la sua Passione, Morte e Resurrezione. Se il cristiano fosse per la pace "a prescindere", dovrebbe transigere continuamente su cose essenziali; dovrebbe tacere davanti a peccati gravissimi; dovrebbe fare finta di non vedere le pessime azioni che gli uomini compiono contro Dio e contro i loro simili, perfino contro le stesse leggi della natura. Ed ecco, appunto, i clamorosi silenzi di Bergoglio sui grandi temi etici. Peggio: i suoi silenzi su casi specifici, come quello del piccolo Alfie Evans, cui il giudice vuole sospende le terapie, citando proprio la posizione del papa contro l’accanimento terapeutico, mentre si tratta, in effetti, di un nuovo caso Charlie Gard, ossia di un caso di eutanasia su un minore, e con monsignor Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita (!), che approva e benedice. Nossignori; il cristiano è per la pace armata; per la pace che nasce dalla forza, e non dalla debolezza; per la pace vera, quella che regna quando trionfano la verità e la giustizia, e non per la pace fasulla e ipocrita del compromesso, della viltà, dell’apostasia; non per la pace ottenuta a qualsiasi prezzo, anche a prezzo di tacere su cose essenziali (altro silenzio clamoroso: quello su Asia Bibi); non la pace che viene dal rinnegare Cristo per far piacere ai suoi nemici, come quando si tace sui sei milioni di aborti avvenuti in Italia da quando è entrata in vigore la legge 194, voluta da Pannella, l’eroe di monsignor Paglia, e la Bonino la "grande italiana" decantata dal signor Bergoglio e, in compenso, si solleva un baccano d’inferno ogni volta che fa naufragio un barcone pieno di falsi profughi, che si mettono in situazioni di pericolo non per sfuggire a guerre o carestie, ma anzi, dopo aver pagato fiori di quattrini, cosa evidentemente possibile solo a dei benestanti, per invadere e islamizzare l’Italia, secondo i piani di Soros e Zuckerman. Ma il cristiano, in buona sostanza, non è mai per la pace assoluta, non è mai per il disarmo unilaterale, per la semplicissima ragione che il diavolo non disarma mai, non si arrende mai, non rinuncia mai a realizzare i suoi tenebrosi disegni; e se il diavolo è sempre sul piede di guerra, il cristiano deve esserlo altrettanto. Senza scordarsi che il primo e più ovvio campo di battaglia non è al di fuori di lui, ma dentro la sua stessa anima — che è anche la posta in gioco.
La seconda indicazione per riconoscere chi è veramente cristiano da chi non lo è, pur dicendo di esserlo, è questa: il cristiano va incontro alla croce, l’altro no, cerca di evitarla, tenta di scansarla in tutte le maniere possibili. Il cristiano sa che la croce è parte del Vangelo, è parte della Buona Novella: non è un di più, non è un "coda" fastidiosa, un elemento di disturbo; niente affatto: è la stessa sostanza del messaggio di Gesù. Se si toglie la croce, si toglie il Vangelo. Ma perché? Forse hanno ragione coloro i quali accusano i cristiani di essere dei masochisti, della gente desiderosi di soffrire, di punirsi per qualche oscuro senso di colpa? Per nulla. La croce è necessaria per il semplice fatto che la sofferenza esiste, fa parte della condizione umana; più precisamente, è una conseguenza del Peccato originale. E dal momento che esiste, ci sono due maniere di porsi rispetto ad essa: una è quella di scappare, l’altra è quella di andarle incontro. Di assumerla spontaneamente, e di offrirla a Dio come un segno d’amore; proprio come Gesù ha affrontato la croce per amore di Dio e per amore degli uomini. La prima sofferenza che il cristiano può offrire a Dio, è quella che gli si presenta senza averla cercata: una malattia, una perdita, una sconfitta. La seconda è quella che egli può chiedere a Dio stesso, in riparazione del male esistente nel mondo e in suffragio per le anime che si trovano in difficoltà, in questa vita e nell’altra. Il cristiano possiede il grande segreto, che invano hanno cercato tutte le altre filosofie, tutte le altre fedi, tutte le tecniche di magia, di spiritismo, di occultismo: quello di saper trasformare il male in bene. Il male diventa bene quando la sofferenza viene accettata come una offerta d’amore a Dio e al prossimo. Ci sono dei grandi Santi e delle gradi Sante, alcuni dei quali non conosceremo mai, perché vivono o sono vissuti nel segreto e nel silenzio di un chiostro di clausura, i quali hanno offerto la loro intera vita come pegno d’amore per Dio e per l’umanità, e che hanno impreziosito il loro dono assumendo volontariamente la sofferenza. Il materialista non capisce, il razionalista scuote la testa: a che scopo una cosa del genere? Eppure è abbastanza semplice: nulla, nella dimensione cosmica, va perduto: e il male chiama ancora male, se non viene vinto dal bene. Il mondo è pieno di male: lussuria, superbia e avarizia producono i loro frutti di morte: omicidi, violenze, calunnie, gelosie, contese, scandali, furti, rapine, vessazioni, ignavia. Tutto questo male chiamerebbe altro male e si alimenterebbe di una spirale infinita, se qualcuno non placasse le sue richieste rabbiose con il bene: e l’unico bene che possa controbilanciare il male ed estinguere la sua terribile spirale è l’offerta volontaria della propria sofferenza. Soffrendo, cioè andando incontro a un male volontariamente assunto, che non si estende, però, ad alcun altro, ma infierisce solo contro la vittima volontaria, la spirale si blocca, il cerchio si chiude: e il penitente è destinato ad acquisire, a sua volta, un immenso beneficio spirituale, perché Dio, giusto giudice, vede ogni cosa, vede la sua eroica intenzione, la sua purezza, il suo amore disinteressato per gli uomini, anche per quegli uomini che non conoscerà mai – perché così fanno i Santi e le Sante: si offrono in sacrificio per i peccatori, per i preti traviati, per i malvagi impenitenti, affinché si pentano, e anche per le anime del purgatorio — e li ricompensa con i doni ineffabili della sua pace interiore. Quelle anime sante, in tal modo, se soffrono per amore di Dio e del prossimo, sono però ricompensate con le grazie soprannaturali in questa vita, e con il trionfo della beatitudine nella vita eterna, che poi è la vita vera, quella verso la quale il cristiano naturalmente tende.
Il vero cristiano non si sente mai, se non in parte, e solo a titolo provvisorio, un cittadino di questo mondo. Il cristiano sa che la vita terrena è un pellegrinaggio: la prende sul serio, la affronta con il massimo impegno, ma non si dimentica mai del suo carattere transitorio, né si scorda che le sue gioie sono effimere e tutte le sue bellezze sono pur sempre imperfette. Perciò conserva nel cuore la viva speranza e l’inestinguibile nostalgia della sua patria vera, che è il Cielo. Il cristiano è solo in parte un cittadino di questo mondo; ma per l’altra parte, la più preziosa, la più profonda, la più autentica, egli è già proiettato nella dimensione dell’eterno. E da tutto ciò deriva il terzo criterio per riconoscere il vero cristiano da quello fasullo: il primo vuol piacere a Dio e a Dio soltanto, il secondo si preoccupa quanto mai di piacere al mondo. A chi vuol piacere, quel prete di Torino che non fa recitare il Credo ai suoi parrocchiani, dicendo di non crederci? E quello di Genova che si rifiuta di celebrare la santa Messa di Natale "per rispetto ai migranti"? E quel gesuita americano che esorta la Chiesa ad accettare l’omosessualità e anche le unioni omosessuali? E monsignor Paglia, che celebra le virtù morali di Pannella e giustifica il giudice che ha deciso di "staccare la spina" al piccolo Alfie Evans? E monsignor Galantino, che falsifica la Bibbia, dicendo che Dio risparmiò i Sodomiti? E monsignor Sorondo, che dichiara il sistema sociale ed economico dei cinesi come il più vicino alle dottrine della Chiesa? E il signor Bergoglio, che si mette d’accordo con i governanti cinesi ai danni dei cattolici di quel Paese, abbandonati alle persecuzioni di un sistema totalitario e antireligioso? E i vescovi tedeschi, i quali affermano esser cosa buona e giusta dare la Comunione ai divorziato risposati, a chi vogliono piacere: a Dio o agli uomini? Perché Gesù, a una precisa domanda sulla liceità del divorzio, rispose con queste parole non meno precise: L’uomo non separi ciò che Dio ha unito. E allora, a chi vuol piacere un documento come Amoris laetitia, e a chi vogliono piacere tutti coloro i quali lo hanno lodato ed esaltato come un magnifico frutto della carità cristiana? Un frutto di carità talmente magnifico, che il suo autore, il signor Bergoglio, non ha neanche voluto ricevere i dubia dei quattro cardinali, né concedere loro la richiesta udienza privata, per spiegare come vada interpretato il famoso capitolo ottavo. E i preti che fanno i buffoni in chiesa, che trasformano la liturgia in uno show e le omelie in altrettanti comizi, qualcuno perfino intonando canzonette dall’ambone (e parliamo anche di un noto vescovo), oppure che offrono l’aperitivo e il ballo al termine della Messa, oppure ancora che profittano della sacra cerimonia per far propaganda a favore dei cosiddetti matrimoni omosessuali: a chi vogliono piacere, tutti costoro? E quel’altro vescovo che se ne va a spasso in bicicletta sotto le volte della sua cattedrale, a chi desidera riuscire simpatico? E colui che sposa una coppia sull’aereo a diecimila metri di quota, trasformando il Sacramento del Matrimonio in una americanata, a chi vuole piacere? E i preti che sostituiscono il Sacramento della Riconciliazione in una cerimonia collettiva, nella quale i pententi non si prendono nemmeno il disturbo di confessare i loro peccati, tanto c’è il perdono di Dio pronto e garantito per tutti quanti, a chi vogliono piacere?
D’altra pare, è innegabile che è cosa più facile essere cristiani della domenica piuttosto che dei veri cristiani. Essere disarmati e pronti a cedere di fronte a qualunque imposizione, comprese le imposizioni di uno Stato il quale, sempre più, si dimostra il semplice prolungamento dei poteri mondiali occulti, massonici e anticristiani; cercar di scansare la croce, rifiutare la sofferenza, pensare che la vita sia fatta solo per soddisfare i propri piaceri e desideri, anche i più disordinati; non sforzarsi di piacere a Dio, ma preoccuparsi, al contrario, di ricevere l’approvazione del mondo, avendo cura di evitare tutto quello che potrebbe comportare, non diciamo una persecuzione vera e propria, ma anche solo delle incomprensioni, delle critiche malevole, dei dispetti, delle piccole ingiustizie a proprio danno: tutto questo è più facile e più comodo che non l’atteggiamento contrario. Seguire la corrente è sempre cosa più facile, e i cattolici progressisti seguono, come tutti gli altri, la corrente del Progresso. Ma tale corrente non ha nulla di cristiano e non può piacere a Dio. In verità, essa non ha neanche nulla di autenticamente umano, come è attestato dalla infelicità cronica dell’uomo moderno. Libero di fare quel che vuole, con le leggi dalla sua che gli consentono di assecondare qualunque impulso, anche il più vergognoso, e dimentico di Dio, il suo "carceriere", l’uomo moderno dovrebbe essere felice, in base alle premesse della sua filosofia materialista, edonista e laicista: e invece non lo è; al contrario, si sente sempre più angosciato, più solo e disperato. Vuoi vedere che qualcosa, in quelle premesse, era radicalmente sbagliato? Vuoi vedere che l’uomo, per poter essere felice, deve ritornare a quel Dio che con troppa fretta e semplicismo ha immaginato come il colpevole di tutti i suoi mali? E che, alla fine dei conti, gli conviene essere un vero cristiano, e non un cristiano per modo di dire, anche se ciò, sul piano dell’immediato, comporta senza dubbio più fatica e maggiore disagio?
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