
A un amico che ha perso la fede a causa del neoclero
14 Marzo 2018
Ecco perché sarà una lotta senza quartiere
15 Marzo 2018C’è un modo abbastanza semplice, in questi tempi di somma confusione teologica e dottrinale, e quindi anche morale, che la Chiesa cattolica sta attraversando, senza più esser capace di mostrare ai propri fedeli, e anche ai non cattolici, quale sia la via da seguire, in che cosa consistano il bene e le grazia e in che cosa, invece, il male e il peccato; e nei quali, anzi, essa si è messa a rimorchio del mondo, e si sta lasciando condurre dai modi di pensare del mondo, anche e soprattutto sui grandi temi etici. E consiste in questo: osservare che cosa rappresenta la croce per quanti si dicono cristiani. Coloro i quali ne sono scandalizzati; coloro i quali non ne parlano mai; coloro i quali predicano e caldeggiano un cristianesimo senza il Calvario, senza la croce, senza la sofferenza, e perciò anche senza la Redenzione — le due cose sono inseparabili — non sono, né potrebbero mai essere, dei veri cristiani. Se si toglie la croce, infatti, che cosa resta del cristianesimo? Il cristianesimo, bisogna che ciò sia assolutamente chiaro, non è una "dottrina" religiosa e morale, ma è il Vangelo di una Persona fisica, realmente vissuta, Gesù Cristo, che, per i suoi seguaci, non è un uomo, non è solo un uomo, ma la seconda Persona della Santissima Trinità. Ora, Gesù è venuto nel mondo per una ragione precisa: per redimere l’umanità dai peccati e per indicare ad essa la via della salvezza eterna, presso il Padre celeste. Niente divinità di Gesù, niente Redenzione; niente Incarnazione, e l’umanità rimane nei suoi peccati. Ma la via della Redenzione passa per la croce: la croce di Cristo, in primo luogo; e la croce liberamente assunta dai suoi seguaci, in secondo luogo. Perché i cristiani sono chiamati a rispondere all’invito di Cristo; sono chiamati a proseguire, in se stessi, nelle loro persone e nelle loro vite, l’opera della Redenzione. Gesù, infatti, non è venuto a redimere delle marionette, dei manichini impagliati, ma degli uomini vivi; e ciò che vuole da essi è il pieno assenso all’opera della Redenzione. Non li vuole salvare per forza, non li vuole redimere contro la loro volontà. Non li vuol portare in Cielo comunque, magari calpestando la loro volontà: il suo amore è così grande da accettare ance un eventuale rifiuto. Rifiutare la croce è come rifiutare Gesù, è come rifiutare la sua Redenzione. All’uomo, senza la croce, non resta più il vero Gesù, ma solo uno dei tanti profeti, uno dei tanti maestri, uno dei tanti personaggi storici che sono venuti a dire una parola buona nel corso della storia. Nessuno di essi ha mai redento alcuno, perché gli uomini non si possono dare la redenzione da soli: possono solo riceverla da Qualcuno che sta più in alto di loro, cioè dal loro Creatore.
Questo è il vero cristianesimo e chi non ha capito questo, non ha capito nulla. Il cristianesimo è una Persona, è la fede in quella Persona, è il prendere a modello di vita quella Persona e nessun altro: come dice san Paolo (Filippesi, 2, 9.-11): Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. Ma Gesù è il Redentore in virtù della croce, non senza la croce. Senza la croce, Gesù potrebbe anche somigliare a Socrate, a Mani, a Buddha e a chissà quanti altri. La stessa cosa vale per i cristiani: essi son tali se accettano la croce, e se l’accettano per amore di Cristo; altrimenti sono degli uomini qualsiasi, senza la fede che vivifica, senza la speranza che salva. Perciò, la domanda è e rimane sempre la stessa, e dobbiamo rivolgerla a noi stessi, prima ancora che agli altri: Credi tu in Cristo crocifisso, morto e risorto per amore degli uomini e per la redenzione dei nostri peccati? Se ci credi, sei un cristiano; se non ci credi, sei un mezzo cristiano, un cristiano della domenica; una canna al vento, uno dei tanti che, oggi, vanno dietro al falso papa argentino perché, invece di ricordar loro il dramma del peccato e della grazia, dice tutte quelle cose che fanno piacere, cioè, in sostanza, adatta il cristianesimo alla mentalità del mondo moderno, che è un mondo intimamente anticristiano: un mondo che non vuol saperne della croce, perché, in ultima analisi, non vuol saperne del Redentore. E ciò per la buona ragione che non ritiene ci sia nulla da cui gli uomini debbano essere redenti: chi ammette la necessità della Redenzione, ammette anche la condizione peccatrice dell’umanità; ma quando mai codesti neopreti, neovescovi e neoteologi parlano del peccato? Pare quasi che sia scivolato via dalla loro agenda. Hanno ben altro di cui parlare, quei signori: dei poveri, dei migranti, dei profughi; devono togliere i banchi dalle chiese per trasformarle in refettori, dormitori e cessi pubblici; devono predicare la legge sullo ius soli agli italiani, devono prescrivere la solidarietà cieca, l’accoglienza indiscriminata, l’islamizzazione e l’africanizzazione dell’Italia e, possibilmente, dell’Europa. I loro santi patroni sono Soros, Zuckerberg e Bezos: miliardari "filantropi" che spingono avanti milioni di africani per invadere l’Europa e per far sparire, nel giro di un paio di generazioni, quel che resta del cristianesimo. Perché il loro denominatore comune è proprio questo: l’odio del cristianesimo. Come Scalfari, Bonino, Pannella: i migliori amici del "papa" argentino. Strano, vero? I migliori amici del papa, quelli che più concordano sulla sua linea immigrazionista, sono proprio i nemici storici e dichiarati della Chiesa cattolica; quelli che sognano un futuro senza il Vangelo, senza Dio, senza Gesù Cristo. Qualche cosa vorrà pur dire, questo fatto, se c’è ancora della gente disposta a usare la propria testa, e non lasciarsi trascinare da quel che blaterano i teologi della scuola di Bologna, i monsignori alla Paglia e alla Galantino, e i giornali post-cattolici, come L’Avvenire e Famiglia Cristiana.
Nulla di nuovo sotto il sole: la croce ha sempre suscitato scandalo, fin da quando Gesù era qui, sulla terra, e spiegava ai suoi discepoli le cose che sarebbero accadute, e li premuniva contro il pericolo che si scandalizzassero di lui, della sua passione, della sua croce, della sua morte. Ecco il racconto dell’evangelista (Matteo, 26, 30-34):
E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Allora Gesù disse loro: «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge, ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea». E Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». E Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli.
E invece sappiamo che cosa accadde: che si scandalizzarono e lo lasciarono solo, quando venne il momento della prova. Oggi, di nuovo, molti sedicenti cattolici si scandalizzano della croce: non capiscono perché ci debba essere la sofferenza, trovano che sia un’imperfezione della natura, una zona d’ombra nell’armonia del creato; vorrebbero far finta di non vederla, trattenere il fiato perché essa non si accorga di loro. Se, poi, qualcuno la accoglie volontariamente, per amore di Gesù, la cosa li turba, anzi li irrita, li esaspera: è quasi un affronto alla loro pusillanimità, alla loro tiepidezza di cristiani. Ciò che vorrebbero, sarebbe di far sparire questo aspetto del cristianesimo: l’accettazione della croce per amore di Dio, a imitazione di Gesù Cristo. Ecco perché non parlano più di certi Santi: sebbene, a ben guardare, tutti i Santi, quelli veri, hanno visto nella croce lo strumento della Redenzione e perciò non solo non l’hanno scansata, ma le sono andati incontro, in perfetta coscienza e padronanza di sé.
Prendiamo un esempio, uno fra i mille, quello di una figura probabilmente poco nota alla maggior parte dei cattolici, specie di questi tempi: la serva di Dio Luigina Sinapi (Itri, Latina, 8 settembre 1916-Roma, 18 aprile 978), una mistica vissuta nel nascondimento, che fu, nondimeno, amica spirituale di Pio XII e di san Pio da Pietrelcina, la quale abbracciò una sofferenza volontaria per amore di Dio e dell’umanità. Ecco come padre Marcello Montanari ha rievocato questo aspetto della sua devota ed umile esistenza (sulla rivista Il Messaggio della Santa Casa di Loreto, 2016, n. 7 di luglio-agosto, p. 257):
A sedici ani entrò tra le "Figlie di san Paolo" per consacrarsi a Dio, ma dovette desistere perla sua precaria salute. Su consiglio del beato Timoteo Giaccardo si offrì vittima a Gesù per la salvezza delle anime e il bene della Chiesa.
Colpita da tumore, Luigina rimase a letto, nella sua casa di Itri, per due anni, pregando e offrendo le sue sofferenze per la santificazione della Chiesa e dei sacerdoti. Il 15 agosto 1935 il parroco le amministrò l’unzione degli infermi perché era giunta ormai alla fine. Capitò però un evento imprevisto. Luigina vide Gesù e la madonna che le chiesero: "Siamo venuti per farti una proposta. Tu però sei libera di scegliere: vuoi venire subito con noi in Paradiso o rimanere sulla terra e offrirti ancora vittima espiatrice per la Chiesa e per i sacerdoti?".
In un istante, Luigina vide i pericoli dell’apostasia nella chiesa, le defezioni che sarebbero venute negli anni futuri e accettò la seconda proposta, offrendosi ancora vittima a Dio. Gesù allora le disse: Non entrerai più in convento, ma come una persona comune vivrai nascosta agli occhi del mondo. Sarai poco compresa, soffrirai molto e morirai sola come me. Sarai — come dice il tuo nome — il granello di senape in un solco di Roma. Vivrai lo straordinario nell’ordinario. Da questo momento ti lascerò la mia santa Madre: ti guiderà e ti conforterà. Sii una violetta nascosta ma sempre profumata. Non temere."
Luigina guarì istantaneamente. Visse in colloquio con Gesù, con la Madonna e con i santi: vide l’Invisibile e portò a compimento cose impossibili agli uomini. Si dedicò all’adorazione eucaristica e all’apostolato, anche in modo straordinario, come quando Gesù la mandava "in bilocazione" a portare soccorso ai Vescovi e ai sacerdoti perseguitati sotto il regime comunista nell’est europeo e in Russia. (…)
Lei condusse e però una vita umile e nascosta, come le aveva detto Gesù. Desiderava essere seme, essere goccia, essere piccolo insignificante granellino per poter più facilmente scomparire! …
Agli occhi del neoclero, la vita di Luigina Sinapi anche se costoro non osano dirlo apertamente — è stata un non senso: per quale ragioni una persona dovrebbe offrire se stessa come vittima? La vita bella, dopotutto; perché rovinarsela a questo modo, invece di cercar di goderla sino in fondo? Il pensiero che Gesù ha offerto la sua vita per noi, evidentemente, non li sfiora o, se li sfiora, non li impressiona più di tanto. Gesù è Gesù, e noi siamo noi, paiono dire costoro: le nostre spalle non sono abbastanza forti da reggere il peso della croce. Evidentemente, non li sfiora neppure il pensiero che il cristiano non è un super-uomo, chiamato ad affrontare la vita a pugni nudi, ma un uomo come tutti, animato dalla fede in Gesù Cristo, dal quale attende la forza che gli manca, il coraggio che gli manca, la sapienza che non possiede. Il vero cristiano è una persona che, come fece Luigina Sinapi, rinuncia a se stesso, si spoglia del proprio io, cerca di diventare piccola e quasi invisibile, affinché Dio la possa riempire, la posa ispirare, ne faccia uno strumento per operare la Sua volontà. E va bene, sospirano costoro, ma perché farsi vittima? Che significato ha la decisione di offrirsi come vittima per amore delle anime? Non basta allestire delle cucine e delle sale mensa per sfamare i poveri, magari in chiesa, e stendere dei letti per farli dormire, sempre, se possibile, in chiesa, in modo che tali gesti di misericordia si riflettano con più luce su quelli che li compiono, e tutti possano dire: eh, vuoi mettere: la Comunità di sant’Egidio, il vescovo Perego, quelli sì che sono dei veri cristiani; così accoglienti, così solidali! Ma vivere nascosti, appartati, offendo in silenzio le proprie sofferenze a Dio per il bene delle anime e della sua Chiesa, che senso ha? E servirà a qualcosa, poi? Ecco: proprio da simili domande emerge chiaramente il fatto che codesti neocattolici, codesti neopreti e vescovi di strada, come amano chiamarsi, hanno perso la fede. Credono solo nell’azione concreta, nell’opera materiale, nella filantropia ma nella preghiera, nel sacrificio silenzioso di sé, non credono più, non credono affatto. Per loro, anche se non lo dicono, una vita come quella di Luigina Sinapi è stata una vita inutile. Quanto meglio avrebbe fatto se avesse dedicato il suo tempo a cucinare pastasciutte per i poveri e cucire lenzuola per i migranti! Questo è ciò che pensano, e lo si vede. Il loro amato papa, da parte sua, dà loro l’esempio: sempre a caccia di popolarità, sempre a firmare autografi, a rilasciare interviste, a improvvisare su qualsiasi argomento, specialmente di politica e pochissimo o nulla di spiritualità e raccoglimento; a fare gesti spettacolari di "bontà" e di "accoglienza", a incassare il sorriso compiaciuto di Scalfari, Bonino, Napolitano, Soros, Obama. E si noti che Luigina Sinapi si dedicò all’adorazione eucaristica e all’apostolato; apostolato che il signor Bergoglio ha testualmente definito una solenne sciocchezza…
Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Raffaello)