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Libertà religiosa, suicidio della Chiesa

Da quando, il 21 novembre 1964, il papa Paolo VI promulgò il decreto sull’ecumenismo Unitatis Reintegratio, approvato a schiacciante maggioranza dai padri del Concilio Vaticano II (con 2.137 voti a favore e 11 contrari), che poneva tutte le confessioni cristiane sullo stesso piano del cattolicesimo, e da quando, il 28 ottobre 1965, promulgava la dichiarazione Nostra aetate sulle religioni non cristiane (approvato con 2.041 sì, 88 no e tre schede nulle), che riconosceva pari dignità a tutte loro e specialmente ai grandi monoteismi, giudaismo ed islamismo, si può dire che il passaggio della Chiesa sulle posizioni della libertà religiosa, prima fermamente negate e respinte, era divenuto un fatto compiuto. E lo era anche se mancava del tutto, nei documenti conciliari, e anche nei successivi documenti papali, un punto essenziale: il richiamo al rispetto di tale libertà nei confronti dei regimi politici, come quello sovietico e quello cinese, che di fatto la negavano e che anzi perseguitavano apertamente i cristiani.

Di più: Paolo VI, assieme al cardinale segretario di Stato Agostino Casaroli, si accingeva a rendere un gran favore alle autorità sovietiche scaricando quel cardinale József Mindszenty che per otto anni (1948-1956) era stato da esse imprigionato, torturato, perfino impedito nel recitare le preghiere, e poi, per altri quindici anni (1956-1971) era stato recluso nell’ambasciata americana di Budapest. Un’altra capitolazione in cambio di niente: silenzio assoluto della Santa Sede sulle persecuzioni anticristiane dei regimi comunisti, e premio finale per quei regini, allontanando gli uomini, come Mindszenty (un altro era il cardinale Stepinac, vittima del regime jugoslavo di Tito), che testimoniavano nella loro persona le atrocità subite. Anzi: proprio in quegli anni si accentuavano le manifestazioni dell’innamoramento fra cattolici di sinistra, eredi in gran parte di Giuseppe Dossetti, e i "compagni" marxisti, eredi del Migliore, al secolo Palmiro Togliatti, l’uomo di fiducia di Stalin nella Terza Internazionale. Un innamoramento destinato a sfociare in amore dichiarato e a pesare sempre di più, non solo sugli equilibri interni del cattolicesimo politico, ma anche, un poco alla volta, e seguendo parecchie vie traverse, talmente traverse che non è facile seguirne tutti i fili e le diramazioni, sulla stessa dottrina, la pastorale, la liturgia, con una serie di "riforme" di segno "popolare" che ci hanno condotti dove siamo arrivati oggi: a una chiesa che plaude a Scalfari, Bonino, Pannella, che esalta Fidel Castro e il regime cinese odierno, che non si vergogna di parlare di una "chiesa dei poveri" con lo stesso piglio rivoluzionario e barricadiero con cui i "compagni" del 1968, di Lotta Continua o di Potere Operaio, parlavano di "potere al popolo", e che non si limitano alle parole ma, per rendere ancor più chiaro il concetto, trasformano chiese e basiliche in sale da pranzo, dormitori e gabinetti pubblici ad uso dei "poveri". Tanto per far capire a quei bacchettoni dei cattolici di una volta che le chiese non servono più a pregare e che è passato il tempo in cui si respirava il profumo dell’incenso, o, magari, l’odore della cera tirata sui pavimenti, ma è venuto il tempo in cui le chiese devono odorare di ragù, di braciole di maiale (ah, no, per carità: che non si offendano i poveri islamici; meglio le braciole di vitello), di cipolla e aglio fritto, così come i veri pastori, dice Bergoglio, devono odorare di pecora. Il che è l’esatto equivalente degli "espropri proletari" degli anni ’70 del secolo scorso: come allora dei ragazzotti irrompevano nei supermercati per distribuire le merci ai "poveri", così, lì per lì, adesso dei preti "di strada" e delle comunità "cattoliche" instancabilmente attive in ambito sociale, e, guarda caso, le più impegnate sul fronte dell’ecumenismo e del cosiddetto dialogo interreligioso, cioè nella battaglia per la libertà religiosa, espropriano le chiese ai fedeli, buttano fuori quanti ci vanno per pregare, e le riservano agli usi che si è detto, quando non ad usi ancora più impropri, come le conferenze di Emma Bonino, chiamata dagli stessi cattolici progressisti e di sinistra a pontificare sui migranti e su tanti altri argomenti, senza che mai qualcuno si azzardi a domandarle conto delle migliaia e migliaia di aborti di cui si è personalmente resa responsabile e abbondantemente gloriata. Anche perché, se qualcuno osa farlo, viene prontamente cacciato fuori dai quei bravi cattolici di sinistra: in chiesa possono parlare solo gli abortisti e gl’immigrazionisti, mica i cattolici vecchio stile.

A ben guardare, anzi, l’esproprio delle chiese per farne refettori e dormitori ricorda più l’esproprio delle chiese durante la scristianizzazione voluta dagli enragés, quando le case di Dio venivamo trasformate in caserme, stalle, palestre, magazzini e, naturalmente, sedi per i club politici, come i giacobini o i cordiglieri. L’intento, infatti, era il medesimo: desacralizzare e scristianizzare. Solo che allora lo si faceva in maniera rozza, esplicita, chiassosa; ora lo si fa in barba ai credenti, sotto i loro occhi e strappando, col ricatto morale, la loro approvazione: Ma come, pensi forse che Gesù non sarebbe contento di vedere sfamati i bisognosi?, ti sfidano. No, penso che non sarebbe contento. La sola volta in cui si è arrabbiato per davvero, fino a mettere le mani addosso alla gente, è stato quando ha visto lo stato di profanazione in cui era stato ridotto il tempio di Gerusalemme: la casa di Dio. La situazione odierna non è tanto diversa. A parte le buffonate di pessimo gusto di tanti, troppi preti "moderni", che trasformano la loro chiesa in un teatrino e la santa Messa in uno show carnevalesco, la pratica di far mangiare e dormire la gente dentro le chiese, spostando i banchi ed escludendo i fedeli, sa di ripicca, di prevaricazione ideologica: indica la volontà di certi cattolici di imporre a tutti gli altri che cosa è veramente il cristianesimo, cosa è veramente il Vangelo. Come se, per duemila anni, i cattolici non l’avessero saputo, non l’avessero capito. Come se per duemila anni il clero avesse mostrato egoismo e durezza di cuore, perché si prendeva cura, sì, degli affamati, di vestire gl’ignudi, di curare i malati, però non lo faceva dentro le chiese, e, con ciò, mostrava di non avere ben compreso, né meditato a sufficienza, il senso della Rivelazione cristiana. Ma ora, niente paura, sono arrivati loro: i buoni, i misericordiosi, quelli della Comunità di Sant’Egidio, quelli come Enzo Bianchi, che dialogano con tutti (tranne che coi veri cattolici), quelli come don Luigi Ciotti, che non ha paura delle mele marce, e che si è spinto a dire, in occasione del grottesco e blasfemo Festival dell’Eresia di Trivero, paese ove si concluse la vicenda di Fra Dolcino: Vi auguro di essere eretici! Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. Eretico è la persona che sceglie e, in questo senso, è colui che più della verità, ama la ricerca della verità. E allora ve lo auguro di cuore questo coraggio dell’eresia. Bene, bravo: un discorso fatto apposta per piacere al mondo e al suo grande ispiratore, il diavolo. Ma che non può piacere in alcun modo a Gesù Cristo, il quale, lungi dall’esortare la gente a farsi eretica, non si stancava di ripetere: Convertitevi e credete al Vangelo! Ma Gesù era solo Gesù, vuoi mettere, dopotutto solo un falegname, il figlio d’un falegname, o di un carpentiere, vissuto in Galilea un paio di millenni or sono, e del quale non si sa poi molto, neanche esattamente cosa disse (parola di padre Sosa Absdal, attuale preposito generale dei gesuiti); mentre don Ciotti, lo sanno tutti chi è, uno che non ha mai avuto paura delle mele marce, e che ha anticipato, per molti aspetti, lo stile e la pastorale del papa attuale, suo grande amico ed estimatore, quel Bergoglio venuto dalla fine del mondo per cambiare la Chiesa… Perciò, vuoi mettere? Fra Gesù e don Ciotti, non vi è alcun dubbio che la vera interpretazione del Vangelo è quella di don Ciotti.

Ma l’esproprio peggiore, a ben riflettere, non è quello dei luoghi fisici, sebbene qui stiamo parlando delle chiese e non delle sale parrocchiali, cioè dei luoghi sacri della religione cattolica, delle case di Dio e non delle case del popolo; l’esproprio più grave è quello di segno morale e psicologico. È come se tutti questi sedicenti cattolici progressisti dicessero ad alta voce, con arroganza, con il tono di chi non ammette repliche: le chiese come luoghi di preghiera e d’incontro con Dio, le lasciamo alle vecchiette, un poco rimbambite, con la loro fede superstiziosa di povere ignoranti; noi, che siano cattolici moderni e maturi, aperti e dialoganti, sappiamo bene che Dio lo s’incontra assai di più servendo un pasto caldo e un tetto al povero. Come se una cosa sostituisse l’altra o escludesse l’altra; e come se il pasto e il letto sia necessario offrirli nella casa di Dio, quasi che non ci fossero migliaia di locali vuoti e inutilizzati nei seminari vescovili ormai pressoché vuoti e nei patronati parrocchiali sempre meno frequentati. In effetti, è evidente la volontà di imprimere un marchio sui luoghi della fede e d’infliggere uno sfregio nell’animo di chi, credente, non la pensa affatto come la pensano loro. E intanto, corsi e ricorsi della storia, direbbe Vico, la neochiesa di Bergoglio giunge a un accordo con il regime comunista cinese, sacrificando i veri cattolici cinesi e condannandoli a una ulteriore persecuzione, nonché lasciandoli moralmente del tutto soli, proprio come Paolo VI e Casaroli avevamo fatto con i cattolici dei Paesi dell’Europa centro-orientale e dell’Unione Sovietica. E come allora era d’intralcio, al "dialogo" con i comunisti, il cardiale Mindszenty, così ora è divenuto d’impaccio quell’ostinato del cardinale Zen, 86 anni compiuti ma un animo indomito, arcivescovo emerito di Hong Kong.

Il principio della libertà religiosa, abbracciato dalla Chiesa con la dichiarazione Dignitatis Humanae del 7 dicembre 1965, alla fine del Concilio (in cauda venenum!) è, dunque, un passaggio centrale nel processo di resa al mondo moderno e di auto-distruzione perseguito dalla chiesa post-conciliare, processo che, come si vede, culmina ora con Bergoglio, ma incomincia molto prima: incomincia con Giovanni XXIII, e, dal 1958, non si è più fermato, ma ha guadagnato un altro po’ di terreno ad ogni nuovo pontificato. Abbiamo già detto perché si tratta di un concetto incompatibile con la Chiesa e con la dottrina cattolica (cfr. il nostro articolo: Libertà religiosa: la vera posta in gioco, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 26/09/2017), e lo ripetiamo perciò assai brevemente: perché, se non c’è dubbio che il cattolico non deve imporre ad alcuno il Vangelo, non può ammettere, tuttavia, che non esista a una differenza fondamentale fra esso e le altre fedi e confessioni religiose: non può fare finta che il Vangelo non sia l’espressione della Verità, di tutta la Verità, secondo le parole stesse di Gesù Cristo (Io sono la via, la verità e la vita; e: chi ha visto me, ha visto il Padre), mentre le altre fedi e confessioni sono, semplicemente, false, per quanto possano essere delle bravissime persone i loro seguaci; e ciò non solo sulla base di valutazioni storiche e teologiche, ma anche sulla base del puro e semplice principio di non contraddizione: non possono darsi due o più religioni ugualmente vere, per la contradizion che nol consente. Il punto di ambiguità che è necessario chiarire è questo: chiedere la libertà religiosa, significa chiedere alle autorità, allo Stato, qualunque esso sia, di rispettare il sentimento religioso dei cittadini; però, dal punto di vista religioso e morale, per un cristiano è ovvio che non può esistere una "libertà religiosa", intesa allo stesso modo in cui s’intende la libertà d’iscriversi a un partito, di frequentare un circolo, di praticare una disciplina sportiva. Per il cristiano, per il cattolico, la libertà religiosa consiste nell’accogliere la verità di Gesù Cristo: fuori di essa non c’è la verità, e l’uomo rimane solo con le sue domande angosciose: Signore, e da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna! Per il cattolico, credere al Vangelo è la sola scelta possibile, perché è la sola scelta che corrisponda a verità, a giustizia, a ragione: la fede consiste nel credere a quello che Gesù ha insegnato, e non altro. Se un prete invita i fedeli ad essere eretici, o gioca con le parole, tanto per fare il buffone, oppure mente sapendo di mentire, con scandalo e pericolo gravissimo per le anime. Non si scherza su certe cose, tanto meno se s’indossa l’abito del sacerdote cattolico.

Il fatto è che, dopo il Vaticano II, nella mentalità dei cattolici vi è stata una vera irruzione di mentalità secolarista; pertanto, anche la libertà religiosa è stata intesa in senso laico, come un diritto della persona. Vi è il diritto alla libertà come vi è il diritto alla vita: e lo Stato se ne fa garante. Benissimo; ma la libertà cristiana è un’altra cosa. Non è la libertà di scegliere qualsiasi cosa, ma la sola cosa giusta e vera; e non è un diritto, ma un dovere. Il cristiano ha il dovere di essere libero, perché, come seguace di Gesù, non potrebbe fare diversamente. E il suo motto deve essere sempre lo stesso di san Pietro: Si deve piacere a Dio piuttosto che agli uomini. Lasciamo che i Ciotti, i Bianchi, i Bergoglio moltiplichino le loro uscite per piacere sempre di più al mondo; tutto questo, al cristiano, non interessa. Il cristiano vuol piacere Dio, vuol piacere solamente a Gesù Cristo: e Gesù Cristo non piacque al mondo, venne rifiutato dal mondo, venne tradito, abbandonato, arrestato, processato, sputacchiato, flagellato, insultato, coronato di spine, crocifisso, deriso e trafitto con la lancia. Questa è l’accoglienza che il mondo ha riservato a Gesù. Ma se qualcuno, qualche cattolico "adulto" e "dialogante", desidera per sé un trattamento diverso, non c’è la minima difficoltà, di questi tempi: basta che si metta alla sequela di Bergoglio. Verrà applaudito, invitato in televisione, ospitato sulle colonne dei giornali "cattolici", da L’Avvenire a Famiglia Cristiana. Avrà uno spazio fisso alla radio, una rubrica, un pulpito da cui pontificare e spiegare quant’è bello dialogare con tutti e accettar tutte le fedi. Anche se Gesù non faceva così; non dialogava coi sacerdoti di Baal, Astarte, Cibele, Osiride; nossignori. Lui voleva salvare le anime. E non c’è che una via per farlo: la Sua…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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