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Sviluppare la moralità per sviluppare il carattere

Che cos’è il carattere di una persona? Secondo lo psicologo Fabio Metelli, è il complesso unitario e organizzato di forme di vita psichica, che dà un’impronta particolare al comportamento dell’individuo. Questa è una definizione tipicamente moderna e tipicamente psicologica; ma il carattere non è solo un dato psicologico, è anche e soprattutto un dato filosofico-esistenziale, il prodotto dell’azione reciproca fra l’individuo e il fenomeno "vita" (dal greco charakter, "impronta", che rimanda al verbo incidere, lasciare un segno). Gli animali non hanno un carattere; e se qualcuno parla del carattere fiero del leone, o del carattere timido della gazzella, la fa in senso metaforico, imprestando alle creature non umane il riflesso di una caratteristica antropologica. Il carattere è ciò che sostanzialmente definisce e individua il singolo soggetto e fa di lui quello che è: una creatura unica e irripetibile. Al tempo stesso, esso è un elemento dinamico, perché si forma nel corso del tempo e può variare anche notevolmente, almeno in alcuni soggetti, i più portati a trarre degli insegnamenti dalle esperienze della vita; per la maggior parte delle persone, invece, il carattere rimane qualcosa di stabile, tanto che a stento di potrebbero notare delle sia pur piccole differenze nel carattere di molte persone incontrare dopo decenni di lontananza. Il carattere si forma nella prima infanzia, anzi, quasi certamente comincia già a delinearsi nel grembo materno, perché anche il feto è soggetto all’influenza del mondo esterno, anche se non può, a sua volta, interagire, tranne che in misura limitatissima. Vi è inoltre una componente ereditaria, che in alcuni individui è particolarmente evidente: perché, come si nota una somiglianza fisica con un genitore o con un nonno, così si nota anche una somiglianza del bambino con alcuni parenti nel suo modo di porsi rispetto al mondo e rispetto a se stesso. Un carattere deciso o indeciso, forte o debole, audace o prudente, è, in una certa misura, il risultato di un determinato patrimonio ereditario; la sfera di libertà del carattere si manifesta in ciò che resta, una volta fatta la tara alla componente biologica e al condizionamento della primissima infanzia. Mano a mano che la persona diventa adulta, il carattere viene modellato in misura sempre più consapevole; bisogna però dire che il campo d’azione si restringe sempre più, perché gli elementi essenziali del carattere si formano verso i quattro-cinque anni, e tutto quel che sopraggiunge dopo, per quanto importante, è pur sempre secondario, almeno in termini "quantitativi". Possiamo dire pertanto, che la facoltà di creare il proprio carattere è un esercizio di libertà che si esplica entro un ambito rigorosamente delimitato: come la libertà di scrivere sulle pagine di un diario, dopo che i 9/10 di esse sono già state riempite. Infine il carattere non va confuso col temperamento, né con la personalità. Il temperamento è la mescolanza (dal latino temperare) fra gli elementi fisici e psichici di un certo individuo, mentre la personalità è la risultante dell’azione reciproca fra ambiente e individuo, per cui potremmo quasi dire che la personalità è il risultato finale dell’opera di uno scultore, mentre il carattere è il lavoro in corso d’opera.

Ma qual è l’elemento fondamentale che costituisce il carattere, la malta con cui sono uniti i mattoni dell’edificio? Si tratta essenzialmente della volontà. La volontà è lo strumento mediante il quale un individuo costruisce il proprio carattere; tanto è vero che, di una persona dotata di scarsissima volontà, si usa dire che è "senza carattere". Tanto più forte è la volontà, tanto più saldo, unitario e coeso sarà il suo carattere. Appare dunque evidente che, per formare il carattere delle persone, o meglio, per aiutare le persone a formarsi un carattere, bisogna allenarle a temprare la volontà, fin da bambini. Un bambino al quale i genitori e gli altri adulti risparmiano ogni sforzo e ogni sacrificio, che viene soccorso al primo intoppo, che viene costantemente tenuto, come si suol dire, sotto una campana di vetro, è un futuro adulto senza volontà e quindi senza carattere, trastullo di tutte le circostanze e di tutti gli stimoli esterni, vittima predestinata delle sue stesse inclinazioni disordinate, alle quali non ha mai neanche provato ad imporre una disciplina. Gli adulti che accompagnano i bambini nella vita senza educarli a sviluppare la volontà, si assumono una responsabilità gravissima nei loro confronti: li mandano disarmati a quella guerra che è la vita. Infatti, a dispetto di quel che amano pensare certi pedagogisti e certi educatori permissivi e libertari, che partono da una grossa illusione circa la "bontà" originaria della natura umana, la vita è una guerra incessante, e più precisamente una guerra fra il bene e il male; una guerra alla quale chi viene al mondo è obbligato a partecipare, che lo voglia o no, che gli piaccia o no; per cui gli adulti hanno il dovere di fornire al bambino gli strumenti difensivi fondamentali per non soccombere nella lotta. Ecco dunque una definizione della volontà: lo strumento mediante il quale l’individuo opera la sua scelta fra il bene e il male. Facciamo un esempio semplicissimo: Pierino sa che mangiare troppi dolci fa male, però si trova in tentazione: nessuno lo controlla, e ha davanti a sé un gigantesco uovo di cioccolata. Lo mangerà tutto, o saprà trattenersi? Saprà mangiarne un poco e fermarsi al momento giusto, prima di fare indigestione? In questo caso, il bene e il male riguardano solo la sua salute e, anche nel caso peggiore, se la caverà con un temporaneo mal di pancia. Ma nella vita, ovviamente, le scelte morali che si presentano davanti alle persone, nel corso del tempo, possono essere estremamente serie e impegnative. Chi avrà sviluppato una forte volontà, saprà dominare se stesso e dominare anche le circostanze, mentre chi non lo ha mai fatto, sarà travolto sia dai suoi stessi impulsi, sia dalle circostanze esterne. E non si creda che, per moltissime persone, le scelte morali da fare si presentino in maniera molto diversa dalla scelta che deve fare Pierino davanti al suo uovo di cioccolata: chi ha una volontà debole, si lascerà tentare dal sesso, dal denaro, dal potere, esattamente come Pierino si lascia tentare dai dolci, e poi dovrà pagarne le conseguenze, o farle pagare ad altri. Egoismo, superbia, avidità, lussuria, accidia, sono il risultato di un carattere che non è mai stato forgiato dalla volontà e che, quindi, è cresciuto mollemente su se stesso, dando le cose per scontate e pensando di potersi concedere qualsiasi cosa piacevole, senza minimamente preoccuparsi di quel che ne potrà seguire.

Appare abbastanza chiaro che, nella nostra società, vi sono un calo di tensione morale, un edonismo sempre più dilagante e, di conseguenza, una scarsa attenzione, da parte degli adulti, a incoraggiare i bambini sulla via del rafforzamento della volontà. Tutto il sistema di vita consumista spinge in questa direzione, per cui genitori ed educatori che avessero ben chiaro, invece, questo aspetto, e volessero guidare il bambino a sviluppare la propria volontà, andrebbero incontro a mille ostacoli e difficoltà, e non riceverebbero alcun aiuto dalla società nel suo complesso, anzi, si vedrebbero continuamente contraddetti e mortificati. La tendenza della società a contraddire e ostacolare l’azione educatrice dei genitori sta anzi raggiungendo punte di vero parossismo. Può accadere, come di recente negli Stati Uniti, ma presto accadrà anche in Europa, che i servizi sociali tolgano la patria potestà a dei genitori, rei di non aver assecondato il "desiderio" del loro figlio adolescente di diventare ragazza, o viceversa; e che il giovane sia posto sotto la tutela dello Stato per sottoporsi al trattamento medico e chirurgico che gli consentirà di cambiare la propria identità sessuale. A parte ogni altra considerazione, ciò che emerge da simili fatti di cronaca, che presto saranno la normalità (e sia pure la normalità della ordinaria follia) è la pretesa, da parte della società moderna, di piegare ogni cosa, natura compresa, a soddisfare gli appetiti umani, anche i più disordinati; e, contestualmente, la rinuncia, cosciente e intenzionale, a fare della volontà uno strumento di adattamento dell’individuo al mondo in cui vive. In altre parole, non è l’individuo che deve accettare le regole della vita, ma è la vita che deve sottostare ai voleri, e ai capricci, di ciascun individuo. Questa perversione del concetto di libertà e questa inflazione demenziale dei "diritti" porteranno il corpo sociale all’implosione, questa è una profezia sin troppo facile: resta solo da vedere quanto tempo ancora ci resta prima che sia troppo tardi e che anche un eventuale rinsavimento della nostra società arrivi a tempo ormai scaduto.

Ci resta però da dire una cosa importantissima, che potrebbe gettare un raggio di speranza nel buio di previsioni così pessimistiche. Per il credente, il carattere non è solo una costruzione umana; nulla, per il credente, può prescindere da Dio. E come l’uomo ha bisogno di Dio per completarsi e per realizzarsi nel senso pieno della parola "uomo", così anche il suo carattere potrà essere illuminato e vivificato dal soffio dello Spirito divino, se egli si porrà sotto la protezione di Dio e delle potenze celesti. La preghiera, la contemplazione dei Misteri divini, la pratica costante della vita buona sotto la guida di Colui che ha detto Io sono la via, la verità e la vita, la frequentazione dei sacramenti  aprono un canale soprannaturale fra la vita dell’uomo allo stato di natura e la dimensione spirituale superiore. La maggior parte degli uomini, nella nostra società, non pensa neppure che esista una dimensione sopranaturale e quindi considerano ogni cosa, anche il carattere, anche la volontà, anche la psiche, entro un orizzonte rigorosamente immanentista. Ma se è vero che l’uomo si realizza pienamente solo nella comunione amorevole e fiduciosa con Dio, allora anche il suo carattere e la sua volontà possono e devono svilupparsi pienamente solo se egli si apre alla trascendenza. Il segreto dei Santi è questo: essi hanno rinunciato alla loro volontà e hanno deciso di farsi tutt’uno con la Volontà di Dio: a quel punto, le loro forze sono stare prodigiosamente moltiplicate, in una maniera che nessuna spiegazione razionale potrebbe chiarire adeguatamente: la loro volontà è divenuta possente, indomabile, e il loro carattere è divenuto sempre più limpido e perfetto: perché quella non è più la "loro" volontà, quello non è più il "loro" carattere, ma in essi è penetrato, come un soffio possente, invincibile, lo Spirito di Dio.

Scriveva, a questo proposito, Alexander Aloysisu Schneiders nella monografia Psicologia dell’adolescenza (titolo originale: The Psychology of Adolescence, Milwaukee, The Bruce Publishing Company, 1951; traduzione dall’americano di Geremia Dalla Nora, Torino, S.E.I., 1958, pp. 279-280):

La persona veramente morale, che agisce in base a principi e non impulso, per abitudine o per convenienza, ha carattere. Vera essenza del carattere infatti è la volontà, cioè la capacità di inibire gli impulsi indesiderati e di agire in base ai principi regolatori. Il nesso tra moralità è carattere è quindi intrinseco; senza lo sviluppo della moralità non si dà carattere. Lo sviluppo religioso contribuisce all’acquisizione accentuando e dando risalto ai principi morali e agli ideali in formazione traducibili in condotta.

Che lo sviluppo della moralità e del carattere sia importante per il processo di adattamento, è chiaro. Il disadattamento denuncia conflitto irriducibile, ma il carattere forte, guidato da principi e ideali dinamici, non troverà difficile superarlo. Moralità e religione provvedono i valori risolventi, mentre nel contempo assicurano ulteriormente l’integrazione.

Infine esperienze e pratiche religiose contribuiscono allo sviluppo GENERALE della personalità. Basta pensare ai Comandamenti divini nelle ripercussioni sociali, emotive o individuali, nella loro opera di preservazione e di idealizzazione. Specialmente all’adolescente, in disperata ricerca di una scala di valori sicura, che lo metta al riparo dai conflitti e ne polarizzi le energie ad un fine chiaro e stabile, la vita religiosa, nel suo aspetto dottrinale e pratico, con l’amore e il timore di Dio, è quanto mai benefica: gli dà una filosofia della vita, lo preserva dal male, lo appaga, lo catapulta in alto.

Per queste ragioni la religione spesso l’unica via capace di condurre l’individuo turbato all’adattamento. Numerosi psichiatri lo constatarono. Lo sviluppo religioso dunque è molto importante per i giovani, perché è alla loro età, più che in altri periodi della vita, che i valori fondamentali, le esperienze emotive elevatrici e un giusto atteggiamento verso se stessi, la società e Dio acquistano significato. Perciò il sistema educativo che lo impedisce, o con una istruzione sbagliata o con l’insegnamento dell’errore, tradisce il proprio scopo, che lo sviluppo sano e totale della personalità e del carattere.

Sono concetti talmente limpidi e consequenziali, che ci si stupisce fortemente di come essi siano caduti in oblio, e sostituiti da una montagna di ciarpame pseudo psicologico e pseudo pedagogico, dal quale una sola cosa, nell’enorme confusione e nell’oscurità concettuale, emerge con chiarezza: che gli uomini d’oggi pretendono di poter affrontare la vita, ed avviare ad essa i loro figli, senza avere la minima idea di ciò che la vita è, ossia dono di Dio. di conseguenza, si perdono in folli ragionamenti e alzano continuamente il livello delle loro pretese; arrivano al punto di stabilire per legge che essi hanno diritto al raggiungimento di tutta la felicità possibile, senza essere sfiorati mai dal dubbio che la felicità non viene dal dire di sì a tutti gli impulsi e a tutti i desideri dell’io; e che, senza l’amore e il timor di dio, l’uomo, per quanto possa dotarsi di una tecnologia sempre più sofisticata, non si avvicinerà di un passo alla vera realizzazione di se stesso, ma resterà sempre una creatura irrisolta, un essere a metà, e perciò condannato ad essere infelice.

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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