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L’Italia dell’odio. Contro se stessa

Vigliacchi, mi fate schifo, siete delle merde; dovete morire!, gridava a squarciagola, come un’invasata, ostentando tutto il suo disprezzo, la maestra Lavinia Flavia Cassaro, contro poliziotti e carabinieri che a Torino, la sera del 1° marzo, erano intervenuti per impedire che un gruppo di militanti dei centri sociali, durante una manifestazione "antifascista", raggiungesse il luogo in cui si teneva un comizio elettorale di Forza Nuova.

Ora fanno tutti a gara nel deprecare quelle parole e quei gesti e tutti chiedono la sua testa; forse anche perché mancano solo due giorni all’appuntamento elettorale e tutti vogliono apparire politicamente corretti, da sinistra a destra, passando per il centro. Nei salotti televisivi si sono sprecati i commenti, le interviste, le opinioni dei soliti tuttologi e de dei soliti politologi, quelli che hanno la poltrona fissa per sparare le loro saccenti banalità. Esitiamo, quindi, ad unirci al coro dei commenti, delle condanne, delle giaculatorie; oltre tutto, proviamo un senso di’imbarazzo, forse di umana pietà, di fronte a una donna di 38 anni che rischia il posto di lavori per aver detto e fatto delle cose che in molti fanno e dicono, e anche di assai più gravi, ma non rischiano proprio nulla, per il semplice fatto che sono intoccabili: siedono, infatti, nei banchi del parlamento o ancora più in alto, nelle poltrone del governo.

Ecco, questo è il punto. L’Italia dell’odio, platealmente salita agli onori delle cronache, parte dai piani alti e dai salotti buoni della cultura e delle istituzioni: la maestra Cassaro è figlia o nipote di tutto un mondo che da settant’anni predica l’odio preconcetto verso tutto ciò che è nazionale, che è italiano, che rientra nella tradizione e nella civiltà italiana; ma le responsabilità maggiori stanno in alto, non in basso. In basso stanno solo i poveri fessi, gli utili idioti, le persone facilmente suggestionabili e manipolabili, quelle con un modesto quoziente intellettivo e con tanta voglia di cambiare il mondo, ma senza sapere come e, forse, nemmeno perché; quelli che sono avvezzi a sfogare la loro rabbia personale, la loro insoddisfazione personale, contro un nemico esterno, meglio se simile a sé: mai contro gli stranieri, contro i migranti, contro i profughi, i quali, poveretti, non sono mica invasori, né mai sono delinquenti, ma solo poveracci sfruttati dall’infame capitalismo mondiale. Il che, forse, è anche vero: solo che si tratta di una verità parziale. Perché il fatto di essere manovrati e sfruttati dal turbocapitalismo non fa di loro né dei santi, né delle vittime (infatti il 95% di essi non sta fuggendo da alcuna guerra o emergenza umanitaria), ma solo dei disperati o dei violenti che non hanno nulla da perdere e che si vogliono giocare la vita dando l’assalto alla lotteria Europa, sperando di vincere il biglietto buono, e, nel frattempo, di islamizzare l’odiosa terra dei crociati, prospettiva che, dal loro punti di vista, non guasta mai. E poco importa se sono doppiamente strumentalizzati, dai miliardari come Soros che vogliono attuare il Pano Kalergi, e dagli sceicchi del petrolio che vogliono conquistare l’Europa senza colpo ferire: ciò non li rende oggettivamente meno pericolosi, né attenua il diritto/dovere, per gli europei, di difendersi dalla loro invasione programmata e pilotata.

Resta da capire e da spiegare perché ci sia questa Italia che odia se stessa, e la cui classe dirigente semina il vento di tempesta dell’autodistruzione. Il fenomeno rappresentato dai centro sociali e dalle loro iniziative politiche è di portata globale, ma il fenomeno italiano è declinato secondo una variabile assolutamente unica nel mondo occidentale. In nessun altro Paese al mondo succede quello che sta accadendo in Italia: una classe dirigente che, in spregio evidente del bene della nazionale e dei suoi interessi vitali, prende partito, senza "se" e senza "ma", per delle forze esterne che ne minacciano irreversibilmente la stabilità e la stessa sicurezza dei cittadini. Sotto questo punto di vista, non c’è una differenza sostanziale fra i politici che non vogliono neanche sentir parlare di uscita dall’euro, pur essendo evidente ormai che l’euro è stato e sempre di più sarà il suicidio dell’economia italiana, e, alla lunga, della società italiana, e gli stessi politici, o quasi gli stessi, i quali non vogliono nemmeno sentir parlare di chiusura delle frontiere, di respingimento dei falsi profughi, di rimpatrio dei clandestini, o che, se pure accennano timidamente a questi temi, lo fanno con tali e tante riserve, e con una così evidente volontà di non passare mai dalle parole ai fatti, che potrebbero risparmiarsi la commedia e unirsi al coro, invero surreale, dei loro colleghi secondo i quali va tutto bene così, noi siamo un popolo pieno di umanità, noi non lasciamo nessuno in pericolo sul mare agitato, noi salviamo le donne e i bambini anche senza domandar loro la carta d’identità. Solo che qualcuno dovrebbe regalare a quei signori un bel paio di occhiali nuovi: perché allora vedrebbero, forse (ma non è detto, perché il loro accecamento ideologico difficilmente si arrende davanti ai fatti) che non si tratta, se non in minima parte, di donne e bambini, ma di baldi giovanotti pieni di salute, di muscoli e di ormoni, i quali ai veri profughi non somigliano neanche un poco. E solo che i nostri politici non si limitano al soccorso e alla prima accoglienza verso costoro, ma sembrano trovare cosa perfettamente giusta e naturale che quei sedicenti profughi s’installino qui per sempre, come fosse casa loro: che bella la società multietnica e multiculturale, basta non leggere le pagine di cronaca nera e basta cambiare strada quando si passa per certe strade o certi quartieri; cosa che quei signori possono fare benissimo perché, loro , in quelle vie e in quei quartieri non ci vivono mica, né mai ci vivranno, perché sono le vie e i quartieri degli italiani poveri, o impoveriti dalla crisi. Le vie e i quartieri dove abitano anziani come quella signora di Padova che è svenuta al supermercato, l’hanno soccorsa ed è saltato fuori che era indebolita dalla fame e dal freddo: con la sua pensione minima non ce la fa a pagarsi il riscaldamento e nemmeno a mangiare a sufficienza, ma che volete, è italiana, ha la pelle bianca, e poi è una persona dignitosa che non chiede la carità, non reclama i suoi diritti, non pianta grane e non getta per terra il piatto della Caritas, dunque chi se ne frega, se fosse una finta profuga sarebbe tutta un’altra cosa e sai che titoloni sui giornali e che servizi speciali alla tivù: Povera donna africana sviene per la fame, in mezzo all’indifferenza della nostra società egoista. I preti di strada griderebbero allo scandalo, i vescovi progressisti si straccerebbero i sacri paramenti e il signor Bergoglio, scuotendo la testa, con aria carica di disapprovazione, sibilerebbe soltanto una parola: Vergogna!

Resta da capire perché, nel nostro Paese, ci siano così tante persone come Lavinia Flavia Cassaro, che sfogano così tanta rabbia e frustrazione sui loro connazionali, specialmente se in uniforme (i quali rischiano un sanpietrino in testa per poco più di mille euro al mese ogni volta che ai giovani come lei vien la voglia di manifestare il loro sacrosanto antifascismo) e perché, alle loro spalle, ci siano dei politici, dei giudici, dei professori e dei preti che li hanno fatti diventare così come sono, e plasmati secondo i desideri della loro velleitaria ideologia: buonista, ambientalista, terzomondista, migrazionista, furiosamente antinazionale. Politici come la signora Boldrini, i quali si preoccupano sempre e solo per i diritti dei migranti/invasori, e vorrebbero regalare la cittadinanza italiana a qualsiasi bambino nasca in Italia, con la prospettiva di trasformare la nostra Patria nella sala parto dell’intero continente africano, più una bella fetta di quello asiatico. Giudici che trovano sempre un inghippo per scarcerare i delinquenti stranieri, anche se presi con le mani nel sacco a viaggiare sui mezzi pubblici senza biglietto, a danneggiare la proprietà, a minacciare, insultare, rubare, rapinare, spacciare droga, picchiare, stuprare nel Paese che li ha accolti, ospitati, sfamati. Professori che insegnano a odiare l’Italia, i suoi valori, la sua civiltà, la sua tradizione e, naturalmente, la sua religione, a sentirsi colpevoli di tutto ciò che di male succede nel mondo, non solo al presente, ma anche di quel che è successo nel passato, e a magnificare tutto quel che viene dal Sud della Terra, e specialmente le società e le culture che non hanno niente a che fare con la nostra, ma che ora dovremmo accogliere, includere, integrare, non si sa come, non si sa perché. E preti che non parlano mai di Dio, della grazia e del peccato, del bene e del male, della vita eterna, del premio e del castigo, ma sempre e solo dei migranti, e trasformano le chiese e le basiliche in cucine, sale mensa, dormitori e cessi pubblici per i poveri profughi, tanto il buon Dio è d’accordo, non è stato proprio Gesù Cristo a dire che quel che avremo fatto al nostro prossimo, lo avremo fatto a lui? E poco importa se le vecchiette italiane svengono per la fame e per il freddo: non vengono mica dall’Africa, loro, e non sanno cosa vogliano dire i "viaggi della speranza", non hanno sfidato le sabbie roventi del Sahara e le onde del Mediterraneo, insomma non conoscono i veri sacrifici e i veri pericoli.

Resta quindi la domanda: da dove viene questa ideologia-spazzatura, e come è possibile che sia stata adottata non solo dai poveri sfigati che scendono in strada ad abbaiare alla luna, cioè, volevamo dire, a gridare la loro rabbia contro il fascismo, morto e defunto più di settant’anni fa (a meno che proprio loro non lo facciano risorgere, a forza di esasperare anche le persone più miti e ragionevoli, con le loro mattane), ma anche dai signori e dalle signore bene della classe dirigente, della classe di governo, e dalla maggioranza dei cosiddetti intellettuali? Perché, in un Paese normale, è fisiologico che ci siano quattro sfigati che abbaiano alla luna, altrimenti non saprebbero di che vivere e come occupare il loro tempo; ma non lo è affatto che ad abbaiare alla luna, anzi a farne una politica e una linea di governo, siano i signori e le signore che guidano la nazione e che decidono il suo destino. A prima vista, siamo davanti a un mistero quasi indecifrabile; a meno di scomodare la psicanalisi, l’inconscio, gli impulsi sessuali repressi, l’odio mascherato di se stessi, i traumi della primissima infanzia, il complesso di Edipo e quello di Elettra, e così via; oppure, magari — ipotesi già più verosimile, se non anche un po’ più nobile, in confronto all’altra – la magia nera, la stregoneria africana (ma si può dire? o si rischia una denuncia per incitamento all’odio razziale?) e i riti voodoo. Tuttavia, a ben guardare, forse l’arcano non è poi così indecifrabile come appare a prima vista. Il nostro Pese ha conosciuto, nella seconda metà del Novecento, tre peculiarità, che lo differenziano da tutti gli altri Paesi occidentali, o per se stesse, o per il modo in cui sono evolute. Primo: ha avuto il più grosso partito comunista e la più pervasiva cultura marxista dell’Europa, eccezion fatta per i Paesi del blocco sovietico, e che sono entrambi durati per un pezzo, sia pure con un po’ di maquillage, anche dopo il crollo del muro di Berlino. Secondo: è la sede della Chiesa cattolica, la quale, a sua volta, a partire dal Concilio Vaticano II, ha conosciuto un tenebroso esperimento d’ingegneria genetica: trasformarsi in una cosa sostanzialmente diversa da ciò che è stata per millenovecento anni, ma senza che la quasi totalità dei suoi membri e del suo stesso clero se ne rendessero conto. Terzo: si è trovato proiettato nella realtà della globalizzazione, al di là della dimensione statale, senza essere riuscito ad integrare la società nello Stato, cioè senza aver risolto la questione della formazione del popolo italiano; per cui si è trovato in un mondo post-moderno quando ancora non aveva raggiunto la sia pur precaria stabilizzazione delle società e degli Stati moderni. Crediamo che dalle dinamiche reciproche fra questi tre fattori sia scaturito il fenomeno, assolutamente unico e stupefacente, di una classe dirigente che pratica e diffonde l’odio contro il proprio Paese e la propria civiltà, e che applaude fragorosamente tutti quelli che sono incompatibili con essa, come se fossero dei salvatori e dei liberatori.

Gli ex comunisti, rimasti orfani della loro sacra ideologia, o meglio, della loro religione di salvezza, piuttosto che riconoscere d’aver sbagliato tutto, hanno trovato un espediente geniale, si fa per dire, onde conservare intatti i sogni della loro beata giovinezza: migrare in massa dentro le file della Chiesa cattolica. La quale, a sua volta, era piena di gente che si era stancata del rigore eccessivo di una morale troppo limitante dei "diritti" e delle "libertà" del mondo moderno, e che non aspettava altro se non di poter fare, con la benedizione del clero e in nome del Vangelo, quel che prima non poteva fare, senza timore d’esser buttata fuori; perfetto matrimonio d’interessi, cinico ma efficace, fra due perdenti in cattiva coscienza, gli orfanelli del P.C.I. e i cattolici scontenti. Infine la mancata fusione del popolo italiano in un solo popolo e una sola nazione, la sopravvivenza delle due o tre Italie e dei cento e mille campanili, consorterie, corporazioni, clan, mafie e potentati d’ogni sorta, ha agevolato la campagna di odio dei primi due scontenti: gli ex comunisti e i cattolici di sinistra. Ha offerto loro un nemico più fiacco, più molle: uno Stato debole e incapace di riformarsi. Le persone come Lavinia Flavia Cassaro hanno buon gioco a sputare il loro veleno contro i poliziotti: nel 99% dei casi rischiano ben poco, e in compenso si sentono gli eroici combattenti per una società più giusta, per un Paese migliore. Massimo risultato con il minimo sforzo: e stipendio garantito da quello stesso Stato sul quale riversano tutto il loro livore e il loro sovrano disprezzo. Negli altri Paesi occidentali, simili comportamenti non sono tollerati; da noi, ricevono anche un premio morale e la benedizione del papa. Ma negli altri Paesi neppure una simile classe dirigente sarebbe tollerata…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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