
Dobbiamo tornare a parlare della virtù
10 Febbraio 2018
Il nemico è giunto, e noi stessi lo facciamo entrare
11 Febbraio 2018Quello che tiene in equilibrio la bilancia complessiva di una società è il rapporto fra la percentuale delle persone atte a creare problemi, difficoltà, lacerazioni, sofferenze, e quelle che col loro lavoro, con la loro generosità, con la loro comprensione, operano per appianare la strada, sciogliere i nodi, stemperare la violenza dei conflitti. Intendiamoci: tutti noi siamo atti a creare problemi, a noi stessi e al prossimo; nessuno è immune da questa prerogativa; nondimeno, la vita ci è data precisamente per imparare a gestire in maniera decente tale nostra caratteristica e capire il modo in cui si può procedere nel proprio percorso — affettivo, professionale e di qualunque altra natura — senza creare continuamente gravi e dolorosi problemi, a sé e agli altri; insomma, a non essere continuamente di peso, a non impoverire il mondo con la continua necessità di rimediare ai nostri errori, a non costringere squadre di pompieri a tenersi sempre all’erta per spegnere gli incendi da noi appiccati sconsideratamente a destra e a manca. Vi sono persone, infatti, le quali non fanno che passare da un conflitto all’altro, spesso accendendolo per il puro gusto di farlo, per il maligno piacere dello scontro fine a se stesso: perché, sia chiaro, vi sono anche conflitti necessari e positivi, e sono quelli che permettono di crescere, maturare e migliorarsi; ma quelli che hanno il solo risultato di inasprire, di incattivire, di aggravare le tensioni preesistenti, quelli no, non sono né necessari, né utili, ma semplicemente distruttivi, e sarebbe bello poterne fare a meno. Né si deve pensare che questo tipo di conflittualità maligna sia una prerogativa delle persone che hanno avuto un’infanzia difficile, dei genitori snaturati e subito chissà quali altre trascuratezze, ingiustizie e sopraffazioni, magari proprio da quelli che avrebbero dovuto proteggerle e aiutarle a crescere. Se solamente quel genere di persone fosse all’origine di perenni e sterili conflitti, la società potrebbe dirsi fortunata; purtroppo le cose stanno ben diversamente e una quantità di persone le quali, dalla vita, hanno ricevuto tutto, e anche qualcosa di più, né hanno mai sofferto vessazioni e soprusi, né sono mai state abusate o anche solo minimamente infastidite, ma, anzi, hanno ricevuto amore, rispetto e sicurezza economica, molte di tali persone, per qualche tortuosa e inaccessibile ragione, si fanno suscitatrici incessanti di rivalità, gelosie, inimicizie: dove arrivano loro, l’ambiente diventa subito difficile; dove passano, si lasciano alle spalle una scia di lacrime e sofferenze.
Dicevamo dell’equilibrio complessivo della società, come risultante fra l’azione distruttiva delle persone che creano problemi, e quella costruttiva delle persone che sono naturalmente portate ad aiutare, a comprende, a perdonare, a mediare, a instaurare il bene. Non ci si deve fare alcuna illusione: questa situazione esisterà sempre, fino a quando esisterà il mondo: perché gli uomini sono fatti così, tale è la loro natura; e anche se, teoricamente, le cose potrebbero cambiare, nel senso che molte più persone potrebbero porsi, o imporsi, un cammino di maturazione e di perfezionamento, alleggerendo la società e recando un evidente beneficio a se stesse e agli altri, in pratica ben poche lo fanno, per quella pigrizia – i latini la chiamavamo accidia -, per quella stupida tendenza a lasciar andare le cose alla meno peggio, senza riflettere, senza porsi degli obiettivi sani e realistici, senza meditare sugli errori, senza chiedere scusa quando si sbaglia, senza imparare la lezione e affinare la propria lealtà, la propria affidabilità, la propria capacità di imporsi sacrifici, di sopportare prove, di fronteggiare situazioni incresciose, faticose, sgradevoli, e vincerle con le armi della pazienza, della perseveranza, della moderazione e della buona volontà. In pratica, questo è l’uomo: una creatura delle potenzialità immense (sia verso l’alto che verso il basso), ma sostanzialmente pigra, propensa a imboccare la strada più facile, a cercar sempre il massimo vantaggio e il minimo di responsabilità; e se poi le cose non vanno nel senso desiderato, sempre portata a scaricare ogni colpa sugli altri, a lanciare strali avvelenati contro tutto e contro tutti; ma incapace di usare la stessa severità con se stessa, a imparare qualcosa dai propri errori, anche perché per imparare bisogna ammetterli, e la stragrande maggioranza degli esseri umani non è disposta a farlo.
La stessa cosa avviene in quella piccola, ma fondamentale società che è la famiglia. In moltissime famiglie — in tutte, a ben guardare – si ripetono le stesse dinamiche, ora più vistose e perfino drammatiche, ora ridotte entro proporzioni accettabili: quelli che devastano e quelli che riparano. I primi comprendono, a loro volta, una quantità di categorie; i secondi, fondamentalmente, formano una categoria sola: quella degli uomini di buona volontà. Quelli che distruggono sono anche degli infelici, che lo sappiano o meno; ma certo vi è una bella differenza fra una persona torturata da complessi, nevrosi e rimorsi, che fa soffrire gli altri perché non trova pace in se stessa, e una persona che, invece, riesce a padroneggiare la propria malignità e a indirizzarla verso dei fini pratici, guadagnando potere, successo e procacciandosi piacere, passando sopra la sofferenza altrui e calpestando i diritti di quelli che le stanno intorno. Alla fine, però, sono membri della stessa classe: quella dei vampiri, quella dei disgraziati che non imparano mai la lezione della vita, quella dei distruttori che lasciano solo macerie fumanti dove sono passati. È quasi un miracolo che tante famiglie riescano a tirare avanti, nonostante tutto, assicurando una crescita in sostanza sana, anche se molto tribolata, ai figli, e una convivenza accettabile, nonostante tutto, ai coniugi: famiglie nelle quali una persona, a volte due o tre, forse ciascuna per conto suo, oppure malignamente alleate, impongono a tutti gli altri i loro capricci, le loro prepotenze, i loro continui sbalzi d’umore, gli effetti destabilizzanti della loro disarmonia interiore. La cosa diviene evidente quando un membro della famiglia si abbandona al vizio del bere, o diventa dipendente dalle droghe; ma assai prima di giungere a tali situazioni limite, o anche senza giungervi affatto, ci sono famiglie la cui esistenza quotidiana è ridotta un piccolo inferno a causa della incorreggibile disposizione di alcuni membri a scaricare sugli altri ogni sorta di problemi, rancori e frustrazioni, spesso creandoli dal nulla anche quando non ci sarebbero, così, perché non possono farne a meno, e stanno bene, si fa per dire, solo dove c’è sofferenza, solo dove gli altro stanno male.
Ebbene: la stessa cosa vale per la società nel suo complesso: c’è chi sa solo distruggere e c’è chi ripara le distruzioni altrui; se restano a disposizione delle energie per andare avanti, per realizzare qualcosa d’altro che non sia solo ricostruire dalle macerie, è già molto. Ora, è chiaro che una società riesce a procedere nel modo migliore allorché gli effetti dannosi della prima categoria di persone vengono contenuti il più possibile, e le virtù positive della seconda categorie vengono valorizzate al massimo. In una società malata, le tendenze distruttive dei primi diventano quasi delle virtù, ammirate e imitate dagli altri; e le virtù positive dei secondi finiscono per essere sbeffeggiate, ridicolizzate, e perfino castigate. Pensiamo a un quartiere degradato di certe città che ben sappiamo: i ragazzini che fanno i bulli, cinici, violenti, prevaricatori, delinquenti, si fanno un nome, sono oggetto d’ammirazione e perfino d’invidia; molti vorrebbero essere come loro, cercano la loro amicizia, imitano le loro bravate, le loro triste imprese, mentre le ragazzine li corteggiano e li rafforzano nel loro orgoglio perverso; i buoni, i miti, i generosi, gli onesti, vengono isolati, derisi, minacciati, maltrattati, oppressi. Ed è anche evidente quale dovrebbe essere l’atteggiamento della parte sana della società, cominciando dalle istituzioni, per fronteggiare tali situazioni: ricostruire il tessuto sociale e morale, creare lavoro, incoraggiare e premiare i comportamenti virtuosi, castigare in maniera esemplare quelli malvagi. Certo, vi è differenza fra un tredicenne sviato dai cattivi esempi e un boss della malavita, con la coscienza carica di delitti sanguinosi; ed è giusto che la società si sforzi di recuperare chi è recuperabile, di curare le mele marce. Fino a un certo punto, però. Se la bontà degenera in buonismo, o è solo la maschera della debolezza e dell’indifferenza; se i malvagi si vedono premiati da sconti di pena immeritati e se, dopo aver subito un processo, tornano in libertà dopo un tempo scandalosamente breve, ridendo in faccia alle loro vittime o ai parenti dei esse, allora è chiaro che non si va nella direzione giusta, ma si creano le condizioni perché il male si diffonda sempre di più. Come il bravo chirurgo, la società sana deve saper giudicare quando è arrivato il momento della cura drastica, quando si tratta di amputare un arto per salvare l’organismo. Vi sono delle mele marce che non possono essere recuperate: ammettiamolo. Vi sono persone cronicamente e inguaribilmente malvagie, che devono restare in carcere sino alla fine dei loro giorni, per impedire che commettano ulteriormente delle azioni crudeli a danno del prossimo. Sarebbe bello pensare che, per tutti, c’è una possibilità di redenzione: ma noi non siamo Dio, la società deve prendere atto dei propri limiti e deve porsi l’obiettivo prioritario di proteggere i buoni, gli indifesi, gli onesti. Se una società, contagiata dalla febbre del buonismo, dedica gran parte delle sue energie a voler recuperare ad ogni costo coloro i quali non sono recuperabili, e intanto abbandona all’incertezza, nell’ansia e nella paura i migliori tra i suoi figli, quella società ha imboccato la via dell’autodistruzione. Si verrà a creare un circolo vizioso che non avrà mai fine, e il cui esito sarà letale. È come quando una famiglia, per troppa indulgenza, scusa e giustifica tutte le malefatte del figlio scapestrato. Andrà a finire che il ragazzaccio, per procurarsi la sua dose di droga quotidiana, picchierà e forse ucciderà i suoi stessi genitori, dopo averli terrorizzati, maltrattati e derubati per anni e anni. Nessuna società può permettersi di indulgere a questo genere di generosità all’ingrosso: tanto più che non si tratta di generosità, ma di connivenza con il male e di colpevole fuga dal dovere primario di difendere i più deboli e gli onesti.
Se la società non dovesse impegnarsi per porre rimedio alle difficoltà che continuamente vengono creati dalle persone problematiche; se non dovesse indirizzare grandi energie per sciogliere i nodi che tali persone, spesso senza alcuna reale necessità, vanno seminando e aggrovigliando, possiamo immaginare che sarebbe libera di correre verso più alte mete, di dirigere la sua attività verso scopi più utili per la totalità dei suoi membri, e nel complesso più nobili. È triste pensare quanto danno e quanto ritardo provoca, all’insieme del corpo sociale, la vita disordinata di un certo numero di persone fermamente decise a scaricare sugli altri le loro frustrazioni e la loro rabbia, e il cui vero scopo non è quello di cercare soluzioni, ma creare sempre nuovi problemi: si tratta di autentici vampiri sociali, o, se si preferisce, di piromani, i quali hanno bisogno di provocare intorno a sé il massimo della sofferenza e del disordine. Prendiamo uno sciocco individuo, narcisista e rancoroso, che voglia recare il maggiore disturbo al prossimo solo per far sapere che esiste: in sella alla sua rombante motocicletta, col motore appositamente modificato per aumentare il rumore, va su e giù per le strade cittadine nel cuore della notte, godendo al pensiero di quanti uomini e donne riuscirà a svegliare dal loro meritato riposo: è stato calcolato che un tale individuo, scorrazzando per una metropoli delle dimensioni di Londra o Parigi, potrebbe rompere il sonno di qualcosa come 300.000 persone. Le quali, al mattino, dovranno andare al lavoro affaticate e innervosite, solo perché un soggetto immaturo e irresponsabile doveva sfogare la sua rabbia per essere stato scaricato dalla ragazza, o per vendicarsi di un rimprovero del suo capo. Piccoli delinquenti del genere, purtroppo, abbondano nel mondo di ogni giorno: si può dire che la società è letteralmente sovraffollata di persone di quel tipo, e anche peggiori, le quali non si limitano a disturbare il sonno dei propri simili, ma passano a provocazioni e aggressioni ben più gravi, fino a giocare con la vita altrui, specie con quella delle persone più inermi, come bambini ed anziani. La tecnologia moltiplica le possibilità di recar danno con pochissima fatica e quasi nessun rischio: per esempio, basta prendere il telefono e tempestare di chiamate anonime delle persone sconosciute, scelte a caso sull’elenco degli abbonati; oppure salire sul cavalcavia di un’autostrada e lanciare sassi sulle auto che passano al di sotto, così, per puro divertimento: le probabilità di farla franca sono abbastanza alte, specie se non si hanno precedenti penali. Con una fatica veramente minima, ci si può levare il gusto di rovinare l’esistenza di chissà quante persone, orfani che piangeranno la mamma e vedove che piangeranno lo sposo: poiché bisogna prendere atto che esistono dei mostri i quali trovano piacere nel dedicarsi a siffatti passatempi. Ma anche senza che vi sia una precisa intenzionalità maligna, resta il fatto che le azioni delle persone inclini a crear problemi agli altri, perché non sanno affrontare i propri, possono essere estremamente gravi. Una stupida ubriacatura di un uomo che non sa affrontare le difficoltà nei suoi rapporti familiari, o di lavoro, può causare un incidente automobilistico in cui altri perderanno la vita, e i parenti di questi saranno gettati in un lago di dolore sino all’ultimo dei loro giorni. Vi è una sproporzione impressionante tra la futilità della causa e la drammaticità dell’effetto.
Sì: è giusto che la società si faccia carico del disagio dei suoi membri più fragili; non vi è nulla da recriminare su questo, tanto più che nell’aiutare il malessere altrui si può dare un senso più alto alla propria vita. Ma ciò non può, né deve, sconfinare nel buonismo incosciente. Ciascuno ha il dovere di assumersi la responsabilità della propria vita e di gestirne le difficoltà; nessuno ha il diritto di scaricarle sugli altri. Se ciò accade, che sia l’eccezione e non la regola: pena l’implosione sociale…
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