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Il Magistero degli ultimi 50 anni è autentico?

Abbiamo sostenuto, nel precedente articolo E i papi del post-concilio, che pensare di loro? (pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia l’08/02/2018) che esistono, purtroppo, seri indizi quanto meno per sospettare che, a partire dal conclave del 1958, in cui forse venne eletto Giuseppe Siri ma poi venne proclamato papa Giuseppe Angelo Roncalli col nome di Giovanni XXIII, che la massoneria ecclesiastica si sia impadronita del collegio cardinalizio e che pertanto, da allora, tutti i papi successivamente eletti siano stati scelti con il criterio di una disponibilità di massima a farsi interpreti e prosecutori dei deliberati errori sanciti dal Concilio Vaticano II, allo scopo di portare gradualmente e, se possibile, inavvertitamente, la Chiesa cattolica fuori da se stessa e dal proprio baricentro, che è solo e unicamente Gesù Cristo, per trasformarla in una neochiesa gnostica e modernista, tappa intermedia verso la sua dissoluzione e il suo assorbimento in una super-religione mondiale umanitaria, a sua volta presupposto per l’attuazione dell’ultima fase: la divinizzazione della élite mondiale che occultamente già da tempo ha steso la sua immensa ragnatela sul mondo intero e che ha sempre visto nella Chiesa cattolica il suo principale e più pericoloso nemico, da abbattere a qualunque costo e con qualsiasi mezzo. La massoneria ecclesiastica, ramo infiltrato ed autonomo della massoneria, è, come quest’ultima, una delle ramificazioni della grande Piovra globale, la quale, diretta e controllata da pochissimi individui, da almeno due secoli sta scrivendo la storia mondiale per mezzo di guerre, rivoluzioni, colpi di Stato, crisi finanziarie, fenomeni migratori creati dal nulla o ingigantiti ad arte, grazie alla sua immensa disponibilità di capitali; mentre, nello stesso tempo, grazie al controllo quasi totale della stampa, della televisione, del cinema, e, indirettamente, dell’università e della scuola, della medicina e della cultura, della politica e dell’alimentazione, nonché della moda, dello spettacolo, del tempo libero, ha tracciato una strategia a lungo termine di controllo, manipolazione e alienazione delle società e delle persone, riducendole a soggetti anonimi e conformisti, passivi e cronicamente dipendenti dai modelli del consumismo, praticamente incapaci di pensare con la propria testa, tanto da non saper più leggere e comprendere il senso dei fatti che pure avvengono ormai alla luce del sole.

Ma, se gli ultimi sei pontefici, dal conclave del 1958 in poi, altro non sono stati che gli strumenti del potere occulto, illegittimo, eversivo e, in definitiva anticristiano, insediatosi al vertice della Chiesa per la sua rovina, sorge inevitabilmente un altro, angoscioso interrogativo: quale valore dare, cioè, al magistero di quei sei papi, per capire, se non altro, e per quanto doloroso ciò possa essere, fino a che punto l’infezione eretica e modernista sia penetrata nell’insegnamento della Chiesa e fin dove il fedele cattolico debba sentirsi vincolato a ciò che la Chiesa attualmente insegna, rifacendosi al magistero dei papi conciliari (Giovanni XXIII e Paolo VI) e post-conciliari (Giovanni Paolo I e II, Benedetto XVI e Francesco). Una cosa, peraltro, balza evidente a chi si prenda la briga di sfogliare un po’ i documenti magisteriali degli ultimi pontefici: la sproporzione nei riferimenti al Magistero pre-conciliare, rispetto a quello conciliare e post-conciliare. In altre parole: gli ultimi sei papi, nei loro documenti ufficiali, per non parlare delle loro omelie, dei discorsi, degli scritti e delle interviste, citano, nell’80 o 90% dei casi, i documenti del Vaticano II, e al 20% o al 10% gli altri venti concili ecumenici. Perfino le Scritture e perfino la Tradizione sono spesso citate attraverso il prisma del Vaticano II, e non riferendosi direttamente agli originali. Qualcuno potrebbe pensare che ciò sia normale, dato che in tutte le cose umane esiste la tendenza a riferirsi a ciò che è più vicino, non a ciò che è più lontano nel tempo. Sì, è vero; nelle cose umane: ma qui stiamo parlando delle cose divine. Non è affatto normale che i papi del dopo Concilio si rifacciano massimamente al Concilio stesso, e molto poco a tutto il Magistero precedente, come se quello avesse in qualche modo "sostituito" i deliberati dei precedenti concili, e specialmente quelli del Concilio di Trento. Sorge il sospetto, più che legittimo, che in nome dell’ecumenismo, ossia per poter liberamente "dialogare" con i luterani, si sia preferito tirare un colpo di spugna sui documenti ufficiali del Concilio di Trento, vale a dire su cinque secoli di dottrina e di Magistero ecclesiastico, per attingere pressoché esclusivamente a due documenti conciliari, il decreto Unitatis Redintegratio e la dichiarazione Dignitatis humanae. In un tale uso spregiudicato delle fonti magisteriali c’è un gravissimo vizio di fondo: non è lecito, infatti, servirsi dei documenti di un concilio per ignorare gli altri, come se esso li avesse automaticamente superati ed archiviati: ciò corrisponderebbe a una alterazione del Magistero, o peggio ancora, a un’interpretazione rivoluzionaria del Magistero stesso. Non sembri eccessiva una simile espressione: è rivoluzione ogni rottura con la tradizione; sicché qui ci troveremmo proprio in presenza di una tale prassi rivoluzionaria, anche se la rottura sarebbe implicita e non esplicita, sottintesa e non dichiarata. Inoltre, vi sarebbe un fraintendimento totale, per non dire un deliberato stravolgimento, del senso stesso del Magistero: il quale, nella definizione delle verità di fede, non è soggetto al mutare delle situazioni storiche, ma resta sempre uguale a se stesso, mentre la sola cosa che può mutare è la forma esteriore del loro insegnamento. Il Concilio di Trento, per esempio, dal quale scaturisce la Messa di Pio V, non pretende d’insegnare nulla di nuovo: si limita a chiarire e ribadire la vera e perenne dottrina cattolica; l’occasione del chiarimento è stata fornita dall’eresia luterana, subito degenerata in uno scisma estremamente aggressivo (chissà perché, anche moti cattolici pensano tutt’oggi che l’aggressività e la violenza siano state soprattutto dei cattolici, e citano sempre la notte di San Bartolomeo; mentre appena dieci anni dopo l’inizio dell’eresia luterana, con il sacco di Roma, i protestanti si erano abbandonati a nefandezze e atrocità tali, contro il clero e contro i cattolici, nella città santa della cristianità, da superare di gran lunga quelle dei barbari Alarico e Genserico, avvenute oltre mille anni prima). Se un documento, o un gruppo di documenti, scritti dal papa o dai vescovi, venissero a contrapporsi, implicitamente o esplicitamente, all’insieme dei documenti magisteriali precedenti, allora ci troveremmo in presenza di documenti rivoluzionari, cioè illegittimi, vale a dire eretici: perché nulla, neppure uno iota, può essere legittimamente cambiato nel Magistero della Chiesa, che è la trasmissione della Verità divina I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno, dice Gesù, e ciò vale anche per il loro carattere di assolutezza, perfezione e immutabilità.

È bene, a questo punto, chiarire cosa sia esattamente il Magistero, una parola che, forse, molti cattolici adoperano senza conoscerne il reale significato. Dice il classico Dizionario di Teologia Morale diretto dal cardinale Francesco Roberti, il più autorevole di prima del Concilio (ma la "voce" è redatta da monsignor Pietro Palazzini; Roma, Editrice, Studium, pp. 833-834):

Per ciò che riguarda le verità rivelate da Dio la norma della fede è il magistero SOLENNE ed ORDINARIO della Chiesa: quello si concreta nelle definizioni dommatiche papali e conciliari; questo consiste nell’unanime insegnamento dell’episcopato unito al papa (can, 1322-1323).

Una definizione dommatica per vincolare come tale la fede deve constare in modo certo e manifesto; di conseguenza una definizione dubbia praticamente una definizione nulla. Inoltre, in alcuni caso, la Chiesa docente esprime il suo giudizio dottrinale, senza impegnare in modo definitivo tutta la sua autorità. Spesso il magistero ecclesiastico approva o disapprova una dottrina, senza pronunziarsi definitivamente sulla sua assoluta verità o falsità.

Prendiamo nota; così come prendiamo nota che un documento papale come l’esortazione Amoris laetitia, mancando palesemente dell’elemento della certezza, è, ipso facto, dubbio e perciò nullo; altro che interpretazione: i documenti del Magistero devono essere certi e manifesti, pena la loro nullità. E ora vediamo cosa dice, del Magistero, il Concilio Vaticano II, che, guarda caso, è citato in maniera prioritaria, là dove se ne parla, nel Catechismo degli adulti edito a cura della Conferenza Episcopale Italiana. Il documento conciliare che dà una definizione di "magistero" è la costituzione dogmatica Dei Verbum del 18 novembre 1965, che, al capitolo 10, recita così:

La sacra tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa; nell’adesione ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera assiduamente nell’insegnamento agli Apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle orazioni (cfr At 2,42 gr.), in modo che, nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si stabilisca tra pastori e fedeli una singolare unità di spirito.

L’ufficio poi d’interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio.

È chiaro dunque che la sacra tradizione, la sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime.

A parte il paragrafo conclusivo, che, se non andiamo errati, dice un autentico sproposito teologico, laddove dichiara né la Tradizione (che noi preferiamo scrivere con la maiuscola), né la sacra Scrittura, né il Magistero della Chiesa (come sopra), sussistono l’uno senza l’altro, perché la Tradizione e la Scrittura sussistono senza il Magistero, eccome, anzi, a rigore sussisteva anche la Tradizione prima della Scrittura (nel senso che essa c’era già, quando ancora non erano stati scritti i libri del Nuovo Testamento), a parte ciò, dicevamo, si ricava che il Magistero è l’interpretazione autentica, da parte della Chiesa, della Paola di Dio, sia trasmessa che scritta, nel nome di Gesù Cristo; e che non può ardire di mutarla in nulla, ma ne è solo l’umile e fedele trasmissione.

E ora torniamo al nostro quesito iniziale: il magistero degli ultimi 50 anni, cioè dal Concilio Vaticano II in poi, deve considerarsi autentico, e perciò vincolante, per ogni fedele cattolico? Abbiamo visto che il Magistero, nelle due forme ordinaria e straordinaria, definisce la fede così come essa risulta dalla divina Rivelazione, mediata dalla Chiesa. Tuttavia, la Chiesa è sempre la Chiesa: una, cattolica, apostolica, fondata da Gesù Cristo e affidata a san Pietro e ai suoi successori. È impensabile che la Chiesa possa smentire se stessa, dunque è impensabile che vi sia un insegnamento della Chiesa che precede ed uno che segue il Concilio Vaticano II, che è solo l’ultimo di ben ventuno concili ecumenici, e, fra parentesi, l’unico che non sia stato convocato per definire questioni di dottrina o disciplina, ma solo di pastorale e liturgia. Però, la pretesa di molti teologi, e di non pochi cardinali e vescovi, è proprio quella di portare a compimento una radicale applicazione del Concilio, così da cambiare la Chiesa cattolica: Bergoglio ha avuto la franchezza, o piuttosto l’impudenza, di dichiararlo subito, in una famigerata intervista a Eugenio Scalfari (gran nemico della Chiesa e del cristianesimo): così voglio cambiare la Chiesa, ha detto. Per ciò stesso, si è posto al di fuori del vero Magistero e della vera Chiesa. La Chiesa non si cambia, il Magistero non si cambia: l’una e l’altro rispondono direttamene a Dio della loro assoluta fedeltà alla parola di Gesù Cristo. Nessuno, nemmeno il papa, ha la benché minima facoltà di cambiare sia pure una virgola della Parola di Dio. Proprio per evitare tale imbarazzo, i papi della "svolta" conciliare, a cominciare da Giovanni XXIII, meno impazienti di Bergoglio, e quindi meno rozzi e arroganti, hanno sempre dichiarato di non voler cambiare nulla del Magistero, né della Chiesa, ma solo di voler meglio chiarire e approfondire la comprensione della Parola di Dio. Sottile distinzione, ma, ahimè, molto, troppo simile a un sofisma, a un gioco di parole. C’è poco da fare: il Magistero è, per definizione, interpretazione della Tradizione e della Scrittura: e così deve essere, se si vuol restare cattolici; se no, ci si fa luterani e si legge la Bibbia ciascuno a suo modo. Bisogna perciò vedere, caso per caso, se i testi magisteriali degli ultimi sei papi (anzi, dei penultimi cinque, perché l’eresia di Bergoglio è conclamata) sono in armonia col Magistero precedente e il Deposito della fede. In linea di massima, crediamo di poter dire che la risposta è affermativa dove essi si appoggiano sui concili precedenti e il Magistero perenne, negativa dove si fondano unicamente sul Vaticano II. Altro interrogativo drammatico è quello relativo alla validità dei Sacramenti impartiti da un clero che di fatto non serve più la Verità di Cristo. Ma, per fortuna, essa non è inficiata dall’indegnità o dai peccati dei ministri…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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