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I padri (ig)nobili della neochiesa omoeretica

Il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, si fa fotografare accanto a transessuali acconciati da maiali, tutto lustro e sorridente, come se la sua presenza in quel contesto fosse la cosa più bella e naturale di questo mondo.

Il giornalista de L’Avvenire Luciano Moia, direttore del mensile Famiglia e vita, sostiene che una delle novità di Amoris laetitia è quella d’invitare i fedeli a considerare la pari dignità di tutti gli orientamenti sessuali di fronte a Dio (si noti che orientamenti sessuali è un termine gender).

Il teologo gesuita Pino Piva, interpellato da Moia riguardo alla valutazione da dare, da un punto di vista cristiano, dell’omosessualità, risponde, in nome del più radicale soggettivismo, dandogli pienamente ragione, perché non bisogna aver paura del cambiamento.

A Matera don Leo Santorsola, teologo e fondatore del movimento Famiglia e Vita, predica una pastorale della famiglia allargata alle persone e alle coppie omosessuali, ed auspica che la Chiesa si adegui alla legislazione laica, che riconosce le unioni fra persone dello stesso sesso.

A Torino, don Gialuca Carrega, responsabile diocesano per la pastorale delle persone omosessuali (sic), organizza, fra le altre cose, dei corsi di "accompagnamento" per insegnare a tali persone il valore della fedeltà ("coniugale"?), cioè, in poche parole, come osserva Andrea Mondinelli su La Nuova Bussola Quotidiana, per "sdoganare la sodomia".

E non è finita; anzi, è solo l’inizio.

A Milwaukee, don Gregory Greiten, sacerdote del Wisconsin di 52 anni, nel bel mezzo della chiesa annuncia ai fedeli di essere felicemente omosessuale, di essersi liberato dei suoi complessi e sensi di colpa e di voler restare felicemente gay e prete cattolico, a servizio di Dio e del prossimo.

A Palermo, quella Palermo il cui vescovo Lorefice, fra un giretto in bici e l’altro nel presbiterio della sua cattedrale, ha pensato bene di cacciare e di scomunicare don Alessandro Minutella, reo di essere un po’ troppo cattolico e un po’ troppo seguace della Madonna, un altro prete, don Cosimo Scordato, nel mezzo della santa Messa, invita due lesbiche, prossime "marito e moglie" in municipio, a salire all’altare e le presenta festosamente ai fedeli, come splendido esempio di amore, cui manca purtroppo solo il riconoscimento della Chiesa, che tarda ad arrivare.

A Terni, qualche anno fa, l’allora vescovo Vincenzo Paglia faceva dipingere una intera parete del suo duomo con un affresco blasfemo in cui Gesù, oscenamente raffigurato, porta in cielo una folla di sodomiti, transessuali, ladri, spacciatori e prostitute, tutti gioiosamente impenitenti; e, più che soddisfatto del suo capolavoro, si fa raffigurare dal pittore (ovviamente omosessuale dichiarato e militante) in mezzo a quella folla d’invertiti: contento lui…

A Santiago, l’arcivescovo spagnolo Juan Barrio ha ordinato sacerdoti due uomini, omosessuali notori e dichiarati, nonché militanti LGBT.

Ad Anversa, il vescovo Johann Bonny auspica entro breve una qualche forma di riconoscimento religioso per le unioni fra persone dello stesso sesso.

Anche monsignor Bruno Forte, segretario del Sinodo dei vescovi, auspica un riconoscimento da parte della Chiesa alle unioni omosessuali, come già è avvenuto da parte dello Stato

Negli Stati Uniti, il gesuita James Martin pubblica libri, articoli e interviste, nonché interventi sulla rete, per battere e ribattere sempre sullo stesso tasto: l’omosessualità è la cosa più normale di questo mondo, non c’è nulla di strano nell’essere gay e cattolici, e anzi aggiunge, per soprammercato, che sicuramente un gran numero di santi erano gay.

Intanto monsignor Nunzio Galantino afferma, in un’omelia ai giovani cattolici, che Dio non distrusse, ma risparmiò gli abitanti di Sodoma e Gomorra, per merito della fede di Abramo.

E il segretario personale del cardinale Francesco Coccopalmerio, monsignor Luigi Capozzi, si fa beccare in flagrante partecipazione a orge vaticane a base di droga e sesso gay.

Può bastare, o dobbiamo andare avanti? Perché, volendo, potemmo continuare a citare esempi del genere fino a domattina. Viene da pensare che la sola colpa di monsignor Krzysztof Charamsa, che si è fatto cacciare per aver dichiarato in pubblico la sua omosessualità, fianco a fianco con il suo "compagno", sia stata quella dell’impazienza: se non avesse voluto strafare, cogliendo l’occasione del Sinodo dei vescovi sulla famiglia per far outing, i fatti gli avrebbero dato ragione: bastava che aspettasse qualche mese appena, e il frutto maturo della svolta gay-friendly della Chiesa cattolica gli sarebbe caduto in grembo, premiando la sua perseveranza. Poverino, fa quasi tenerezza: vuoi vedere che, alla fine, era uno dei meno peggiori, se non altro in ragione della sua ingenuità? E voi vedere che la sua colpa più grave, quando lo hanno sospeso a divinis, non è stata la sua dichiarazione di omosessualità, condita con le coccole al "compagno", ma la sua affermazione che il Vaticano è strapieno di sacerdoti e monsignori gay? Vuoi vedere che è questa la "rivelazione" (un segreto di Pulcinella, peraltro) che fa tremare, e perciò anche indignare e imbufalire, i rispettabilissimi vertici della misericordiosa e inclusiva neochiesa bergogliana? Immaginarsi un po’ se l’ex monsignor Charamsa, per dispetto, cominciasse a fare nomi e cognomi, a citare fatti e date precisi, che lui certo ben conosce. Quanti Coccopalmerio suderebbero freddo, quanti Capozzi dovrebbero correre dal proprio avvocato, quanti stracci puzzolenti comincerebbero a volare in aria?

Sorge a questo la domanda: da dove è venuto il presente orientamento filo omosessuale, pressoché apertamente dichiarato, della neochiesa che si spaccia per cattolica, e non lo è, ma è solo una sua indegna contraffazione, capeggiata da un papa indegno e da una pletora di vescovi indegni o semplicemente opportunisti e amanti del quieto vivere (vedi il caso di Torino e della figuraccia di monsignor Cesare Nosiglia, costretto a furor di popolo a sospendere i corsi per "fidanzati" gay già annunciati sulla stampa, che il solito don Carrega avrebbe dovuto tenere, all’interno di un convento di suore!). E la risposta è meno difficile di quel che non si possa immaginare: i padri nobili, o piuttosto ignobili, di questa incredibile svolta, sono i teologi della "nuova morale" che sono stati lasciati liberi d’imperversare negli anni ’60 e ’70 del Novecento, sull’onda del Concilio Vaticano II e del suo non ben precisato, ma sempre glorioso e magnifico, "spirito" innovatore, o piuttosto modernista (non lo Spirito Santo, quello non sia mai). Parliamo, tanto per non restare nel vago, dei vari Tullio Goffi, Enrico Chiavacci, Dalmazio Mongillo, Ambrogio Valsecchi, Leandro Rossi: tutti preti, tutti religiosi, e tutti d’accordo nel sostenere che la morale è relativa, che essa muta col mutare dei tempi e delle circostanze, e che la sessualità è la massima espressione di libertà, solidarietà e felicità. Tutti figli e nipotini ideali di quel Bernhard Häring che viene presentato, ancora oggi, come "il più grande teologo morale cattolico del XX secolo", quando già il solo fatto di aver attaccato duramente l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI lo pone automaticamente nella posizione di non poter essere considerato nemmeno un vero teologo cattolico; a meno che la Chiesa cattolica sia diventata, a nostra insaputa, un’assemblea anarchica ove ciascuno è perfettamente e felicemente libero di dire e contraddire tutto quel che gli pare e piace, mentre il Magistero è una semplice opinione personale di qualche papa e di qualche vescovo.

Ha scritto Roberto de Mattei nella Introduzione al volume Il primo schema sulla famiglia e sul matrimonio del Concilio Vaticano II, (Roma, Edizioni Fiducia, 2015, pp. 25-31):

Il Vaticano II impose ai vescovi, come un dovere, la "sociologia pastorale", raccomandando di aprirsi alle scienze del mondo, dalla sociologia alla psicanalisi. In quegli anni autori come lo psicanalista austriaco Wilhelm Reich e il filosofo americano Herbert Marcuse presentavano la famiglia come l’istituto sociale repressivo per eccellenza e affermavano che "il nucleo della felicità della vita è la felicità sessuale". Nelle università e nei seminari pontifici i testi che fecero scuola furono quelli del padre Häring, oggi considerato "the father of modern moral theology" (T. Kennedy). […] I nuovi moralisti sostituivano alla oggettività della legge naturale, la "persona", intesa come volontà progettante, sciolta da ogni vincolo normativo e immersa nel contesto storico-culturale, ovvero nell’"etica della situazione". E poiché il sesso costituisce parte integrante della persona, rivendicavano il ruolo della sessualità, definita "funzione primaria di crescita personale" (così Valsecchi) anche perché, a dir loro, il Concilio insegnava che solo nel rapporto dialogico con l’altro, la persona si realizza. […] La sessualità è un fattore di "umanizzazione", perché ci mette "in intimità comunicativa con gli altri" (Tullio Goffi). Il padre Cornelio Fabro così riassume: "L’amore di Dio si attua come amore del prossimo, l’amore del prossimo si esprime anzitutto nel rapporto sessuale". Fu questa la nuova morale che si sviluppò e che è ancora oggi imperante.

L’enciclica "Veritatis Splendor" di Giovanni Paolo II ribadì l’esistenza della legge naturale e degli assoluti morali. Ma nella prassi gli insegnamenti pontifici vennero disattesi, e anche se il Magistero della Chiesa in materia non è mutato, oggi la contraccezione è largamente praticata dalle coppie cattoliche con l’avallo di confessori, moralisti, vescovi e perfino conferenze episcopali.

L’ultimo Sinodo dei vescovi ha, almeno in parte, accolto la tesi del cardinale Kasper, secondo cui, in materia di morale sessuale, bisognerebbe mutare la pastorale della Chiesa, perché tra la dottrina e le convinzioni vissute dei cristiani esiste una abissale distanza. Ma la tesi è del tutto infondata, perché le norme morali sono, per loro natura, norme di condotta pratica. La morale è infatti la dottrina che guida verso il bene la condotta umana e ogni mutamento normativo comporta un cambiamento dottrinale. 

Esiste una linea rossa che non si può oltrepassare ed è la norma morale, di fede divina e naturale, secondo cui ogni atto sessuale al di fuori del legittimo matrimonio sacramentale è gravemente illecito. Questa dottrina deve considerarsi infallibilmente insegnata dal Magistero ordinario e universale della Chiesa. Ammettere una sia pur minima eccezione significa far crollare tutta la legge naturale. Ma la negazione del sistema morale cattolico scaturisce dalla nuova morale affermatasi nel decennio 1958-1968. Una volta abbandonati gli assoluti morali e la legge naturale, il passaggio dalla contraccezione alle convivenze pre ed extra matrimoniali e, in ultimo, all’unione omosessuale, è inesorabile. Se infatti non esiste una legge naturale, ciò che prevale è la relazione dialogica, che dietro la maschera dell’amore, nasconde il piacere disordinato dei partner. […]

La rivista dei gesuiti "Aggiornamenti sociali", diretta da padre Bartolomeo Sorge, lo ha esposto chiaramente in un articolo pubblicato nel 2008 (n. 6, pp. 421-444). Nella prospettiva di una concezione personalistica e relazionale degli esseri umani, l’omosessualità costituisce "una possibile e legittima variazione della sessualità" come conseguenza del "diritto all’autodeterminazione dell’identità sessuale" (id., 434-435). Il riconoscimento giuridico dell’omosessualità si giustifica in questa visione antropologica: "Prendersi cura dell’altro stabilmente è forma di realizzazione del soggetto e al tempo stesso contributo alla vita sociale in termini di solidarietà e di condivisione" (id., 444).[Così, nei lavori preparatori del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, del 2015, non] sono mancati i vescovi e i cardinali, dentro e fuori l’aula sinodale, che hanno ribadito la richiesta di cogliere gli aspetti positivi dell’unione contro natura, fino ad auspicare "una codificazione di diritti che possano essere garantiti a persone che vivono in unioni omosessuali" (cfr., ad es., la dichiarazione di monsignor Bruno Forte, segretario del Sinodo dei Vescovi, in "Vatican Insider", 13 ottobre 2014). Come meravigliarsene? Una volta capovolta la morale tradizionale tutto è possibile. E se si vuole tornare al Concilio Vaticano II, il punto da cui partire non è la "Gaudium et Spes", che resta un documento equivoco, dagli effetti perniciosi, ma allo schema originario del Concilio Vaticano II, "Castità, Matrimonio, Famiglia e Verginità", improvvidamente abbandonato…

Ancora una volta: il male è partito dal Concilio, da quella funesta "stagione", fatta passare abusivamente per una sorta di rinascita della Chiesa nelle acque battesimali d’un ritorno alle fonti evangeliche; e il Concilio ha aperto la strada al ’68. Gli slogan del ’68, specie in materia sessuale, riecheggiano le formule dei teologi della "nuova morale", da quando Bernard Häring e Karl Rahner hanno sostituito san Tommaso d’Aquino come punti di riferimento per l’etica cattolica. Bergoglio, Piva, Santorsola, Bonny, Martin, Sorge, Carrega, Scordato, per non parlare dei loro turiferari laici che trionfano e impazzano sulla stampa (ex) cattolica, sono i discendenti diretti delle idee di Goffi, Chiavacci, Mongillo, ecc. Non che essi predicassero lo sdoganamento della sodomia, i tempi non erano ancora maturi e, se lo pensavano, lo tenevano per sé; ma, predicando il soggettivismo etico e la liberazione sessuale come Reich e Marcuse, quale altro esito potevano avere i loro insegnamenti?

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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