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È tempo di cominciare la grande bonifica

Abbiamo detto che, per ridare speranza ai veri cattolici e reagire al senso di fatalismo che li ha quasi paralizzati in questi ultimi anni, si deve immaginare una manovra articolata in tre fasi: puntare alle dimissioni del falso papa Bergoglio; aprire un serio dibattito sul Vaticano II e le sue conseguenze; perseguire l’abbandono di ciò che era sbagliato e un ritorno della Chiesa alle sue sorgenti perenni, alla Fonte d’acqua viva promessa da Gesù e che sempre era stata alla base della sua missione e della sua stessa vocazione apostolica (cfr. l’articolo Per reagire: manovra in tre tempi, pubblicato sul sito Accademia Nuova Italia il 22/01/2018). Il terzo punto, in verità, lo avevamo soltanto accennato, consapevoli della enorme vastità di prospettive, di problemi, di nodi da affrontare e da sciogliere, che esso necessariamente comporta. Orbene, dobbiamo perciò esaminare più da vicino tale aspetto della questione, ben consci del fatto che esso comporta, in buona sostanza, l’assoluta necessità di bonificare l’immensa palude del modernismo che si è estesa sui campi della Chiesa e li ha ormai semisommersi nell’arco dell’ultimo mezzo secolo, all’ombra delle false teorie postconciliari relative alla "prosecuzione" e all’"approfondimenti" del non meglio specificato "spirito del Concilio" che, con lo Spirito divino, ha ben poco o punto a che vedere. È proprio su questi sofismi e su queste menzogne che il falso papa Francesco pretende di condurre la sua opera nefasta e micidiale di "rinnovamento", anzi, come dice lui stesso (ad esempio, nella tristemente famosa intervista a Scalfari del 2013), senza neppure tentar di mascherare l’empietà della cosa, di "cambiamento" della Chiesa: quasi che la Chiesa fosse una sua proprietà e quasi che spingere fino alle estreme conseguenze il fatale "spirito del Concilio" fosse cosa di per sé giusta, buona e legittima, nonché di una necessità e limpidezza auto-evidenti. Si tenga presente, nel prosieguo del nostro ragionamento, che le tre fasi cui abbiamo accennato non devono essere intese in senso rigidamente cronologico, e che specialmente la seconda e la terza possono, anzi, devono procedere di pari passo, perché è chiaro che un’azione di ripristino risulta tanto più efficace quanto più il momento distruttivo, quello della critica, e il momento costruttivo, quello della riproposizione di una verità lungamente oscurata, procedono in maniera coordinata e simultanea.

Il Concilio Vaticano II ha introdotto, di fatto, oltre ad una serie di devastazioni liturgiche senza precedenti (e si ricordi che chi stravolge la liturgia, stravolge anche il resto) alcuni errori dottrinali, non tropo vistosi, forse, almeno sul momento, perché abilmente dissimularti e "minimizzati" in un oceano di belle parole e di ottime intenzioni: dialogo col mondo, collaborazione con le altre confessioni cristiane e con le altre religioni, messaggio di salvezza rivolto all’intera unità, maggiore aderenza del Vangelo ai problemi sociali e alle questioni materiali e concrete della condizione umana; suscettibili, però, in un secondo tempo, di essere ripresi, sviluppati, allargati, portati sempre più innanzi, con logica perversa ma ineccepibile, qualora una forza maligna avesse deciso di sfruttarli, come di fatto è stato, quali teste di ponte per attuare una strategia d’invasione e di occupazione vera e propria dell’autentica Chiesa cattolica, e una sua graduale, metodica, capillare sostituzione da parte di una neochiesa falsa, eretica e apostatica, capace di conservare, però, le apparenze di quella vera, in modo che la gran massa dei fedeli e del clero stesso non si rendesse conto dell’intera operazione, del gigantesco tradimento e della colossale truffa che venivano consumati ai suoi danni, in odio alla Verità di Gesù Cristo, al Vangelo e alla divina Rivelazione cristiana. Perché tutto ciò fosse possibile, era necessaria l’opera di una gerarchia già largamente infiltrata dalle forze avverse, ma abilmente dissimulata in maniera tale da non farsi troppo notare; o meglio, da farsi notare, sì, ma, al tempo stesso, da farsi percepire, sia dentro che fuori la Chiesa, non come una quinta colonna intenzionata ad operare la distruzione della Chiesa stessa "per linee interne", ma, al contrario, come la parte più sensibile, più aperta, più positiva e aggiornata della Chiesa, la parte dialogante e progressiva, quella che intendeva sostituire ad una sgradevole contrapposizione alle logiche del mondo, una linea di collaborazione ottimistica e fiduciosa, basata sulla recezione, da parte della dottrina e della prassi cristiane, di gran parte degli aspetti più"validi" e più"condivisibili" delle ideologie laiche e degli stili di vita ad esse ispirati. Che tutto ciò fosse una penosa ed evidente contraddizione logica e una dissimulazione di ben altri, e oscuri, obiettivi, non è stato riconosciuti se non da pochissimi, primo fra tutti quel monsignor Marcel Lefebvre che, essendo stato quasi il solo a mangiare la foglia e a riconoscere il pestifero inganno, ossia che, dietro il paravento del rinnovamento conciliare, si voleva introdurre la rivoluzione nella Chiesa cattolica, si è trovato nella situazione dell’unico savio che grida al pericolo in un mondo di matti, i quali, naturalmente, lo trattano da folle e agiscono verso di lui in conseguenza.

Il modernismo, dunque, ha fatto irruzione nella prassi e anche nella dottrina cattoliche, a partire dal Vaticano II. Qualche anno prima, quasi esploratore solitario o avanguardia isolata che volesse tastare il terreno, c’era stata la bizzarra eresia di Teilhard de Chardin, guarda caso un gesuita, con la sua pretesa di conciliare fede cattolica e scienza evoluzionista: esattamente il programma dei modernisti del primo Novecento, Cristo più Darwin, che tanto era piaciuto a intellettuali cattolici "progressisti" come Antonio Fogazzaro, e che era stato duramente represso da san Pio X. Negli anni ’60 del Novecento il paradigma modernista si era alquanto sviluppato ed esteso; adesso, oltre a Darwin, c’erano Freud e soprattutto Marx da conciliare col Vangelo, cosa che costoro seppero fare, o, piuttosto, pretesero di aver fatto, con estrema e quasi incredibile disinvoltura. Tanto è vero che, in quegli anni, si cominciò a parlare di "psicanalisi cristiana" e di "cristiani per il socialismo" con tale naturalezza ed insistenza, con tale convinzione e aggressività, che molti cattolici in buona fede, ma sprovveduti sul piano culturale e intellettuale, finirono per mandar giù codesta inverosimile mistificazione: che vi sia il benché minimo punto di contatto fra le visioni atee, materialiste e nichiliste di Darwin, di Marx e di Freud, da un lato, e la divina Rivelazione di Gesù Cristo, dall’altro; e che un buon cattolico potesse essere, al tempo stesso, un convinto seguace di quelle ideologie profane. Vi furono dei veri e propri centri di elaborazione di tale micidiale miscela esplosiva, fonte di eresie e, anche, di veri e propri crimini: per esempio, la Facoltà di Sociologia di Trento, la quale, dominata dai cattolici di sinistra, avrebbe dato i suoi frutti velenosi nella stagione, ormai imminente, del terrorismo e degli anni di piombo, partorendo niente di meno che le Brigate Rosse di Renato Curcio; e altri, meno truculenti e più "rispettabili", ma non meno esiziali sul piano culturale, come la cosiddetta scuola di Bologna, dove gli allievi di Dossetti — i quali oggi, sia detto fra parentesi, sono giunti a sedere comodamente sul carro del vincitore, sia nell’ambito della cultura cattolica che di quella profana, vedi il professor Meloni coi suoi non scarsi finanziamenti pubblici, grazie ai quali parla e straparla della Chiesa dei poveri — si familiarizzavano con l’idea che i poveri hanno sempre ragione e che il compito della Chiesa è quello di stare sempre e comunque dalla loro parte, anche sul terreno strettamente politico-sociale. A dispetto del fatto palese che, come ha ricordato in una recentissima intervista il cardinale Walter Brandmüller (uno dei quattro cardinali dei dubia relativi ad Amoris laetitia, e uno dei due soli sopravissuti, insieme a Raymond Leo Buke), se la Chiesa si fa politica e smette di parlare di Dio, tradisce il Vangelo.

Con il Concilio, il modernismo è penetrato a fiotti nella dottrina e nella teologia cattolica, specialmente per impulso e iniziativa di quel tristo figuro che è stato il gesuita Karl Rahner, che seguiva i lavori conciliari quale ospite speciale e ne teneva aggiornata costantemente la sua amante, la scrittrice femminista radicale e anticristiana Luise Rinser, grande odiatrice della Chiesa: e come possa essere il buon genio ispiratore di un’importantissima assise cattolica un uomo che non si trova, evidentemente, in grazia di Dio, ognuno può giudicare da sé. Sia detto fra parentesi, conosciamo questi sordidi particolari dalla sfrontatezza della stessa Rinser, che ha pubblicato le sue lettere d’amore col gesuita tedesco sotto forma di libro, come fossero qualcosa di cui andar fieri; a meno che avesse, semplicemente, bisogno di quattrini: e ciò basti a dare un’idea della levatura morale del grande guru della svolta antropologica in teologia e del massimo regista occulto, nonché ispiratore dei documenti più avventati e controversi del Concilio, dai quali sarebbero poi scaturite conseguenze devastanti. E da Rahner è venuto il suo degno allievo Walter Kasper, che svolge nel campo della teologia odierna lo stesso ruolo che fu del suo maestro al tempo di Giovanni XXIII e di Paolo VI; quel Kasper che sta letteralmente dettando l’agenda ideologica del falso papa Bergoglio, dacché i teologi — e questo è stato un altro dei pessimi esiti del tanto decantato Concilio — sono saliti sul ponte di comando della Chiesa e si permettono di dettare l’agenda ai pastori: cardinali, vescovi e sacerdoti, cosa mai accaduta in passato e manifestamente illegittima, assurda e nociva, ma, in compenso, testimonianza eloquente della deriva gnostica in atto nel cattolicesimo postconciliare (quel pensiero non cattolico che è penetrato nel pensiero cattolico, per adoperare l’espressione allarmata di uno che se ne intendeva, Paolo VI). E le idee di Kasper dilagano, informano di sé l’azione pastorale di migliaia di sacerdoti, trovano il sostegno convinto dei vescovi e delle Conferenze Episcopali. E chi osa ancora nominare san Tommaso d’Aquino e la Summa Theologiae? Giammai: il testo di riferimento obbligatorio è diventato Misericordia di Kar Rahner: in cui si afferma, in buona sostanza (anche se non con questa chiarezza) che Dio non è condannante né colpevolizzante e che tutti, alla fin fine, verranno accolti nel Suo abbraccio misericordioso, pentiti o impenitenti che siano. Io che equivale, come vedrebbe anche un bambino, purché fosse in buona fede, alla autodistruzione pura e semplice del cattolicesimo.

Ora, la domanda è la seguente: come sarà possibile procedere a una bonifica di questa immensa palude? Come si potrà strappare la zizzania cresciuta a dismisura in mezzo al buon grano? Come si potrà, in definitiva, ritornare alla Sorgente perenne di Cristo, alla vera dottrina e alla Rivelazione divina, dal momento che i seguaci e i nipotini di Teilhard, di Rahner, di Kasper sono proliferati dappertutto, hanno invaso ogni facoltà teologica, ogni diocesi, ogni parrocchia, ogni oratorio, ogni chiesetta di campagna, per non parlare della stessa Curia romana, e dappertutto vediamo agitarsi, inquieti e narcisisti, innumerevoli scimmiottatori di quei tristi personaggi, di quei pessimi maestri e grandi sovvertitori della Verità di Gesù Cristo? Eppure, la strada da percorrere è questa, non ce ne sono altre. Così come l’organismo malato che voglia davvero recuperare la salute, anche la Chiesa inquinata dal modernismo deve sottoporsi a una terapia drastica, intensa, scrupolosa, senza perdere un solo minuto di tempo, perché di tempo se n’è perso anche troppo, prima che cominciassimo a renderci conto dell’enorme tradimento e dell’abominevole inganno, durato cinquant’anni, che è stato perpetrato ai nostri danni, con gravissimo pericolo per le anime e con bruciante offesa alla Verità di Gesù Cristo. O si procede alla bonifica integrale della dottrina cattolica, da cui discende necessariamente una bonifica della morale, da un lato, e della liturgia, dall’altro, oppure per la vera Chiesa non ci sarà alcun futuro, tranne, forse, che nelle catacombe, ove finirà, disprezzata e scomunicata dalla falsa neochiesa eretica e apostatica. Basta, pertanto, con gli ammiccamenti agli abortisti e al mondo LGBT; basta strizzatine d’occhio ai fautori dell’eutanasia, dell’aborto, delle unioni gay, e ai negatori della illiceità dell’adulterio; e basta buffonate in chiesa, pranzi di Natale e veglioni di Capodanno, e presepi multiculturali e gay-friendly, e messe sacrileghe e omelie farneticanti, e negazioni esplicite della fede da parte dei falsi pastori. Tutta questa babilonia deve finire: è l’espressione del disordine profondo, della estrema confusione intellettuale, spirituale e morale e della cattiva coscienza prodotta da mezzo secolo di deriva postconciliare, durante la quale la chiesa è andata avanti a cascaccio, abbandonata a se stessa, cioè privata dell’assistenza di Dio, simile al battello ebbro di Rimbaud, sotto un cielo non più provvidenziale. E come potrebbe Dio assistere, consigliare, sostenere la sua chiesa, se questa gli ha voltato le spalle, se si è affidata interamente alla "sapienza" degli uomini, e se questi uomini erano e sono dei falsi teologi e dei cattivi preti della levatura di un Teilhard de Chardin, di un Karl Rahner e di un Walter Kasper? Dio non abbandona nessuno; ma se gli uomini abbandonano Dio, Lui, per quanto desideri ardentemente la loro salvezza, non può fare nulla per essi, giacché non intende salvarli per forza, né imporre loro la Verità, qualora non la vogliano liberamente accettare, come amici e come figli e non da schiavi sottomessi e inconsapevoli. Il compito che aspetta gli operai della bonifica è immane; anzi, diciamo pure che esso è, umanamene parlando, impossibile. Questo deve essere ben chiaro: è troppo comodo mettersi in situazioni disperate e poi invocare a gran voce l’aiuto di Dio. Nondimeno, essendo infinita la Sua misericordia (ma non nel senso eretico di Kasper e di Bergoglio), non è detto che non ci si offra ancora una possibilità di redenzione dal male che noi stessi abbiamo coltivato. Dobbiamo avere tanta fede e pregare, pregare fervidamente e insistentemente, senza stancarci mai…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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