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18 Gennaio 2018Rileggiamo i primi versetti del libro di uno dei profeti cosiddetti minori dell’Antico Testamento, il profeta Naum (2-3):
Il Signore è un Dio esigente, / egli punisce chi si oppone a lui; / la sua collera è terribile,. / Il Signore si vendica dei suoi nemici, / è adirato contro di loro. / Il Signore è paziente, / la sua potenza è immensa, / ma non considera innocente il colpevole. / Quando egli cammina, / si scatena una violenta tempesta; / le nubi sono la polvere / sollevata dai suoi passi.
Certo, qui il profeta sta parlando "in situazione", come piace tanto specificare ai neopreti come Sosa Abascal, e cioè sta lanciando un terribile ammonimento contro la città di Ninive e contro l’Assiria, un regno potente e crudele, che opprime il popolo d’Israele, e ne predice la fine imminente e la distruzione totale; nondimeno, se non vogliamo cadere nella forma più piatta di storicismo, quando leggiamo la Bibbia dobbiamo ricordare che è lo Spirito di Dio che parla, e quindi non parla mai solo in situazione, ossia storicamente, ma che, nelle sue Parole, c’è sempre un soffio più ampio, una dimensione universale che abbraccia il presente, il passato e il futuro e che si prolunga fino agli estremi confini dell’universo. E dunque, un passaggio ci ha particolarmente colpito, un passaggio che ci è sembrato di estrema attualità, nella misura in cui tutta la Bibbia è, tutta e sempre, di estrema attualità, perché parla sul piano della storia ma parla anche, e soprattutto, sul piano soprannaturale, e quel che ha da dire, vale per sempre: Il Signore è paziente, / la sua potenza è immensa, / ma non considera innocente il colpevole. Specialmente quest’ultimo concetto: il Signore è paziente, ma non considera innocente il colpevole. E ciò va tenuto bene a mente, in questi tempi nei quali si abusa del concetto, pur giusto e vero in se stesso, dell’infinita misericordia di Dio.
C’è una bella differenza fra l’atteggiamento di colui che confida nella misericordia di Dio, pentendosi profondamene e sinceramente dei propri peccati, e quello di colui che pretende da Dio una cosa illogica e impossibile: che Egli consideri innocente il peccatore. Il peccatore non è innocente; e gli uomini sono tutti peccatori. Tutti, nessuno escluso. Da quest’ultima constatazione deriva la strana pretesa, da parte di certi neoteologi e neopreti, che Dio, tenendo conto della generale condizione di peccato dell’umanità, sia pronto e disposto ad una misericordia all’ingrosso, una specie di indulto plenario o di sanatoria generale. Il primo atteggiamento scaturisce dall’umiltà e dalla coscienza della propria fragilità, il secondo è figlio della superbia e della pretesa di aver diritto alla salvezza senza alcun merito: una delle quattro forme che assume il peccato più grave di tutti, quello contro lo Spirito Santo. Bisognerebbe andarci assai piano nel pensare, e nel lasciar credere ai fedeli, che Dio sia disposto a perdonare qualsiasi peccato, anche in assenza di qualunque ravvedimento: questo è un voler prendere in giro il Signore. Ma, obietterà qualcuno, le parole del profeta Naum riflettono il Dio dell’Antico Testamento, giusto ma terribile, non il Dio del Nuovo Testamento, sempre amorevole e misericordioso. Come sarebbe a dire: dunque la Bibbia ci parla di due diverse divinità? Forse che non è amorevole anche il Dio del profeta Naum, e non è terribile anche il Dio di Gesù Cristo, per esempio quando esclama: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli? L’idea che ci siano due diverse divinità, una per l’Antico e un’altra per il Nuovo Testamento, è l’idea di Marcione, cioè un’idea eretica. Non è vero che il Dio annunciato da Gesù sia un altro Dio rispetto a quello annunciato da Mosè, dai Profeti, dai Patriarchi, da Davide e Salomone: non sarebbe possibile neppure sul piano logico, a meno di cadere nel politeismo. Dio è uno (e trino); e se può cambiare, per taluni aspetti, il suo annuncio agli uomini, si tratta di diverse tonalità della medesima sinfonia, di diverse prospettive di una stessa realtà: la misericordia non esclude, ma include la giustizia e quindi la severità; e viceversa.
È davvero una strana convinzione quella per cui Dio, essendo misericordioso, non potrebbe mai giudicare, né punire le creature che rifiutano ostinatamente e pervicacemente la sua offerta d’amore; una convinzione che si può sintetizzare nella formula proibito punire, e che è figlia, a sua volta, dell’idea sessantottina del proibito proibire. Walter Kasper, nel suo libro Misericordia, che sembra la principale fonte d’ispirazione della pastorale della neochiesa odierna, se la prende con l’idea di un Dio che giudica e che condanna e, nel far ciò, non esita a rispolverare niente di meno che la dottrina luterana della giustificazione con la sola fede:
"… la giustizia di Dio, divenuta manifesta in Gesù Cristo, non è la giustizia condannante e castigante di Dio, ma la giustizia che rende giusti; essa ci giustifica davanti a Dio per sua grazia e senza nostro merito, anzi nonostante i nostri demeriti. Essa ci viene concessa non a motivo delle nostre opere, ma a motivo della fede. Essa è la giustizia che giustifica l’uomo e lo rende giusto" (W. Kasper, Misericordia, tr. it. Brescia, Queriniana Editrice, 2013, p. 120).
Per quasi duemila anni la dottrina cattolica ha parlato ai fedeli dei Novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso: ma si vede che si era sbagliata, oppure che è stato tutto uno scherzo. I più grandi pensatori, come san Tommaso d’Aquino, con la Summa Theologiae; i più grandi artisti, come Giotto, col suo Giudizio Universale; i più grandi poeti, come Dante Alighieri, con la Divina Commedia: tutti quanti hanno scherzato, oppure si sono ingannati. E così anche il sacro Magistero, per bocca di duecentosessanta pontefici, partendo da san Pietro, fino al Concilio Vaticano II, i quali, tutti, si sono ingannati, o hanno voluto farci uno scherzo: perché ora arriva il signor Kasper, ora arrivano i neoteologi e i neopreti, i quali, a nome della neochiesa, ci vengono a dire che Dio, essendo misericordioso, non può né condannare, né castigare, quindi che non vi è alcun giudizio e non esiste alcun inferno. Certo, è molto rassicurante, per i neocattolici, sapere una cosa del genere: da un punto di vista meramente umano, infatti, chi, se non un povero masochista, non preferirebbe l’idea che nessuno subisce le conseguenze dei propri peccati, all’idea opposta, secondo la quale vi è un castigo inevitabile per il peccatore impenitente? Ed è proprio questa la caratteristica principale della neochiesa e del neocattolicesimo: il fatto di porsi in una prospettiva meramente umana, che prescinde del tutto dal piano soprannaturale: quello della grazie e della partecipazione alla vita divina. Dal punto di vista umano, il peccato è qualcosa di spiacevole, specialmente perché se ne devono subire le conseguenze; esattamente come accade, sul piano della realtà profana, per chi commette un errore, anche se questo errore non si configura come un male morale, cioè come un peccato: ci sono inevitabilmente delle conseguenze da affrontare. Un grave sbaglio sul lavoro, per esempio, si paga con il licenziamento. Certo, c’è sbaglio e sbaglio: ma non c’è sbaglio che, prima o dopo, non porti le sue conseguenze negative. Oppure si può immaginare, ad esempio, che un casellante ferroviario, dopo aver trascurato di abbassare le sbarre e aver provocato, così, la morte di persone innocenti, possa conservare tranquillamente il suo posto di lavoro, come se nulla fosse accaduto? Per il peccato è la stessa cosa: se l’uomo, liberamente, sceglie il male, la conseguenza, cioè il castigo, è inevitabile: in questa vita, forse, magari in forme sottili e non visibili all’esterno; nell’altra, sicuramente. La vita eterna viene determinata dalle scelte fatte nella vita terrena: scelte libere, perché, se tali non fossero, nemmeno le conseguenze sarebbero inevitabili. Ecco perché la dottrina luterana del peccato e della grazia è un’assurdità: negando il libero arbitrio, essa priva l’uomo sia del merito per il bene che compie, sia della colpa per il male; e quindi fa di Dio un capriccioso tiranno, che premia e castiga in maniera irragionevole, perché non tiene conto che l’uomo non è affatto responsabile, né del bene, né del male che compie. Ed ecco perché rispolverare la dottrina luterana della giustificazione mediante la sola fede è una ulteriore assurdità: giacché in nessun modo, con tale dottrina, si può arrivare ad abolire l’idea della punizione dei peccati, ma, semmai, solo l’idea che ‘uomo possa evitare la punizione con i propri meriti. Tutto dipende dalla sola fede, dono imperscrutabile di Dio: non conta il pentimento, conta la fede: pecca fortiter, sed crede fortius. Se, poi, tale dottrina viene contrabbandata da un teologo cattolico all’interno della fede cattolica, alla contraddizione logica si aggiunge la perfidia di un’azione subdola e dissimulata: si fa credere ai cattolici di essere ancora nell’ambito della fede cattolica, mentre si è passati bellamente nell’ambito della teologia protestante, vale a dire nell’eresia conclamata. Ci rendiamo conto, peraltro, che simili argomenti contano poco, oggi, in clima di ecumenismo galoppante e delirante, dove pare che l’unica cosa importante sia l’embrassons-nous, anche a scapito della verità e della fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo, così come la Chiesa l’ha interpretata, insegnata, annunciata e difesa per due decine di secoli. Ma tant’è; si vede che abbiano il grave difetto — horribile dictu — di appartenere alla vecchia generazione, quando le cose erano ancora sì, sì, e no, no — come, del resto, insegnava Gesù che devono essere — e non siamo capaci, né desiderosi, di cambiar pelle e voltare bandiera solo perché qualche Walter Kasper o qualche Vincenzo Paglia così hanno deciso.
E ora torniamo ai versetti del profeta Naum: Il Signore è un Dio esigente. Se dovessimo sintetizzare in una breve formula in che cosa consiste l’eresia fondamentale della neochiesa, diremmo così: essa vuole rendere il Dio cristiano un Dio poco, pochissimo esigente; anzi, vuole proprio renderlo un Dio permissivo, come un genitore permissivo che lascia fare ai suoi figli tutto quel che vogliono, giusto o sbagliato che sia, e poi sempre, alla fine li perdona e li accoglie, sia che essi si siano comportati bene, sia che si siano comportati male; e, nel secondo caso, sia che abbiano compreso di aver sbagliato, e si mostrino pentiti, sia che non si siano pentiti affatto e abbiano seguitato, fino all’ultimo, a comportarsi in maniera pessima. Questa eresia fondamentale comprende in sé tutte le altre, che ne discendono come logiche e necessarie conseguenze. Un Dio poco esigente è un Dio che ama poco: perché solo chi ama molto si preoccupa di far sì che la persona amata non si metta sulla via del male. D’altra parte, è proprio qui che si vede come la neochiesa sia la figlia legittima dell’eresia modernista, già denunciata da san Pio X e rifiorita, alla grande, negli anni intorno al Concilio Vaticano II, tanto da arrivare a impadronirsi, ai nostri giorni, dei centri vitali della Chiesa stessa: che altro è il modernismo, infatti, se non lo sforzo di togliere al cristianesimo il pungiglione di ciò che è più grande dell’uomo, di ciò che è difficile per l’uomo, di ciò che è faticoso per l’uomo, in modo da appianare ogni difficoltà, sia per la ragione, sia per la sfera morale, e rendere la vita del cristiano molto più tranquilla e indisturbata, molto più in pace e in armonia con la mentalità e le abitudini del mondo? In fondo è molto semplice, per non ire banale, ed estremamente caratteristico della psicologia dell’uomo moderno, che desidera una vita la più comoda possibile, e guarda con fastidio a tutte le spine e i sassolini, anche i più piccoli, che gli capita d’incontrare sulla via, senza mai domandarsi se quelle spine e quei sassi, per caso, non potrebbero avere una funzione utile da svolgere nel suo percorso di consapevolezza e di crescita umana e spirituale. Sul piano della ragione naturale: il miracolo è qualcosa che dà scandalo? Benissimo: lo si toglie; che problema c’è? La Resurrezione di Cristo è una cosa che dà scandalo? La si toglie, o la si mette fra parentesi. La divinità di Gesù Cristo, ossia il mistero dell’Incarnazione del Verbo, è una cosa che dà scandalo? Via anche quella. Si ricorre, sulla scia di Rudolf Bultmann, al mito: la Bibbia tende a mitizzare i fatti, non bisogna prenderla troppo sul serio. E padre Sosa, di rincalzo, con tutta la forza dei due o tre neuroni che gli ronzano febbrilmente nel cervello: mica c’era un registratore, a quell’epoca, per registrare fedelmente le parole di Gesù Cristo: quindi, chi sa mai che cosa ha detto, in realtà, ad esempio sulla indissolubilità del matrimonio; è assai probabile che la pensasse proprio come Bergoglio, nella esortazione Amoris laetitia. E siccome si vuol costruire una neoreligione fatta su misura per l’uomo moderno, troppo pigro e affezionato alle comodità per prendere il cristianesimo sul serio, ma, nello stesso tempo, troppo orgoglioso per ammettere che di questo si tratta, cioè di scansare fatiche e sacrifici, ecco che si tira fuori la faccenda della misericordia di Dio che perdona tutto e di Dio che non è né condannante, né castigante. Come suona bene! Come riesce gradito agli orecchi, simile ad una musica dolcissima. Peccato che in questo modo vada persa la cosa essenziale del cristianesimo: la necessità della metanoia, della conversione; la necessità di far morire in noi l’uomo vecchio e di lasciar nascere, con la grazia di Dio, l’uomo nuovo, rinato in Cristo Gesù. Chi non muore al mondo e non rinasce in Cristo, non è un cristiano. La neochiesa non predica la conversione, non esorta alla rinascita in Cristo, perché ha paura dello scandalo che ciò sarebbe per il mondo; e la cosa cui tengono di più, codesti neocattolici, è andare d’amore e d’accordo col mondo…
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