
Undicesimo comandamento: venga l’invasione
15 Gennaio 2018
Che fine ha fatto la pudicizia delle donne?
16 Gennaio 2018Sono piccoli passi, come ha notato Sandro Magister, ma sono quotidiani, incessanti, feste e domeniche comprese, anzi, specialmente le feste e le domeniche: e così la neochiesa del (falso) papa Bergoglio marcia a ritmo straordinariamente spedito verso la radicale apostasia, in modo tale che molti non se ne sono neppure accorti; eppure il movimento c’è, e si vede: basti confrontare le cose che succedono ora, tutti i giorni, alla luce del sole, rispetto alla situazione di cinque o sei anni fa, subito prima che questo sciagurato pontificato avesse inizio. Trasformando le chiese e le basiliche in mense e sale da pranzo, dove si mangia la pastasciutta al ragù e la porchetta o lo spezzatino di carne, naturalmente per amore dei poveri, degli "ultimi" e soprattutto dei migranti, si attua una graduale, sistematica trasformazione di ciò che viene percepito come sacro e ciò che viene percepito come profano, facendo sparire il primo e sostituendolo completamente col secondo: si vuole abituare i fedeli che in chiesa non si va per pregare e cercare il Padre celeste, questo lo facevano i nostri nonni prima del Concilio, ma ci si va per pranzare con i poveri e per brindare con i rom, vittime d’una bieca discriminazione razziale.
Invitando a far parte del Pontificio istituto per la vita, da parte di monsignor Vicenzo Paglia, il teologo anglicano Nigel Biggar, notoriamente pro aborto, e assegnando la Santa Sede l’onorificenza pontificia dell’Ordine equestre di San Gregorio Magno all’ex ministro olandese Lilianne Ploumen, storica leader abortista e gay-friendly, si vuole abituare i cattolici all’idea che l’aborto, presto o tardi, verrà accettato e non più considerato un peccato, o non più un peccato mortale; nella stessa direzione va la decisione di rimettere l’assoluzione di tali casi non al vescovo della diocesi di competenza, ma al ministro ordinario del Sacramento della Confessione, come se si trattasse, appunto, d’un peccato non particolarmente grave ed esecrabile, ma veniale.
Piccoli passi, ma frequentissimi, anzi, quotidiani. Lasciando impunito don Farinella, che abolisce la santa Messa di Natale "per rispetto dei migranti", e don Olivero, che abolisce il Credo affermando di non crederci, e padre Greiten, che si dichiara omosessuale, nonché fiero di esserlo, ai suoi parrocchiani stupefatti, i tre rispettivi vescovi — di Genova, di Torino e di Milwaukee, Illinois – hanno mandato un messaggio chiarissimo a tutti i fedeli: ogni parrocchia è una repubblica anarchica e indipendente, il prete è libero d’inventarsi la sua teologia, la sua dottrina e la sua liturgia, e nessuno lo può giudicare (a meno che vaneggi in senso tradizionalista, allora lo si caccia in quattro e quattr’otto: vedi don Minutella a Palermo); in ogni caso, si può essere cattolici e si può anche essere preti pur non credendo e pur sbandierando allegramente la propria omofilia; la santa Messa, inoltre, è un optional, che si celebra solo se ciò non urta la sensibilità dei non cattolici, a meno di farsi perdonare inserendo dei presepi pro gay, o pro islam, e così via.
Dicendo, Bergoglio, che Lutero è stato un riformatore ben intenzionato e che, sulla predestinazione, aveva ragione lui, come ora riconoscono tutti (dove "tutti" è lui, Bergoglio), e dicendo, monsignor Galantino, che la (cosiddetta) riforma di Lutero è stata un’opera dello Spirito Santo, per non parlare delle concelebrazioni di Lund, in Svezia, e altre del medesimo tenore, si vuol far credere ai cattolici che lo scisma, che non viene più chiamato tale, con gli eretici protestanti, che non vengono più chiamati così, è stato "superato", che non c’è più nessun problema, tant’è vero che circolano Bibbie e Vangeli "interconfessionali", ossia tradotti sotto la supervisione di esperti cattolici e protestanti; e il tutto produce l’impressione che la Chiesa cattolica, opponendosi all’eresia di Lutero e a quelle successive di Calvino e molti altri, abbia avuto torto, che si sia arroccata, per mera ottusità e conservatorismo, su posizioni anacronistiche di chiusura e di rifiuto. A ciò contribuisce anche l’idea progressista, "passata" col Vaticano II, secondo la quale ogni apertura è buona e ogni chiusura è cattiva, idea portata alle estreme conseguenze da Bergoglio, con la sua febbre di abbattere muri e di gettare ponti in ogni direzione, anche verso gli eretici e i nemici della Chiesa.
C’è poi un altro livello nella strategia dei piccoli passi, che riguarda non tanto le dichiarazioni, ufficiali e non ufficiali, dei membri del neoclero, ma anche gli stili pastorali, fatti di allusioni, di aggettivi, di intercalari, di risate o di silenzi. Il turpiloquio, introdotto dal (falso) papa Bergoglio nella pastorale pontificia (ricordiamo che proprio per il suo turpiloquio, o meglio, anche per questo, il suo superiore in Argentina, padre Kolvenbach, si era detto contrario alla sua nomina a vescovo), va a colpire direttamente il Signore Iddio, quindi è blasfemo: Gesù era brutto che fa schifo; Gesù fa un po’ lo scemo, eccetera. A livelli meno scandalosi e meno appariscenti, l’aver sostituito, e questo sin dal primo saluto dal balcone di Piazza San Pietro, la sera delle sua elezione a papa, il Sia lodato Gesù Cristo con il laico e prosaico: Buonasera, e la benedizione finale con l’ancor più laico Buon pranzo, oppure Buonanotte e buon riposo, sono tutte espressioni che vanno in una tale direzione. Oppure prendiamo le telefonate estemporanee che il falso papa ama fare, a sorpresa, a persone qualsiasi (mentre si "dimentica" di rispondere a comunicazioni ufficiali, e drammatiche, di eminenti cardinali, lasciando che muoiano di crepacuore dopo mesi e anni di vana attesa), come quando ha chiamato uno studente e gli ha detto di essere il papa e gli ha chiesto di dargli a sua volta del "tu", perché Gesù e i suoi discepoli non si davano mica del lei, erano amici: trascurando il dettaglio che lui non è Gesù e che quello studente non è san Pietro o san Giovanni; e suggerendo l’idea che Gesù Cristo è un amicone, uno che si tratta prendendolo a pacche sulle spalle e raccontandogli qualche barzelletta, non il Verbo Incarnato e il nostro divino Redentore e Salvatore. Oppure, ancora, quando, in una udienza generale, il falso papa esorta le donne che si sono presentate coi loro bambini piccoli ad allattarli lì, sul posto, senza alcun problema, mostrandosi tanto aperto e gentile, e facendo quasi apparire dei mostri d’insensibilità i suoi predecessori, che mai avrebbero detto una cosa simile (così come la sua scelta di andare ad abitare a Santa Marta li fa apparire dei sibariti e degli spreconi), costui, dietro il velo della finta modestia, oltre a implementare una facile popolarità di basso conio, fa "passare" l’idea che davanti a un sacerdote ci si può atteggiare come si vuole, che il pudore è roba d’altri tempi, e così pure la discrezione e la distinzione fra il sacro e il profano, fra il lecito e l’illecito, fra il buon gusto e il cattivo gusto, fra la serietà e la demagogia. E via di questo passo, si potrebbe continuare all’infinito, passando per le sue mancate genuflessioni davanti al Santissimo. fino alle spettacolari sortite nelle toliette chimiche, sempre in un bagno di folla, durante le visite apostoliche, come è accaduto a Milano.
Non è solo volgarità; non è solo cialtroneria; e non è solo maleducazione. È molto di più, e molto di peggio. Quel che si vuole ottenere, mediante una strategia così duttile e varia, così ramificata e capillare, così ubiquitaria, cui nulla sfugge, né una parrocchia di periferia, né una trasmissione televisiva su una grande rete nazionale, è che lo "stile" del (falso) papa Bergoglio e della neochiesa venga ovunque magnificato e celebrato come quello di una grande, straordinaria, irripetibile stagione di "rinnovamento" e quasi come una seconda nascita della Chiesa, dopo anni e secoli di immobilismo, oscurantismo e conservatorismo. E non si creda che sia solo una questione di stile; la raffinata, diabolica abilità di costoro è quella di far passare dei cambiamenti dottrinali attraverso l’uso spregiudicato di un certo stile di comunicazione. Questi mattina, 15 gennaio 2018, sul principale programma televisivo nazionale, andava in onda un’intervista del giornalista Franco di Mare a un sacerdote che parlava del papa e del suo imminente viaggio in Cile e Perù (da notarsi la stranezza che non è mai andato in Argentina, dopo cinque anni di pontificato: qualcuno s’immagina Giovanni Paolo II che rinunciasse a visitare la sua Polonia?; ma anche su ciò, nessuno ha fiatato). Costui, a una certo punto, diceva che lo spezzare il pane dell’Eucarestia evocava lo spezzare il pane "coi poveri" tanto caro alla pastorale di Bergoglio, suggerendo che le due cose sono, in fondo, la stessa cosa: ma questa è un’idea in parte protestante, perché il Pane eucaristico è il Corpo di Cristo, non un pane qualsiasi, dunque un Cibo mistico, il Cibo per eccellenza, mentre il pane di grano è un alimento qualsiasi, che si compra dal fornaio per pochi soldi e placa la fame solo temporaneamente; e in parte laicista e anticristiana, perché suggerisce che non c’è niente di speciale nel Pane eucaristico, dunque che è meglio coltivare i campi per sfamare la povera gente, invece di perder tempo con il Sacrifico della santa Messa, che è un rito astruso e lontano dalla complessità concreta del reale, come ama esprimersi il neoclero della neochiesa.
E allora? E allora bisogna che i cattolici ritornino a leggere e a meditare il Vangelo di Gesù Cristo, e che ritornino a pregare: capiranno che nulla di quanto sta accadendo deve considerarsi una cosa strana e impossibile, ma anzi, perfettamente logica e naturale: dopo aver tentato, per millenovecento anni, di scalzare la Chiesa dall’esterno, il Nemico ha deciso di farlo dall’interno. Operazione preparata con cura e con pazienza già da molto tempo, da almeno un paio di secoli: ci sarà bene una ragione se nel 1738, in un momento storico in cui la Chiesa, circondata da nemici e sotto attacco mediante le politiche giurisdizionaliste dei sovrani illuminati, scomunicava solennemente per mano di Clemente XII la massoneria; scomunica mai ritirata e anzi sempre ribadita. Nel Vangelo, e solo nel Vangelo, nonostante quel che dice l’indegno e sfrontato gesuita Sosa Abascal, il quale non crede che quel libro riporti fedelmente le Parole di Gesù Cristo, i cattolici troveranno tutto quel che occorre per andare avanti nella loro vita di fede, anche se abbandonati e traditi dai falsi pastori e anche se osteggiati, disprezzati e denigrati dal (falso) papa Bergoglio, il quale, nella sua inesauribile misericordia, suole apostrofarli con graziosi epiteti quali vecchie comari; signore e signora piagnistei; fomentatori della coprofagia (=mangiatori di escrementi); mummie da museo; sgrana rosari; musi lunghi; facce da funerale; piccoli mostri; cristiani pappagallo; cristiani che hanno il cuore amaro come l’aceto; clericalisti, cioè seguaci di uno dei mali peggiori della Chiesa; e via di seguito, sullo stesso tono amabile e cristiano.
Prendiamo in mano il Nuovo Testamento, dunque, apriamolo con umiltà e con fede, e vi troveremo ogni consolazione ed ogni bene, anche se il cuore sanguina per le bestemmie e le eresie che costoro perpetrano, oltre agli insulti da trivio che rivolgono ai veri credenti; rileggiamo, per esempio, l’incipt della Prima lettera di san Giovanni (1, 1-5):
Quod fuit ab initio, quod audivimus, quod vidimus oculis nostris, quod perspeximus, et manus nostrae contrectaverunt de verbo vitae: et vita manifestata est, et vidimus, et testamur, et annuntiamus vobis vitam aeternam, quae erat apud Patrem, et apparuit nobis: quod vidimus, et audivimus, annuntiamus vobis, ut et vos societatem habeatis nobiscum, et societas nostra sit cum Patre et cum Filio eius Jesu Christo. Et haec scribimus vobis ut gaudeatis, et gaudium vestrum sit plenum. Et haec est annuntiatio, quam audivimus ab eo, et annuntiamus vobis: Quoniam Deus lux est, et tenebrae in eo non sunt ullae.
Di che cosa dovremmo aver paura, se rivestiamo la fede in queste parole? I cattolici si riconoscono da questo: credono in ciò che gli Apostoli hanno visto e riferito di Gesù Cristo, e la Tradizione e le Scritture hanno fedelmente tramandato; seguono i suoi precetti, confidando pienamente in Lui e chiedendo il dono della fede; e sperano nella vita eterna. Non li spaventeranno una masnada di neopreti infedeli e traditori, seminatori di confusione e di scandali, né una congiura di cardinali e arcivescovi massoni, ormai prossimi a svelare apertamente i loro subdoli e diabolici piani: abolire il Sacrificio Eucaristico, riducendolo a una pura commemorazione, e, con ciò, togliere alla Chiesa il legame con il soprannaturale e la grazia di Dio che scende sui fedeli. Ma niente paura: non ci riusciranno. Non è una previsione, è una certezza: perché credere nell’insegnamento di Gesù Cristo comprende aver fede anche nella sua esplicita e categorica assicurazione: le porte dell’inferno non prevarranno sulla mia Chiesa. Di che cosa dovremmo aver paura, dunque? Come dice il Salmista: per che cosa ti turbi, perché sei agitata e spaventata, anima mia? Dio è buono e potente; Dio può tutto. Potrà anche succedere che la neochiesa, cresciuta fino a raggiungere proporzioni mostruose, divorerà in un boccone la vera Chiesa di Cristo, così come il pesce inghiottì il profeta Giona che non voleva recarsi a Ninive secondo il comando del Signore, per predicare la penitenza agli abitanti di quella città pagana. Ecco, forse anche noi siano stati timidi e abbiamo anteposto i nostri agi alla volontà del Signore; forse Lui ci chiamava, voleva mandarci a predicare agli abitanti della moderna Ninive, la società materialista e secolarizzata, ma non l’abbiamo fatto, per viltà e per opportunismo. Era troppo comodo godersi tutti i vantaggi e le comodità del mondo pur seguitando a dirci, a parole, cristiani. Ma una cosa è certa: se mai dovesse accadere ciò, la neochiesa dovrà risputare la vera Chiesa il terzo giorno, come la morte restituì il Cristo risorto. No: portae inferi non praevlaebunt…
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