Neochiesa: col vento in poppa, verso il Nulla
12 Gennaio 2018
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13 Gennaio 2018
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Smontare, uno ad uno, i sofismi della neochiesa

La neochiesa modernista, eretica e apostatica che si sta sostituendo, a passi da gigante, alla vera Chiesa cattolica, sempre più relegata dietro le quinte, si regge su una costruzione di cartapesta, in una maniera che è resa possibile solo dall’ignoranza, dall’accidia e dal conformismo di milioni di cattolici; laddove basterebbero pochi uomini di fede e di coraggio per smontare i suoi sofismi ad uno ad uno, mostrando la loro natura ingannevole, la loro inconsistenza, loro trucchi da quattro soldi dei neoteologi e la raffinata malizia del neoclero, una scellerata combriccola di vescovi e sacerdoti massoni i quali hanno venduto l’anima al diavolo in cambio di potere, ricchezza e facile popolarità.

In fondo, tutto il loro inganno, avente quale obiettivo ultimo la sovversione della Chiesa stessa e la distruzione finale della fede in Gesù Cristo — un Gesù che intendono ridurre alle proporzioni di un semplice uomo, spogliandolo della sua divinità, e quindi spogliando la sua morte (e la sua resurrezione, in cui non credono) del valore di Redenzione universale – si può ridurre a cinque o sei parole d’ordine, parole-chiave, destinate a diffondere i pestilenziali errori del modernismo, già denunciati e combattuti con vigore da san Pio X, sotto una nuova veste, forse un poco più abilmente dissimulati ma, in definitiva, proprio gli stessi di allora, insieme ad altri, nuovi e, se possibile, ancor peggiori dei primi. Vediamole.

MISERICORDIA.

È il titolo di un tristo libro di Walter Kasper (tradotto in Italia nel 2013) ed è assurta a simbolo della "pastorale" del (falso) papa Bergoglio. L’inganno sta nel fatto che la misericordia di Dio viene presentata, sistematicamente e unilateralmente, come la ferma volontà di Dio di perdonare tutti, accogliere tutti e redimere tutti, indipendentemente dal fatto che i peccatori si pentano dei loro peccati. Questa falsa dottrina si regge su un sofisma ben preciso: Dio è amore, quindi non può lasciare che una parte dell’umanità vada in perdizione. Perfino un bambino della prima Comunione, almeno fino a qualche anno fa, avrebbe riconosciuto la natura sofistica di un simile argomento: dire che Dio vuol salvare tutti è una cosa; dire che tutti si salvano è un’altra: di mezzo, c’è la libera volontà degli uomini, dono preziosissimo che Dio stesso ha fatto loro. E la libertà del volere umano implica la possibilità del rifiuto dell’amore di Dio, il che equivale al rifiuto della salvezza. Affermare che Dio salva tutti è come affermare che Dio ignora le libere scelte degli uomini e che li trascina in paradiso con la forza. Non solo questa idea è palesemente in contrasto con il più elementare senso di giustizia, ma è anche in contrasto con il vero amore di Dio per gli uomini, che comprende il rispetto della loro libertà. In altre parole, non è Dio che manda all’inferno il peccatore, ma è il peccatore che sceglie l’inferno con un atto della sua liberta volontà. Il peccatore, infatti, sa benissimo di commettere il male; se non lo sa, non è realmente peccatore; inoltre, a ogni peccatore è dato il modo di pentirsi, ravvedersi e convertirsi, nonché di riparare al male fatto, nei limiti del possibile. Senza dubbio Dio, nella sua paterna Provvidenza, mette in opera molte strategie affinché il peccatore abbia la possibilità e l’occasione di pentirsi, e perciò di salvarsi. Nondimeno, vi sono dei peccatori che rifiutano tali occasioni e si ostinano nella loro malvagità, sino all’impenitenza finale, cioè sino all’estremo rifiuto della riconciliazione con Dio. Come è possibile che simili anime vadano incontro a un destino diverso dalla dannazione eterna? E tuttavia, non è Dio che le ha condannate, ma si sono condannate da sole. Rileggiamo il Vangelo di Giovanni (12, 44-50):

Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuti per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me.

È un discorso chiarissimo; eppure, la malizia infernale dei neoteologi modernisti è riuscita a intorbidarlo e confonderlo, almeno agli occhi dei cattolici che hanno poco senso critico e poca familiarità con la lettura e la meditazione del santo Vangelo. Che cosa fanno i neoteologi, di questo discorso di Gesù, fedelmente riportato dal quarto Vangelo (sempre con il permesso di padre Sosa Abascal, secondo il quale non sappiamo che cosa realmente abbia detto Gesù Cristo, perché nessun registratore ha inciso le sue parole)? Lo tagliano a metà; lo riportano, o lo sintetizzano, fino al passaggio: Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuti per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. E dicono, esultando in maniera quasi scomposta: Vedete? Gesù non è venuto per condannare, ma per salvare tutti gli uomini. Il che è vero; ma è solo una parte della verità. Primo, perché Gesù vorrebbe salvare tutti gli uomini, ma bisogna pure che gli uomini si lascino salvare. Provate voi a salvare un uomo che sta per affogare, se costui non vuole a nessun patto essere salvato: è un’impresa impossibile. Se costui ha deciso di annegare, annegherà: nessuno potrebbe salvarlo dalla morte, se questa è la sua precisa intenzione. Secondo, perché Gesù stesso, subito dopo aver pronunciato quelle parole, ha soggiunto: Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno. Parole chiarissime, inequivocabili: dunque, il Giudizio esiste; dunque, la condanna esiste; dunque, esistono sia la dannazione eterna, sia l’inferno quale destino finale delle anime che non hanno avuto il timore di Dio.

La furbata dei neoteologi che abusano del concetto di "misericordia" consiste, pertanto, nel dire solo una parte della verità; nell’esporre una metà della vera dottrina cattolica, quella che fa comodo a loro per trascinare le anime nell’inganno e, di conseguenza, nell’estremo pericolo. È come se, alla raccomandazione rivolta da Gesù alla donna adultera: Neanch’io ti condanno; vai, e d’ora in avanti non peccare più, loro togliessero il non peccare più, e lasciassero solo il neanch’io ti condanno; vai (pure): cosa che suggerisce che Gesù si contenti che il peccatore faccia quel che vuole, che resti pure nel suo peccato se lo preferisce, tanto Lui è disposto a perdonare e ad accogliere tutti, anche i peccatori impenitenti. Il che è una deliberata, e perciò diabolica, falsificazione dell’autentico insegnamento di Gesù. E qui bisogna dire che non solo singoli teologi, come Walter Kasper, ma il (falso) papa in persona, nella sciagurata esortazione apostolica Amoris laetitia, specie nel § 303, esprime chiaramente questo concetto eretico: che Dio non chiede al peccatore di desistere dal suo peccato, ma che acconsente a vederlo permanere in esso, anzi, peggio, che gli chiede di restare nel suo peccato, se egli, in tutta coscienza (si fa per dire) non si sente di fare diversamente. Il che, fra parentesi, porta dritto all’abolizione del Vangelo, che è la Legge di Dio, e alla sua sostituzione con il criterio morale della coscienza individuale. Se una cosa è buona per me, allora tutto va bene: anche in contrasto col Vangelo; anche in contrasto coi Dieci Comandamenti (nel caso specifico: non desiderare la donna d’altri). Sostituzione che Bergoglio aveva annunziato sin dal principio del suo pontificato, non in sede ufficiale, ma nel corso di una famigerata intervista al gran papa del partito massonico italiano, Eugenio Scalfari: il primato della coscienza individuale come criterio di verità nelle questioni morali.

DISCERNIMENTO.

La neochiesa adopera questo concetto per indicare che ogni sacerdote e ogni vescovo devono "discernere", cioè vagliare caso per caso, di fronte alle situazioni che si presentano loro in ambito morale, cioè di fronte ai peccati degli uomini. Se, per esempio, essi ritengono, così, a loro personale giudizio, che un divorziato risposato, o passato a una nuova convivenza, non potesse fare diversamente, e che non possa nemmeno astenersi dal vivere con la nuova compagna come se fosse sua moglie a tutti gli effetti, rapporto sessuali compresi, allora ve bene così, non c’è problema, e può anche accostarsi al Sacramento dell’Eucarestia. Il che è come negare l’indissolubilità del matrimonio, quindi smentire le precise parole di Gesù Cristo: L’uomo non separi ciò che Dio ha unito (Mt 19,6: sempre col permesso di padre Sosa, il quale non crede neanche a questo, cioè non crede che Gesù abbia detto proprio così); ed è anche negare che accostarsi ai Sacramenti richiede di essere in grazia di Dio. Il che ci porta in piena eresia: impugnare scientemente la verità conosciuta.

ACCOMPAGNARE.

È uno dei concetti più farlocchi, sleali e ingannevoli creati dai neoteologi e dal neoclero; ora il peccatore non deve essere più condotto verso il pentimento, la penitenza e la conversione, ma deve essere semplicemente "accompagnato". Bisogna soffrire con lui, camminare con lui, senza giudicarlo. Ora, a parte il fatto che la Chiesa non ha mai insegnato a giudicare il peccatore, bensì il peccato, resta inevasa la domanda, piuttosto importante (o no?): accompagnarlo dove, verso che cosa, in quale direzione? Non si sa; non viene detto, Accompagnarlo è un’espressione che fa tanto fratellanza, fa tanto accoglienza, fa tanto solidarietà. Ha anche una nota leggera, quasi sportiva: che bello camminare insieme (in una Valle Verde?). E se non può camminare, perché troppo ferito dalla vita, allora bisogna accompagnarlo in ambulanza, all’ospedale. La Chiesa, ha detto il (falso) papa Bergoglio, è come un ospedale da campo, dove si medicano le persone ferite. Ferite, concetto laico, non peccati, concetto religioso. Insomma, più uno studio di psicanalisi che un luogo dove il sacerdote, mediante la Confessione, riconcilia le anime con Dio (e infatti, per sua stessa ammissione, quando Bergoglio ha un problema di natura esistenziale, va dallo psicanalista, mica dal direttore spirituale). Quel che il falso papa non dice, è che tutte le anime sono ferite, fino a che se ne stanno lontane da Dio, ed essere nel peccato è stare lontano da Dio. E allora, vogliamo dirlo che, per curare le anime, la vera e sola terapia è rinunciare al peccato e rivolgersi a Dio, e che questo è il vero scopo della Chiesa cattolica, la ragione della sua esistenza?

INCLUDERE.

È di moda sia nella neochiesa che nella società profana, particolarmente nella politica e nella scuola, con riferimento agli immigrati e ai falsi profughi/invasori. È una parola magica, una parola talismano: fa sparire tutte le difficoltà, dissimula tutti i problemi, semplifica ingannevolmente tutti i nodi, anche i più intricati. Pare che per "includere" sia sufficiente un po’ di buona volontà e un cuore generoso. Per la neochiesa, si tratta di fare spazio ai peccatori, agli atei, agli anticristiani e ad ogni sorta di nemici, radicali e massoni in testa, tutti insieme appassionatamente. È la logica conseguenza della filosofia dell’abbattere muri e gettare ponti: si tratta di abolire ciò che definisce, quindi in primo luogo la dottrina, e relativizzare ciò che può dividere, a cominciare dalla Verità. Infatti, includere tutti equivale a non esser più nessuno, a sparire nel gran mare dell’indifferenziato.

COMPLESSITÀ.

È un’altra parola-chiave: la realtà concreta è complessa, e questo deve rendere tutti consapevoli che non si può giudicare. In una realtà complessa, è inevitabile scendere a componessi, transigere sui principi, scivolare nel peccato. Si vede che in Giudea, quando Gesù si è Incarnato, la situazione era straordinariamente semplice e lineare; e così in Asia Minore, durante i viaggi apostolici di san Paolo; e nell’Impero Romano, durante le persecuzioni; e poi durante la Rivoluzione francese, ecc.

LEGGE.

Niente leggi, quindi neanche la Legge di Dio; è roba per persone meschine. Amoris laetitia, § 304: È meschino fermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Immaginatevi Gesù, o san Paolo, o san Francesco, o san Pio da Pietrelcina parlare così: è meschino preoccuparsi solo di seguire la Legge divina. Anche qui c’è un’apparenza di verità, perché Gesù oltrepassa la Legge: ma per innalzarla, non per annullarla…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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