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È sempre un piacere e una consolazione, specie in questi tempi di crisi spirituale, morale e religiosa, tornare a rileggersi il buon vecchio Kierkegaard, un pensatore luterano come il cattolicesimo, negli ultimi due secoli, ne ha avuti pochi: uno che va dritto al cuore dei problemi, e che mostra al suo lettore, senza tanti fronzoli e abbellimenti, la nuda essenza del Vangelo di Gesù Cristo: la disponibilità a caricarsi sulle spalle la propria croce, per mettersi alla sequela di Lui. I nostri tempi sono i tempi del sì, ma, del sì, però, e anche, qualche volta (ma più raramente) del no, tuttavia; sono tempi di misera furbizia, nei quali gli uomini vanno in giro cercando il cavillo, l’eccezione, la deroga alla legge, perché non hanno abbastanza faccia tosta da dichiarare abolita la legge, ma neppure abbastanza umiltà e purezza di cuore da sottomettersi ad essa. Sono tempi di eresia e di apostasia, con la pretesa di essere perfettamente fedeli al Vangelo, anzi, di avene penetrato più chiaramente il significato. E costoro, disgraziati, nemmeno si rendono conto che una simile affermazione è, né più né meno, una dichiarazione di gnosticismo: perché la gnosi consiste nella pretesa che esista una verità per i sapienti e una verità per i semplici, pur essendo, esteriormente, la stessa verità. In tempi come questi, la maggioranza dei credenti è confusa, molti sono turbati, alcuni sono angosciati: pare che tutto stia franando, e che tutto stia cambiando, e nulla è oggi com’era ieri, benché ci avessero insegnato che la Verità di Cristo è una, immutabile, luminosa, perenne ed auto-evidente. 

Ecco perché di questi tempi si aggirano i maestri dell’ambiguità, del dubbio, del sospetto: e le pecorelle, che si rivolgono ai loro pastori per avere certezze e indicazioni sicure, trovano invece, moltiplicate all’ennesima potenza, altre ambiguità, altri dubbi e altri sospetti. Vi sono preti i quali, in chiesa, nel pieno della santa Messa, dicono tranquillamente ai loro parrocchiani di non credere al Credo, cioè di non credere a tutto ciò in cui dovrebbero credere e che dovrebbero, a loro volta, insegnare: ma allora, perché rimangono nella Chiesa, se non per aumentare la confusione, lo scoraggiamento, l’amarezza? Vi sono vescovi che fanno l’apologia dei peggiori nemici della Chiesa, di quegli uomini e donne che si sono prodigati per introdurre leggi anticristiane e intrinsecamente malvagie: sull’aborto, sull’eutanasia, sulle unioni omosessuali: ma come possono conciliare tali discorsi con l’insegnamento e la difesa della vera dottrina cattolica e della vera morale cattolica? Vi è un papa, infine, che semina incertezze, che instilla perplessità, che dice chiaro e tondo di non saper rispondere alle domande essenziali della vita, come se il Vangelo di Gesù fosse acqua fresca, come se il divino Maestro non avesse una Parola per confortare i cuori che soffrono. Ora, proprio da parte dei più alti esponenti della chiesa, il consiglio per chi soffre pare esser quello di andare dallo psicanalista, oppure di assecondare i propri istinti, anche quando essi sono contrari sia alla legge del Signore, sia alla stessa legge naturale. Si direbbe che l’uomo sia abbandonato, tutto solo, davanti alla fatica del vivere; si direbbe che Gesù Cristo si sia Incarnato per niente. Codesto neoclero e codesti neoteologi tacciono, ormai da tempo, la cosa più importante: che l’uomo non è solo, che non deve affrontare da solo difficoltà e tentazioni; che Dio può e vuole aiutarlo, sostenerlo, consigliarlo, purché l’uomo lo voglia, purché gli si abbandoni con fede e speranza, purché smetta di dire sempre e solo: Io, e impari a dire: Tu; impari a dire: Sia fatta la Tua volontà, Signore, non la mia. 

E in questa estrema confusione, in tutta questa vacuità, in questo relativismo, ecco che si è formato un nuovo tipo di "cristiano": duttile, sfuggente, astuto, opportunista, un po’ cinico, un po’ volgare, sempre pronto a dare ascolto a quei falsi pastori che predicano la resa al mondo e che benedicono i vizi del mondo, perché sono i suoi stessi vizi. Una pacchia. Che cosa si può desiderare di meglio, di più comodo, di più gratificante, di una religione che, dietro la parola d’ordine della Croce di Cristo, fugge in realtà la Croce come la peste, e che invece promuove, insegue, perfino benedice tutto ciò che piace al mondo, anche se dispiace a Dio? È la religione fatta su misura per l’uomo moderno: pigro, edonista, utilitarista, materialista, e, sopratutto, immensamente egoista; al punto da coccolarsi come il dio di se stesso, e da voler soddisfare ogni più piccolo capriccio di quel dio esigente e voluttuoso che si annida nella sfera più bassa del suo io. Un uomo così ha bisogno di una religione che non lo disturbi con prediche fastidiose, che non gli ponga delle mete troppo ardue, che non lo gravi di pesi eccessivi; ha bisogno di una religione pronto uso, melliflua, tutta sorrisi e carezze, tutta indulgenza e misericordia. Non una vera religione, in fondo, ma uno stuoino dove pulirsi le scarpe, dopo aver sguazzato nel fango finché ne abbia avuto voglia. Uno stuoino sul quale liberare le suole dal fango raccolto, in modo da poter andare avanti con le scarpe nuovamente pulite. Come se non fosse successo niente, come se il peccato non fosse mai stato commesso. È la blasfema assicurazione di Walter Kasper ai suoi lettori: La misericordia divina (…) considera nullo il peccato, come se non fosse stato commesso (dal suo libro Misericordia, traduzione italiana Brescia, Editrice Queriniana, 2013, p. 167).

In questa mefitica palude, in questo crepuscolo popolato d’ipocriti che si spacciano per virtuosi, di furbi che si fingono misericordiosi, e che giocano con la misericordia di Dio come se fosse cosa loro, e la promettono e la distribuiscono ai peccatori incoraggiandoli a rimanere nei loro peccati, tanto ci penserà Dio a toglierli (mentre Gesù è venuto sulla terra per prenderli su di sé, i peccati, e non già per toglierli, cosa impossibile), si leva forte e chiara la voce solitaria di Søren Kierkegaard, il grande incompreso, che seppe sfidare tutta la Chiesa di Danimarca per riaffermare, al di là degli opportunismi e delle ipocrisie ufficiali, il richiamo imperioso e dolce del Vangelo di Gesù Cristo, in tutta la sua purezza e intransigenza. Ogni sua pagina è una rivelazione, ogni suo pensiero è uno squillo di tromba nel sonno del cristiani addormentati. Prendiamo la pagina iniziale di Aut-Aut, per esempio (traduzione di K. M. Guldbrandsen e Reno Cantoni, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1956):

Amico mio! Quello che ti ho già detto tante volte, te lo ripeto, anzi te lo grido: o questo, o quello, Aut-Aut! L’importanza dell’argomento giustifica l’uso delle parole. Vi sono circostanze in cui sarebbe ridicolo e quasi pazzesco voler porre un aut-aut; ma vi sono anche persone la cui anima è troppo dissoluta per cogliere il significato di questo dilemma, alla cui personalità manca l’energia per poter dire con pathos: o questo, o quello. Queste parole hanno sempre fatto su me una profonda impressione, e ancora la fanno, specialmente quando le pronuncio così, semplici e nude; in esse esiste una possibilità di mettere in moto i contrasti più tremendi. Su di me han l’effetto di una formula di scongiuro, e l’animo mio sprofonda nella serietà restandone a volte quasi sconvolto. Penso alla mia prima gioventù, quando, senza ben afferrare il significato della scelta nella vita, con infantile confidenza ascoltavo i discorsi dei più anziani; e l’istante della scelta era per me solenne e venerabile, benché nella scelta seguissi allora solo le istruzioni degli altri. Penso a quegli istanti nella mia vita futura, in cui mi trovai al bivio, in cui l’animo mio si maturò nell’ora della decisione. Penso a tutti gli altri casi della vita, meno importanti, ma per me non indifferenti, in cui dovevo sceglier; poiché, anche se è vero che queste parole hanno una importanza assoluta solo nel caso in cui, da una parte, appare la verità, la giustizia, la santità, e dall’altra, il piacere, le inclinazioni, le oscure passioni e la perdizione; anche in casi in cui l’oggetto della scelta è per sé indifferente, è sempre importante scegliere giusto, provare se stessi perché un giorno, con dolore, non si debba ricominciare dal punto di partenza, ringraziando Dio se non ci si fa altro rimprovero che di aver perso del tempo. Nel parlare quotidiano, uso queste parole come le usano gli altri, e sarebbe una sciocca pedanteria astenersene; eppure mi accade a volte di ricordarmi di averle usate per cose del tutto indifferenti. Esse allora si spogliano del loro abito meschino, io dimentico i pensieri insignificanti a cui si riferivano, e mi appaiono in tutta la loro dignità, nei loro paramenti da festa…

Il filosofo della mediazione dialettica è Hegel; e c’è una buona dose di hegelismo nella neochiesa dei nostri giorni, sia in forma diretta, sia in forma indiretta, vale a dire nella  versione marxista. Ma per le anime forti, in momenti di crisi, di conformismo e di viltà, come sono quelli che stiamo vivendo, c’è bisogno di scegliere, in maniera netta, irrevocabile, senza ambiguità, e dire, con Kierkegaard: o questo, o quello. O la morale della misericordia a buon mercato, del perdono senza pentimento, della salvezza senza conversione, oppure la misericordia di Gesù, il perdono di Gesù, la conversione a Gesù; o la neochiesa di Bergoglio, con le sue furberie, buffonate e bestemmie, o il vero Vangelo di Gesù, con la sua esortazione alla santità: Siate perfetti, come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli. Il vero Vangelo di Gesù comporta la Croce: è da questo che lo si distingue da quello falso, predicato dalla falsa chiesa: Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua. Gesù, a differenza di Bergoglio, non ha mai cercato gli applausi; al contrario, ha sempre parlato del valore della Croce, mentre il falso papa non ne parla mai. E la prima crocifissione è quella che il seguace di Gesù infligge a se stesso, crocifiggendo in sé l’uomo vecchio, il suo ego lussurioso, orgoglioso e avido; la seconda, quella che subisce dai nemici del Vangelo; la terza, quella che subisce dai falsi amici, cioè dai falsi pastori e dai lupi travestiti da agnelli che si spacciano per ministri di Dio, senza esserlo realmente. Chi vuol sfuggire alla Croce, non è degno di Cristo; chi non ha capito il significato della Croce, non è un vero cristiano. Bergoglio ha detto più volte, davanti a moltissime persone, di non sapere perché ci sia la sofferenza; a un bambino che gli chiedeva una parola buona, dopo essere rimasto orfano della sua mamma e poi anche della nonna, ha risposto che non sapeva cosa dirgli; ha osato persino affermare che il Padre è stato ingiusto con il suo Figlio, mandandolo a soffrire crudelmente. Parlando così, ha svuotato la Croce del suo significato di Redenzione e ha dato uno scandalo immenso, incalcolabile. Sappiamo cosa diceva Gesù dei seminatori di scandali: Sarebbe meglio per loro che si legassero una macina da mulino al collo e si precipitassero nel mare. Questo falso papa sta infliggendo un danno immenso, incalcolabile a quel che resta della vera Chiesa di Cristo, dopo cinquant’anni di veleno modernista veicolato, a piccole dosi, dal Concilio Vaticano II. O è un nemico intenzionale di Gesù Cristo, oppure è uno squilibrato, bisognoso, più che di psicanalisi, di una bella e approfondita Confessione, forse di un esorcismo; oppure è entrambe le cose insieme, un nemico e uno squilibrato, forse un posseduto, e non dagli Angeli. Non bisogna più ascoltarlo, non si devono tenere in alcun conto le sue affermazioni; quando parla alla televisione, è cosa buona cambiar canale (cosa che molti già fanno, visto il flop clamoroso di una recente trasmissione televisiva che lo metteva al centro). La crudele persecuzione dei Francescani dell’Immacolata grida vendetta al Cielo; un giorno, quando non ci saranno più cortigiani a difenderlo e la gloria di questo mondo sarà passata, con tutti i suoi vani rumori e le sue vane pompe, quei frati e quelle suore, che tanto hanno sofferto per causa sua, perseguitati senza ragione  (cfr. Gv 25, 15: Mi hanno odiato senza ragione), in silenzio, come agnelli sacrificali, senza lasciarsi sfuggire un lamento o un grido di protesta, leveranno lo sguardo contro di lui. Ma forse una ragione c’era: oltre al denaro dell’Ordine, la loro assoluta dedizione alla Vergine Immacolata e al carisma di san Francesco. Quello vero.

Caro amico, te l’ho detto già tante volte, e adesso più che mai te lo ripeto: o questo, o quello. Se vuoi restare fedele a Cristo e alla sua vera Chiesa, non puoi seguire il falso magistero di un papa eretico e apostatico, né prestare fede alla falsa chiesa di tutti costo – i Kasper, i Sosa, i Paglia e i Galantino – che è solo la sinagoga di satana. Dice Kierkegaard che vi sono persone la cui anima è troppo dissoluta per cogliere il significato di questo dilemma: come è vero. Il loro stomaco di struzzi manderebbe giù qualsiasi cosa, la loro smania di esser sempre sul carro del vincitore li rende disponibili a ogni genere di voltafaccia, a qualunque dietro-front, per quanto brusco e, in apparenza, incongruo. Da quella incapacità, da quella fondamentale mancanza di serietà, si può intravedere la loro dissolutezza.

Quanto a te, caro amico, devi fare una scelta: come sai bene, non si possono servire due padroni. Che Dio ti assista e che t’illumini nella stanza segreta del tuo cuore. Ti auguro con tutta l’anima di scegliere il padrone giusto, che poi è anche quello vero, e che non è veramente un padrone, ma un Padre amorevole, che ha fatto e fa tutto quel che è compatibile con la libertà umana, affinché tutti si salvino e nessuno resti escluso dal suo Regno. Ma c’è, feroce, incrollabile, una parte di egoismo che non vuole andarsene, un ghiaccio del cuore che non vuole sciogliersi per far posto all’uomo nuovo. È il mistero abissale, insondabile del male, mysterim iniquitatis. Preghiamo e vegliamo, dunque, perché non sappiamo quando giungerà l’ora della Verità, con il ritorno del Signore Gesù Cristo…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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