
Maria ci aveva avvertiti
1 Gennaio 2018
Sanno quel che fanno, perciò sono inescusabili
2 Gennaio 2018Milwaukee, Wisconsin, parrocchia di Santa Bernadette, 17 dicembre 2017: il sacerdote, Gregory Greiten, annuncia dal pulpito ai suoi fedeli di essere omosessuale, di esserlo sempre stato, ma di averlo nascosto per anni, per la vergogna e a causa dell’insegnamento repressivo ricevuto in seminario, e tramandato dalla Chiesa cattolica; ha aggiunto di essere giunto ad accettarsi e di aver voluto dichiararsi ai suoi parrocchiani, in omaggio alla verità e perché è giunto alla conclusione che non c’è niente di sbagliato nell’essere gay. Non solo: ha terminato il suo coming out dichiarando di voler restare prete, di non pensare minimamente a dimettersi, perché si può benissimo essere gay e sacerdoti di Gesù Cristo. Non pago di questo show improvvisato, e non richiesto, che ha inutilmente offeso e scandalizzato i sentimenti di decine e centinaia di persone, venute in Chiesa per ascoltare la Parola di Dio e non la parola di un prete omofilo, il giorno dopo ha ribadito tutte queste cose dalle colonne di un giornale, il National Catholic Report, in modo che tutti i cattolici, e non solo la cerchia ristretta dei suoi parrocchiani, fosse a giorno della sua natura delle sue decisioni, nonché della sua ostentata sincerità. Ci si poteva aspettare che il suo vescovo lo avrebbe cacciato a pedate nel sedere, come si meritava, sospendendolo a divinis; o, quanto meno, che l’avrebbe chiamato per fargli una severa ramanzina e poi lo spedirlo, per un lungo periodo, a pregare e meditare in qualche convento isolato, proibendogli qualsiasi ulteriore esternazione mediatica e affidandolo, semmai, alle cure di un buon direttore spirituale, di quelli ai quali si ricorre per puntellare le fedi vacillanti e per rimettere in carreggiata gli sbandati. Niente affatto: nulla di questo genere. Il vescovo, monsignor Jerome Listecki, al contrario, ha rilasciato un comunicato nel quale afferma che la Chiesa continua ad avere fiducia nel suo sacerdote: Noi supportiamo padre Greiten nel suo percorso e raccontiamo la sua storia per comprendere e vivere con lui il suo orientamento sessuale. Di peccato non si parla più, ma, come vuole l’ideologia gender, di "orientamento". Non solo questi neopreti, dunque, ma anche questi neovescovi paiono fabbricati con lo stampino, al di qua e al di là dell’Oceano: le parole di monsignor Listecki riecheggiano, quasi alla lettera, quelle dell’arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, a proposito di un capo scout che si è sposato in municipio con un altro uomo — presente al gioioso evento il viceparroco, ma contrario il parroco — il quale si è espresso in maniera altrettanto comprensiva, inclusiva e misericordiosa, solo appena un po’ più evasiva e fumogena, siamo pur sempre nel Bel Paese del dottor Azzeccagarbugli; ma, in sostanza, concetti identici. Pur di accompagnare il peccatore (dove? all’inferno?) non si parla più del suo peccato: per carità, sarebbe una caduta di tono, una imperdonabile mancanza di délicatesse. Nel più tipico stile bergogliano, sia nella forma che nel contenuto: supportare, accompagnare, raccontare, vivere insieme con…( il peccato). Perfetto: complimenti.
A Torino, i fedeli della parrocchia di San Rocco, recatisi in chiesa per assistere alla Messa natalizia di mezzanotte, hanno avuto il discutibile privilegio di assistere all’abiura in diretta della loro guida spirituale, don Fredo Olivero, che, oltre ad altre innovazioni e fantasmagorie liturgiche, a un certo punto ha detto, papale, papale: Io non recito il Credo, perché non ci credo, evidentemente estasiato dalla sua stessa lepidezza e dall’originalissimo gioco di parole, senza dubbio studiato e pensato da chissà quanto tempo; e lo ha sostituito con un canto "francescano" alla Zeffirelli (e alla Bergoglio): Dolce sentire. I fedeli, invece di uscire dalla chiesa e lasciarlo solo col suo tristo esibizionismo di apostata, pare abbiano un po’ ridacchiato, per poi docilmente unirsi al canto blasfemo: perché cantare in chiesa, alla santa Messa, Dolce sentire invece di recitare il Credo è una blasfemia, visto che il Credo è il pilastro della fede cattolica, e chi dice di non crederci rifiuta, evidentemente, il cattolicesimo; ma allora perché rimane nella Chiesa? Don Olivero, meno melodrammatico di padre Greiten, non si è neppure posto il problema della compatibilità fra le sue dichiarazioni e il suo stato sacerdotale: si vede che quando, cinquant’anni fa, è stato ordinato prete, pensava che la promessa fatta a Dio e alla Chiesa fosse acqua fresca, ritirabile in qualsiasi momento e modificabile secondo le circostanze. O forse pensa, adesso che ha mezzo secolo di vita consacrata sulle spalle, e che si prodiga da tanti anni per i poveri e i migranti, tanto da essere pubblicamente lodato sui media (fare una ricognizione su internet per credere) ritiene di aver acquisito uno status di intangibilità: essendo il beniamino dei cattolici di sinistra e, soprattutto, dei non cattolici e degli anticattolici, pensa di aver diritto a fare o dire qualsiasi cosa. Chi mai oserebbe criticarlo? Criticare un vecchio prete dalla barba bianca, che da una vita si spende per dar da bere agli assetati, dar da mangiare agli affamati e vestire gl’ignudi? Eh, via: sarebbe come sparare sulla Croce Rossa! Così, don Fredo si è comperato il passaporto per l’immunità diplomatica e agisce come uno che può permettersi di stare nella Chiesa, seguitare a vestire da prete e anche celebrare la santa Messa, ma dopo aver detto ad alta voce, davanti ai suoi parrocchiani, che lui, alla fede cattolica, non ci crede. Un po’ comodo, vero? Ma anche questa è una critica che non si può fare, non sta bene e non è chic: poverino, se ama così tanto i poveri, allora dimostra coi fatti di essere un buon cristiano, e pazienza per la dottrina; non è vero? Non lo ha detto anche il papa, che la dottrina è una cosa brutta se crea divisioni, mentre è buona se produce unione e solidarietà? E allora, avanti con i preti alla Olivero: i quali annunciano dal pulpito di non aver più la fede cattolica, però sono tanto innamorati del prossimo, specie se povero e con la pelle scura, che sarebbe una vera ingiustizia buttarli fuori. Anche se in cinquanta anni di vita consacrata, a quanto pare, non è mai venuta loro l’idea che si può essere poveri, tremendamente poveri, fino a carezzare l’idea del suicidio, non solo per ragioni materiali, ma anche morali; e che un uomo di Dio, dopotutto, se non vuole ridursi a fare da assistente sociale e se non vuol cadere in una forma palese di razzismo alla rovescia, dovrebbe occuparsi anche di loro, cioè anche dei poveri in senso spirituale, dato che soffrono anch’essi e sono in pericolo anch’essi, perfino nel caso – un po’ sgradevole, è vero – che abbiano la pelle chiara…
Infine da Zoppola, in Friuli, giunge la notizia tragicomica di una canzone di Natale che i bambini di una scuola elementare, la Beato Odorico da Pordenone, hanno dovuto cantare col testo modificato, perché una maestra aveva ritenuto che il testo originario avrebbe potuto risultare lesivo della sensibilità dei loro compagni di religione islamica; sicché le parole del Bambin Gesù sono state cambiate in quelle, molto politicamente corrette, benché perfettamente insulse, il bambino del Perù. Cosa c’entri con il Natale il "bambino del Perù", ciascuno può giudicare da sé; evidentemente, però, quella insegnante deve aver avuto un colpo di genio, perché, salvando sia la rima, sia il "bambino", pensava forse di aver risolto una questione spinosa e irta d’incognite, quanto la quadratura del cerchio. Salva la rima in -erù e salva l’idea che un bambino, comunque, c’era, da qualche parte, anche se non si sa a fare cosa, la brillante maestra dalla squisita sensibilità filo-islamica, multietnica e multiculturale, ha insegnato ai bambini a cantare la versione modificata, senza pensare che alcuni di loro, canticchiandola poi a casa, avrebbero suscitato la curiosità e l’incredulità delle loro mamme. Le quali si sono recate a scuola, hanno chiesto spiegazioni: e finalmente la preside dell’istituto ha fatto sentire la sua voce, affermando che l’iniziativa era stata ideata a sua peretta insaputa, che lei non l’approvava assolutamente e che la maestra, ripresa verbalmente, si era detta "pentita" e aveva assicurato che "non lo avrebbe fatto più" (neanche si fosse trattato di non fare la pipì a letto, sulle lenzuola). Questo terzo episodio, tratto dal ricchissimo florilegio che avremmo potuto evocare in occasione del Natale, ha sempre a che fare con la religione cattolica, ma in un contesto laico; e se è meno grave dei due precedenti, perché a rendersene protagonista è stata una maestra e non una persona consacrata, è ugualmente assai indicativo del grado di follia immigrazionista cui è giunta una parte della nostra stessa popolazione. A forza di sentirsi martellare da tutti che bisogna accogliere, che bisogna essere inclusivi, che la diversità è una "risorsa" (uno degli slogan preferiti di don Olivero; un altro, non meno significativo, è: sono sulla linea del papa Francesco; e mai che costo dicano sono sulla linea del nostro Signore Gesù Cristo) c’è un sacco di gente, nel cui cervello non vi è spazio sufficiente per contenere più di un neurone al massimo, che ha capito che quel che si deve fare, per essere delle persone civili, oltre che dei veri cristiani e dei degni seguaci del (falso) papa Francesco, è auto-mortificarsi, auto-umiliarsi, auto-espropriarsi della propria cultura e auto-censurarsi, come fosse una cosa decisamente vergognosa, anche della propria fede religiosa. Sicché se Gesù per gli ebrei è un falso profeta e per gli islamici è solo un uomo, e chi lo dice Dio, bestemmia, allora meno lo si nomina, e tanto di guadagnato per tutti.
Che lezione possiamo trarre da questi episodi, i quali, ormai, sono diventati l’assoluta normalità nella Chiesa cattolica, mentre gli unici eventi che fanno scandalo, e che provocano la sospensione a divinis, sono la professione chiara e netta della fede cattolica e la critica alla deriva relativista e sincretista della neochiesa massonica, come è accaduto al sacerdote palermitano don Alessandro Minutella? Partiamo dal terzo episodio. Se permettiamo che i nostri educatori e i nostri insegnanti adottino lo stile di quella maestra, possiamo dire addio alla nostra cultura, ai nostri valori, alla nostra storia e alla nostra civiltà nel giro di neanche una generazione: della nostra identità non resterà nulla, si scioglierà come la neve al sole, e i nostri nipoti saranno simili a dei manichini fabbricati in serie, intercambiabili, impermeabili, programmabili e ri-programmabili a piacimento; mancherà solo la fase finale del microchip inserito sotto la cute, o magari nel cervello, e saranno tutti bravi e obbedienti soldatini della ditta Soros & Figli. Oh, ma con la benedizione della neochiesa e del falso papa prossimo venturo: su questo non c’è dubbio. Basti dire che il suggeritore della spasmodica politica immigrazionista di Bergoglio, come rivela l’ottimo Maurizio Blondet (nel silenzio assordante dei tanti giornalisti che oggi vanno per la maggiore: una manica di servi di regime, ben pagati per non dire assolutamente nulla che non sia già stato scritto sul copione della globalizzazione finanziaria) è Peter Sutherland, banchiere d’affari, membro del Gruppo Bilderberg e per vent’anni presidente della Goldman Sachs; per cui, ci si perdoni la battuta, averlo messo a capo della Commissione cattolica internazionale per l’immigrazione è stato un po’ come se si promuovesse a direttore generale dell’A.V.I.S. il conte Dracula. Ed ecco che i conti tornano. In tanti avevano notato una strana sintonia fra i discorsi del (falso) papa e quelli di Soros; e perfino un filosofo marxista come Diego Fusaro aveva tacciato il (falso) papa di essersi messo al servizio della mondializzazione e dello "sradicamento capitalistico". Ora si capisce perché. Ma, a parte Blondet, chi altri ci racconta le cose vere, le cose giuste, in questo clima di totalitarismo buonista e democratico? In pochi; sempre di meno. C’è Marcello Veneziani, ad esempio, che ricorda come gli italiani nel 2000 si dichiaravano cattolici, in cifra tonda, all’80%, mentre ora sono scesi al 60%: non un calo, ma un crollo verticale; e allora a che serve avere un papa che sbanca a livello mediatico, se intanto il cattolicesimo si estingue a ritmo vertiginoso? Per la metà del secolo, forse non resterà nessun cattolico: possibile che Bergoglio non si faccia due domande? Questo è un pensiero ingenuo, però: certo che se le fa. Ma non gliene frega niente. È stato messo lì per distruggere la Chiesa, e lo sta facendo con impegno e con ottimi risultati. Il resto sono pie illusioni.
Due parole ancora su quei due preti, l’americano e il torinese. In comune hanno il narcisismo, l’esibizionismo e la superbia: non si curano dell’effetto traumatico che le loro parole possono avere sui fedeli; a loro basta scaricarsi la coscienza, vomitare sugli altri i loro crucci o le loro pseudo certezze: hanno preso la loro chiesa, l’uno per un divano di terapia psicanalitica, l’altro per una convention politica. Si credono "giusti", entrambi: dicono la verità; e cosa c’è di più bello e di più cristiano, che dire la verità? Ma quale verità, infine? L’uno, di essere omosessuale. E a noi che importa? Sono faccende sue. Oppure voleva dirci che pratica l’omosessualità? In tal caso, ci annuncia il suo addio al celibato, e tanto peggio per i voti. Quanto ai parrocchiani, sono avvertiti: quelli di loro che sono gay e si fanno dei problemi, si gettino dietro le spalle ogni senso di colpa e facciano come il loro parroco; meglio: facciano con il loro parroco. E buon divertimento a tutti. Il prete di Torino pensa, forse, di viaggiare su di un binario più nobile ed elevato: qui non si tratta di lui, delle sue pulsioni e passioni (disordinate), ma della giustizia sociale, dell’accoglienza, della solidarietà, in nome delle quali ha deciso di gettare la fede nel cestino della carta straccia. Anche in questo caso, poteva risparmiarsi la sincerità: non solo non c’interessa, ma ci è di scandalo. E non venga a dire che non lo sapeva o che non era questa la sua intenzione. Se una guida alpina, su di una parete di quinto grado, a un certo punto si voltasse per dire ai compagni di cordata: spiacenti, ma ho perso le mie capacità, non so come proseguire, non ci credo più: quella sarebbe una manifestazione di sincerità? Bisognerebbe ringraziarlo ed ammirarlo? No: bisognerebbe pigliarlo a calci nel sedere. Se don Olivero aveva perso la fede, doveva chiedere aiuto a Dio: ma era troppo superbo per farlo…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI