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Evviva l’indipendenza del nulla

È difficile appassionarsi più di tanto alla vicenda della Catalogna, alla richiesta d’indipendenza di una parte dei suoi cittadini e della sua classe politica (una parte, teniamolo presente; non è un movimento plebiscitario); così come è difficile vedere in Puidgemont, con quell’aria da manager un po’ fricchettone, da yuppie in versione iberica, però morto di sonno, che ha gettato la sua gente allo sbaraglio senza rischiare personalmente nulla, un eroe della libertà e del’autodeterminazione dei popoli, un Giuseppe Mazzini o un Simon Bolivar del terzo millennio. Non è meno difficile appassionarsi per la sorte della Crimea, contesa fra Russia e Ucraina, con relative complicazioni internazionali. E la stessa cosa si può dire per altre vicende analoghe, dalla Scozia ai Paesi Baschi. E non perché il destino dei piccoli popoli e delle regioni storiche dell’Europa sia, di per sé, poco importante; né perché si possa dimenticare o sottovalutare il fatto che la democrazia o s’impone nelle relazioni fra un soggetto più forte, ma anche più artificiale, come lo Stato centrale, e dei soggetti più deboli, ma sicuramente più "reali", come le minoranze linguistiche, religiose, eccetera, oppure è solo un’astrazione buona per i discorsi di propaganda dei politici o per il sistematico indottrinamento ideologico portato avanti al livello degli apparati scolastici. No: non perché sia possibile considerare poco importante il fatto che una comunità nazionale, a un certo punto, chieda, in nome dei principi democratici, di poter decidere da sé il proprio destino, bisogna che ci sia una ragione ancora più seria; e potremmo sintetizzarla in questa domanda: a che serve l’indipendenza, se non si ha uno straccio d’idea sul cosa farsene, una volta raggiunta?

Il fatto è che l’indipendenza, specialmente se si tratta di "piccole patrie", ha un senso se è uno strumento per fare qualcosa; non ha un valore in se stessa, astrattamente e velleitariamente, insomma non è un valore assoluto. I valori assoluti sono quelli non negoziabili e attengono alla sfera della sopravvivenza e della sicurezza di individui e comunità: per esempio, un valore assoluto è il diritto, per ogni cittadino che sia stato accusato di qualche reato, di avere un giusto processo; e per un cittadino che sia stato processato e condannato a torto, di ottenere un giusto e proporzionato risarcimento. L’indipendenza della Catalogna non è un valore non negoziabile, perché i catalani non rischiano di non sopravvivere, né di vivere poco sicuri, se resteranno all’interno della monarchia spagnola; inoltre non è questione di vita o di morte: è anche dubbio che sia questione di vera democrazia, se è vero, come è vero, che una fetta non trascurabile della popolazione catalana non desidera l’indipendenza e la democrazia non può risolversi puramente in un conteggio aritmetico dei voti, perché, in tal caso, sarebbe semplicemente la dittatura della maggioranza sulla minoranza — una maggioranza niente affatto qualificata, oltretutto. Infine, è giusto che ogni popolo risolva da sé la propria questione nazionale: tutte le volte che ciò è accaduto con l’intervento di una grande potenza, si sono create situazioni d’ingiustizia peggiori di quelle iniziali, sia pure a parti rovesciate: vedi il Kosovo, quando venne preso sotto l’ala "protettiva" degli Stati Uniti, e così pure il Kuwait, poi lo stesso Iraq, la Libia, la Siria, eccetera. Ci si faccia caso: da sempre la "libertà" dei piccoli popoli è il pretesto per le grandi potenze di dispiegare la loro strategia: nel 1914 la povera, piccola Serbia ed il povero, piccolo Belgio; nel 1936-39, la povera, piccola Austria, poi la povera, piccola Cecoslovacchia, infine la povera, piccola (?) Polonia, ma, in quest’ultimo caso, per difenderla dal cattivo Hitler, e non da Stalin che l’aveva a sua volta attaccata. E infatti, nel 1939-40 la povera, piccola Finlandia, pur essendo una repubblica democratica, non fu abbastanza commovente da indurre le democrazie occidentali a dichiarare guerra all’Unione Sovietica per difenderla, così come non lo furono la povera, piccola Lituania, né la povera, piccola Lettonia, né la povera, piccola Estonia (ma erano stati abbastanza commoventi i militari polacchi, a capo di uno Stato chiaramente reazionario, nonché antisemita). Anche la povera (e non piccola, ma in compenso schiavista) Etiopia aveva provocato la mobilitazione della Società delle Nazioni contro l’Italia; mobilitazione che non si rinnovò, chi sa perché, per il destino della povera, piccola Albania. Certo, nel caso catalano l’Unione europea ha deciso di schierarsi con la grossa Spagna contro la piccola Catalogna; ha i suoi buoni motivi, s’intende di ordine finanziario: la Spagna le serve unita, affinché la Banca Centrale europea possa spolparla meglio, come le altre nazioni, del resto; ma, a parte questo, se un popolo vuole davvero l’indipendenza, prima o poi se la conquista, costi quel che costi. Ma forse i catalani non ritengono l’indipendenza proprio così urgente, né così irrinunciabile, visto che, fino a pochi anni fa, non ci pensavano affatto; e Puidgemont ci sembra tutto, tranne che un Pearse, che non esitò a offrire la vita per la sua patria irlandese, nella rivolta di Pasqua del 1916.

Senza voler generalizzare, ci sembra che il livello medio della classe dirigente catalana sia meno che modesto, sotto ogni punto di vista. Senza voler generalizzare, ci sembra che se la sindaca di Barcellona, Ada Colau, non trova persona più adatta da nominare "responsabile delle relazioni sociali" di una tipa come Águeda Bañon, che pisciava in strada a gambe aperte per sperimentare nuove forme d’arte, e mostrava le mutande nella piazza di Berlino per gli stessi motivi; e se tutto quel che la stessa Ada Colau ha saputo dire dopo l’attentato terroristico di Barcellona del 17 agosto 2017, costato la vita a 16 vittime innocenti (di cui tre italiane), è stato che lei continua a preferire i profughi islamici ai turisti (turisti dai quali proviene buona parte del benessere di quella città), e a vantarsi che gli immigrati islamici, in Catalogna sono perfettamente integrati (e infatti si è visto…), be’, allora forse qualche problemino effettivamente c’è. Tuttavia non pensiamo che quello di Barcellona, che resta così popolare come meta turistica (nonostante le sprezzanti dichiarazioni della sindaca), senza dubbio anche per l’aria di trasgressione che impronta di sé tutta la vita pubblica, fino a diventare la normalità — si direbbe che sia la capitale europea dell’omosessualità, e ne va fiera — sia un caso unico, o speciale. Così come non rappresenta un caso unico, o speciale, la perseveranza di un genio dell’arte come Águeda Bañon, la quale, richiesta di esprimere un parere sulle sue trascorse prodezze "artistiche", ha testualmente risposto: Estoy muy orgullosa de lo que he hecho ("vado molto fiera di quel che ho fatto": fiera lei, contenuti tutti). Queste donne, peraltro più vistose e più intraprendenti dei loro colleghi maschi (vedi ancora lo scialbo e banale Puidgemont) rappresentano, a livello europeo, la pochezza, o per meglio dire, la nullità assoluta di una classe dirigente che non è tale, perché non è assolutamente nulla. L’Europa, pur essendo ricchissima di tradizioni culturali, di arte, di scienza, di pensiero e d’intelligenza, da parecchi anni coltiva questo nulla con una tenacia e una perseveranza degne di miglior causa; da decenni i suoi cattivi maestri, da Sartre a Eco, predicano il nulla, vendono libri sul nulla, producono film che parlano del nulla; e i signori della sinistra, da Zapatero a Hollande, hanno fatto tutto quel che stava nelle loro possibilità, una volta al potere, per asfaltare la tradizione, che in Europa significa innanzitutto tradizione cristiana e per mettere al suo posto la cultura giacobina dei diritti dell’uomo e del cittadino: il diritto di abortire, di lasciarsi morire, di sposarsi fra uomini o fra donne, di ottenere bambini con la fecondazione eterologa o con l’utero in affitto, di non essere infastiditi da simboli religiosi, di importare milioni e milioni di negri e altri stranieri, preferibilmente islamici, e d’imporre ai popoli dell’intero continente di essere felici e contenti senza identità, senza radici, senza valori, senza buon gusto e senza idee: felici e contenti del nulla, appunto. Un programma in se stesso contraddittorio: non si può favorire la cultura gender o cavalcare il più sfrenato femminismo e, nello stesso tempo, importare milioni d’islamici, per la contradizion che nol consente. Ne vedremo delle belle, si fa per dire, nei prossimi anni. Il programma di una siffatta classe dirigente "liquida", invertebrata, formata da persone le quali, mediamente, hanno sì e no un neurone in tutta la scatola cranica, è, dunque, il nulla per il nulla: la nullità di un mondo anonimo, dove la cucina è anonima, la musica è anonima, l’architettura è anonima, l’urbanistica è anonima, l’abbigliamento è anonimo, la scuola è anonima, le chiese sono anonime (cioè sincretiste), lo sport è anonimo (cioè multietnico e prono alle logiche delle società che si comprano squadre e campioni), tutto è anonimo e l’arte consiste nel pisciare a gambe larghe in mezzo alla strada o nel mostrare il sedere a chi ha voglia di vederlo e anche a chi non ne avrebbe, ma ha la sfortuna di passare per la strada in quel momento. Il tutto all’insegna, oltre che della stupidità e della provocazione insulsa, perché priva di qualsiasi contenuto, della suprema bruttezza, anche in senso morale: una bruttezza così sordida da sfiorare l’orrido.

Ecco; se la signora Ada Colau e la signora Águeda Bañon rappresentano la "punta" dell’attuale classe dirigente europea, femminista o femminilizzata (e non è che la signora Merkel, o le signore progressiste di casa nostra, viaggino su livelli molto più elevati, in tutti i sensi), nella sua assoluta, totale e compiaciuta nullità, in Europa c’è anche chi le idee, invece, le ha e le ha ben chiare, anche se quanto a giudicarle belle o brutte è un altro discorso. Pensiamo, per fare un esempio, alla signora Maha Abdelrahman, la professoressa di Cambridge la quale, dopo aver mandato Giulio Regeni allo sbaraglio, ora se ne lava le mani e si rifiuta di dire mezza parola alle autorità inquirenti italiane. La signora, egiziana con un passato da attivista politica più che di specialista in cose del Medio Oriente (anche se certi organi di stampa hanno tentato di farla passare per una "autorità" in materia), è un buon esempio di quel ceto di intellettuali islamiche trapiantate in Europa che "usano" l’Europa e gli europei per i loro giochi inconfessabili, all’ombra dei servizi segreti che si servono delle università, e specialmente dei giovani e ingenui ricercatori, per allestire i loro dossier riservati, da tirar fuori a tempo debito, quando lo richiederanno le circostanze della politica internazionale. La signora Abdelrahman è quella che ha detto di aver solo assecondato l’interesse di Regeni per la società egiziana e il mondo dei sindacati egiziani, mentre risulta, dalle telefonate del ragazzo, che è stata lei a imporgli quel tipo di ricerca sul campo e spingerlo a svolgere la missione fatale al Cairo. Con lei fa il paio la degna professoressa Rabab El Mahdi, la tutor di Regeni nella capitale egiziana, la quale si è detta scioccata e indignata per come la stampa italiana ha presentato lei e la sua collega di Cambridge, cioè avanzando odiosi sospetti e gratuite insinuazioni sulla loro immacolata rispettabilità professionale e sulla loro squisita sensibilità umana.

Abbiamo scelto apposta delle donne per indicare il contrasto che si profila nell’Europa dei nostri giorni, dove gli uomini (intesi come maschi) stanno regredendo al ruolo di fuchi riproduttori — finché il loro ruolo non verrà del tutto rimpiazzato dalla tecnica della fecondazione artificiale –, fra chi ha le idee, la volontà, la determinazione, e chi non ha né idee, né volontà, né determinazione, ma ha solo il proprio narcisismo, la propria infinita vanità e una segreta ansia di auto-distruzione, cioè il nulla. Le due figure di Águeda Bañon e di Maha Abdelrahman, così speculari e così opposte, ben rappresentano questa disparità, questa sproporzione: da una parte il vuoto elevato all’ennesima potenza, dall’altra un’ambizione, un cinismo e una volontà di realizzare i propri obiettivi che non conoscono remore, né ostacoli di sorta. A entrambe, pur così diverse, manca una cosa essenziale: la decenza; ma alla prima manca la decenza perché è solo una povera zucca vuota malata di esibizionismo; alla seconda manca perché non sente il rimorso per aver mandato al macello un ragazzo inesperto, che di lei si fidava. Da una parte abbiamo una selezione alla rovescia, che porta in posizioni dirigenti delle emerite nullità; dall’altro abbiamo una selezione del merito, ma posta al servizio di obiettivi che non rientrano negli interessi dell’Europa, anzi, che sono in antitesi con la sua sicurezza, con la sua identità e con la sua stessa sopravvivenza. Perché la prospettiva verso la quale stiamo correndo a grandi passi è quella di un’Europa completamente negrizzata e islamizzata. Quando ciò avverrà, e basterà una generazione, forse due al massimo, staremo a vedere che fine faranno le signore o signorine come Ada Colau e Águeda Bañon; ma qui potremmo fare anche un lungo, lunghissimo elenco di signore, signorine, signori e signorini di casa nostra. Li vediamo tutti i santi i giorni in televisione, in veste di politici, di amministratori/amministratrici, di pseudo intellettuali, pseudo artisti, pseudo giornalisti, tuttologi saccenti, onnipresenti, inossidabili e immarcescibili, dai livelli più modesti della piramide del potere, fino alla cuspide. Sarà divertente vedere come se la caveranno i nostri predicatori del transessualismo e le nostre predicatrici del donna è bello, quando l’islam radicale imporrà il velo alle donne e la lapidazione agli invertiti. Oggi fanno ancora la bella vita; oggi la ministra Boschi può ancora dire al giornalista Travaglio: Lei ce l’ha con me perché sono donna; domani, alle donne non sarà più nemmeno permesso farsi vedere in televisione. Meglio non pensare che cosa ne sarà di Luxuria, di Nichi Vendola e di Cecchi Paone, tutti quanti, da bravi progressisti, schierati sul fronte immigrazionista, tutti a chiedere sempre nuovi diritti, riconoscimenti e risarcimenti per ogni tipo di ‘diversi’. E mentre le nostre/i nostri intellettuali di sinistra fanno la pipì a gambe divaricate e dicono di preferire gli immigrati ai turisti, le altre/altri hanno pianificato e portano avanti la silenziosa e incruenta, ma irreversibile conquista dell’Europa…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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