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Esuli in Patria, esuli nella Chiesa

È uno strano, stranissimo destino, quello capitato agli italiani della nostra generazione: agli italiani che oggi sono negli –anta. Da bambini, era stato insegnato loro ad amare la Patria e ad amare la Chiesa; ed era stato assicurato loro che la Patria e la Chiesa, a loro volta, vegliavano su di essi: la prima, sul loro posto di lavoro, sui loro risparmi, sulla loro sicurezza, sulla loro proprietà, e sul futuro dei loro figli; la seconda, sulla salute della loro anima, guidandoli alla conoscenza di Dio e alla felicità della vita eterna. In cambio, la Patria ha chiesto loro di rispettare la legge, di pagare le tasse, di obbedire a tutto ciò che lo Stato riteneva utile e necessario per il bene collettivo, compreso il servizio militare obbligatorio; e la Chiesa ha preteso che vivessero in conformità alla legge del Signore, con un sano timor di Dio, dalla culla alla tomba, cioè dal Battesimo fino alla Estrema Unzione. Gli italiani, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno ritenuto giusto e ragionevole questo patto, sia con la Patria che con la Chiesa: si sono fidati, hanno ascoltato, hanno obbedito, hanno messo in pratica quanto veniva richiesto loro di fare; e se, qualche volta, hanno trasgredito, hanno tuttavia riconosciuto la propria colpa, non hanno cercato scusanti, né si sono sottratti, ma hanno accettato di pagare le conseguenze della loro colpa: allo Stato nelle aule di giustizia, alla Chiesa nel segreto del confessionale. 

Ma poi è successo qualcosa. Per essere più precisi, diciamo che poi deve essere successo qualcosa: perché, a un dato momento, gli italiani hanno visto che il patto non veniva più lealmente rispettato né dalla Patria, né dalla Chiesa, senza però essersi resi conto, esattamente, quando e come ciò fosse accaduto: ossia, in pratica, si sono accorti che le cose erano cambiate, non nel momento preciso in cui cambiavano, ma con un certo ritardo, constatando – di solito sulla loro pelle – gli effetti del malfunzionamento del patto, o, addirittura, della sua rescissione. Della sua rescissione pratica, ben s’intende, ché, ufficialmente, né lo Stato, né la Chiesa, hanno mai dichiarato, da parte loro, che il patto era stato rescisso. Come in un gioco di prestigio, le norme del patto erano state fatte sparire ed erano state sostituite da altre norme, inedite, completamente diverse dalle precedenti, che mai nessuno aveva chiesto al comune cittadino se fosse stato d’accordo di accettare. Peggio ancora: a partire da un certo momento, Stato e Chiesa hanno cominciato a fare come se le norme fossero le stesse di prima, come se il patto fosse sempre lo stesso, quello originario; mentre il cittadino e il fedele cattolico, che magari erano la stessa persona,  vedevano benissimo non esser così. Tutto questo, nel linguaggio comune e se si fosse trattato di una normale transazione giuridica, si chiamerebbe imbroglio: mentre, al presente, non sapremmo come chiamarlo. Tradimento, forse. Lo Stato italiano ha cambiato le regole del gioco nei confronti del cittadino, ma senza avere chiesto il suo consenso, alla faccia della democrazia, sempre tanto sbandierata; e la Chiesa cattolica ha cambiato le regole del gioco verso il fedele,  alla faccia della perennità e immutabilità della Parola di Dio. Semplicemente, il cittadino e il fedele cattolico si son resi conto che lo Stato e la Chiesa avevano cambiato le regole del gioco, praticamente a trecentosessanta gradi; e il nocciolo del cambiamento era questo: che, per lo Stato, il bene e la sicurezza del cittadino italiano non erano più la priorità, ma, al massimo, una variabile secondaria; e che, per la Chiesa, la conoscenza di Dio e la salvezza dell’anima non erano più la cosa più importane, perché la giustizia sociale e i diritti umani vengono prima di tutto il resto, e il buon Dio desidera così, Lui per primo: anche se, a suo tempo, i teologi, il clero e perfino i papi si erano scordati di dirlo.

La dimensione truffaldina di questa "svolta" consiste proprio nella pretesa, da parte dello Stato e della Chiesa, che la gente sia così stupida da non rendersi conto che il patto è radicalmente cambiato, e che è cambiato, drammaticamente, a suo sfavore: che le regole non servono più al suo bene, ma al bene di qualcun altro, forse; al suo, certamente no. La dimensione truffaldina emerge dalla sfrontatezza e dal cinismo con cui ora viene trattato, cioè con una sorta di degnazione, specialmente se ha il cattivo gusto, l’indelicatezza, di far domande, di chiedere chiarimenti, di sollevare il benché minimo dubbio sulla perfetta trasparenza di quel che sta accadendo. Par quasi che si permetta di avanzare riserve sulla condotta dei governanti e del clero: i quali, guarda caso, si trovano più che mai stretti l’uno all’altro da un patto di alleanza e mutuo soccorso. Mattarella e papa Francesco: quale perfetta sintonia! Boldrini e Galantino: quale meraviglioso tubare e civettare reciproco. Bonino e Paglia: si potrebbe immaginare una intesa più limpida, un affiatamento più sentito? A livello locale, centinaia di amministrazioni comunali filano in perfetto accordo con le curie vescovili, le associazioni parrocchiali e gli istituti religiosi, specialmente sul tema "caldo" dei cosiddetti migranti: si stanno mobilitando all’unisono, come mai si era visto per le necessità degli italiani poveri e dimenticati. I prefetti, poi, ai quali tocca il compito di collocare sul territorio delle province, sempre nuove ondate di "profughi", non saprebbero più dove sbattere la testa se, oltre alle caserme dismesse e altri beni immobili del demanio, non potessero contare sulla comprensione e sulla fattiva collaborazione dei vescovi e dei preti, specialmente quelli "di strada", e se non avessero sotto mano la risorsa delle associazioni di volontariato e delle cooperative no profit, in gran parte di matrice cattolica. E quale impareggiabile sintonia anche in materia legislativa, con il papa e la Chiesa tutti schierati per far approvare dal Parlamento italiano la legge sullo ius soli. Possiamo solo immaginare che cosa sarebbe capitato se un tale intervento a gamba tesa nella politica italiana fosse partito  da Benedetto XVI, e se avesse avuto per obiettivo una proposta di legge che ribadisse, per esempio, il carattere non sostituibile della famiglia formata da uomo e donna: come minino sarebbe scoppiato un incidente diplomatico, e la stampa, la televisione, l’intellighenzia "de noantri", cioè sotto il monopolio della sinistra, avrebbero fatto a gara nell’alzare la voce e stacciarsi le vesti contro il papa politicizzato, reazionario, integralista, irrispettoso dell’autonomia della sfera civile da quella religiosa. Ma se ad entrare nella politica italiana (e non solo italiana), invece, è il papa Francesco, lui così misericordioso, così buono e così francescano, ma sopratutto così progressista e amico degli "ultimi", allora non c’è problema, anzi: bene, bravo, bis! 

C’è un problema, tuttavia, che forse qualcuno, in alto, ha un po’ sottovalutato: un popolo di cittadini, e così pure un popolo di fedeli, non è detto che si lascino imbrogliare a questo modo: forse ci metteranno del tempo prima di realizzare che sono stato vittima di un truffa e di un tradimento, però, presto o tardi, se ne accorgeranno, eccome. E si arrabbieranno. La pazienza del popolo italiano è tradizionalmente grande, forse troppo, è fatta anche di pigrizia, sciatteria, calcolo e astuzia di bassa lega; ma è fatta pure di sopportazione delle persone perbene, le quali sperano sempre che le cose vadano come dovrebbero andare, come è giusto che vadano, se entrambi i contraenti del patto tengono fede alla parola data. E sono le persone perbene che si stanno terribilmente stancando. Sono le persone come la tabaccaia di San Fior, in provincia, di Treviso, la qual, dopo aver subito otto rapine consecutive ed essersi anche vista respingere la domanda di porto d’armi, ha dovuto chiudere il suo esercizio, tradita e abbandonata da chi avrebbe dovuto difenderla. Perché la ricchezza dell’Italia viene da persone come lei, non dai delinquenti e dai falsi profughi che, alla società, sanno creare solo problemi d’ogni tipo, e sono sempre pronti a mordere la mano che dà loro un piatto di cibo. I signori progressisti, buonisti e immigrazionisti che ci governano, e che pretendono perfino di far passare le loro idee per volontà di Dio, realizzando un totalitarismo ideologico a confronto del quale l’immagine di una cultura medioevale monolitica e intollerante impallidisce addirittura, forse non hanno calcolato che la pazienza della gente comune, e soprattutto della gente perbene, potrebbe anche finire, e più presto di quanto non credano. Dalle loro parole, infatti, dai loro gesti, dai loro atteggiamenti, sempre più uniformi, stereotipati e arroganti, non traspare la minima consapevolezza di una tale possibilità: si direbbe che siano convinti che, a forza di raccontare le loro fandonie al popolo, il popolo finirà per placarsi, per ammansirsi, per lasciarsi indottrinare e cloroformizzare. Logico: gente abituata a maneggiar sempre e solo le parole, e mai a confrontarsi con la serietà dei fatti, ragiona così: pensa che il mondo si possa manipolare e che lo si possa trasformare completamente con la sola forza delle chiacchiere. E non capiscono di aver tirato la corda un po’ troppo, e che la corda ormai è sul punto di spezzarsi. Lo capiranno troppo tardi, come troppo tardi l’hanno capito i Ceausescu, marito e moglie.

Lungi da noi voler fare minacce a chicchessia: la nostra è soltanto una constatazione di tipo storico, peraltro basata sul semplice buon senso: nessun governo può tirare la corda oltre un certo limite; quando il distacco fra il sentire della gente comune e coloro che governano diventa incolmabile, qualcosa succede inevitabilmente. I romani esprimevano un concetto simile allorché, parlando di un re o di un qualsiasi altro personaggio potente il quale, a un certo punto, perde completamente il contatto con la realtà, usavano l’espressione: quod Deus perdere vult, dementat prius, cioè: quando Dio stabilisce di mandare qualcuno in rovina, prima lo fa impazzire. Ed è realmente una sorta di lucida follia quella che sta spingendo sulla china del disastro – e noi con loro, purtroppo – coloro i quali attualmente ci governano. A meno che non si tratti, naturalmente, di qualcosa d’altro che la follia, la stupidità o la superbia; a meno che non sia una lucida volontà di condurre sino in fondo un certo piano, una certa strategia, un certo compito, che, a questo punto, per la sua vastità e per la sua indicibilità, non può essere il frutto di un disegno nazionale, ma deve far parte di una manovra molto più vasta, di ampiezza planetaria. E infatti, vediamo che politiche ugualmente assurde, e palesemente contrarie all’interesse nazionale, vengono portate avanti, e praticamente imposte dall’alto, in tutti gli altri Paesi dell’Occidente. L’unica cosa che varia è la velocità con la quale l’opinione pubblica pare risvegliarsi dal torpore e comincia ad esigere un cambio di rotta; cosa che, quando accade — come è stato in Ungheria, e adesso, più recentemente, in Austria — viene salutato da un coro d’imprecazioni e d’insulti da parte della macchina dell’informazione globale. Ecco allora che si parla di populismo razzista, di deriva xenofoba e quasi fascista; si inventano perfino dei vocaboli nuovi, o semi nuovi, per il politichese: si parla di una vittoria dell’ultradestra, neanche a Budapest e a Vienna fossero saliti al potere i diretti nipotini di Hitler. Se però si va a vedere il programma di governo di questa pericolosissima ultradestra, si scopre che è quello di una qualsiasi destra moderata, o di un normalissimo centro-destra, di qualche anno fa. Proteggere i propri confini, salvaguardare l’interesse nazionale, non accogliere masse di stranieri non assimilabili e non compatibili con la propria tradizione e con la propria civiltà: che cosa c’è di così tremendamente xenofobo e pericoloso, di così scandalosamente inaccettabile e sciagurato, in un simile programma? Evidentemente, non sono le tendenze destrorse dei popoli europei ad essere esplose in maniera repentina, chi sa per quale magia; ma è il cambiamento che ci viene imposto dall’alto, da parte dei governi e, al di sopra di loro, dalla grande finanza internazionale, che sta provocando un processo di accelerazione complessivo di tutti i fenomeni politici e sociali. Ma l’Austria e l’Ungheria sono piccoli Paesi e non possono mutare gli equilibri complessivi. Se la terribile ultradestra minaccia di vincere le elezioni in un grande Paese, come la Francia, si è visto cosa accade: tutti alleati contro il pericolo "fascista", e così la Le Pen è stata fermata e un signor nessuno, come Macron, è salito all’Eliseo, portato avanti da una innaturale alleanza della sinistra e della cosiddetta destra, che, a questo punto, non è affatto più tale. Fra pochi mesi toccherà all’Italia andare alle elezioni (se Dio vuole…) e ne vedremo delle belle; anzi, le stiamo già vedendo. Perfino una salma come Berlusconi viene riesumata per creare ostacoli alla "marcia" di Salvini e per fare barriera contro i Cinque Stelle; mente il Pd, da parte sua, non sa più cosa inventarsi per accelerare l’immigrazione/invasione e riguadagnare così quei voti, grazie ai nuovi "cittadini", che non prenderà mai più dagli italiani "veri". Per la Chiesa si sta assistendo, in parallelo, a un processo simile. L’importante è conservare i numeri e salvare le poltrone di monsignori ed eminenze: dunque, avanti con gli africani, e tanto peggio se gli ultimi veri cattolici, disgustati dal neoclero e dalle sue linee-guida sempre meno comprensibili e sempre meno cattoliche, se ne vanno. Vi è un cinismo rivoltante, in questo modo di fare: la neochiesa non ha più a cuore il bene delle anime, né, tanto meno, l’immutabile Verità di Cristo: ha a cuore soltanto la conservazione di una impalcatura sufficientemente ampia da reggere il peso di queste centinaia di vescovi, arcivescovi e cardinali, con tutti i loro uffici e segreterie; e pazienza se nelle parrocchie i preti non ci sono più, e le diocesi cominciano a vendere i loro terreni agli islamici, perché vi fabbrichino le loro moschee (come avviene a Firenze). Così, se per lo Stato la priorità non sono i risparmi degli italiani, la loro sicurezza fisica, il lavoro per i giovani e il crollo demografico, ma regalare lo ius soli a chiunque, per la Chiesa la priorità non è tornare a Dio dopo anni di ateismo pratico, ma berciare d’inclusione, discernimento e, chissà, di semi-matrimoni gay…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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