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La coda del diavolo

Il diavolo ha la coda, e di solito si vede. Può essere questione di un istante, ma si vede: sguscia fuori da sotto la veste e ci rivela la reale identità di colui che abbiamo davanti. Anche se i suoi discorsi sono apparentemente sensati, e, non di rado, perfino accattivanti; anche se, come direbbe Dante, la faccia sua era faccia d’uom giusto, / tanto benigna avea di fuor la pelle (Inf., XVII, 10-11) ed i suoi modi appaiono perfettamente urbani; e anche se le folle lo ascoltano, lo applaudono, lo benedicono al suo passaggio. È un attimo, e la coda compare da sotto la veste; oppure, per un istante, intravediamo il suo piede caprino. Un momento dopo, non si vede più nulla: la veste è in ordine, la scarpa non ha proprio niente di speciale. Dubitiamo perfino di esser caduti in una sorta di allucinazione, di aver visto quel che non c’era. Torniamo a guardare, con più attenzione: confusi, turbati, incerti di noi stessi. Ed ecco, un lampo nello sguardo di quella persona – oh, ma proprio un lampo; una cosa della durata di una frazione di secondo – e di nuovo torna la certezza, immediata, prepotente: costui è il diavolo; non solo: egli ha compreso che noi abbiamo capito; e ora ci sfida, beffardo, a dire o fare qualsiasi cosa. Tanto, par che dicano i sui occhi, canzonandoci, non ti crederà nessuno. Diranno che sei pazzo, che sei paranoico; diranno che sei superbo, pieno di ego, e ti credi autorizzato a puntare il dito contro di me, che tutti ammirano, che tutti rispettano, che tutti amano. Sì, perché le folle mi amano: lo vedi da te stesso, come pendono dalle mie labbra, come si bevono avidamente ogni mio gesto, come si contendono la gioia di ricevere un mio sorriso, un segno di attenzione da parte mia. Poi quel lampo maligno scompare, torna lo sguardo affabile, il sorriso che conquista; ritorniamo a vederlo come lo vedono loro, come lo vedono tutti. E, ancora una volta, dubitiamo. 

Non c’è bisogno di essere più espliciti: è chiaro a tutti di chi  e di cosa stiamo parlando. Questo, che stiamo vivendo noi, è il dramma che stanno vivendo milioni e milioni  di persone nella Chiesa cattolica: perché la Chiesa cattolica abbraccia quasi un miliardo e trecento milioni di fedeli, sparsi su tutti e cinque i continenti, e ormai, grazie alla televisione e alla tecnologia, tutta questa gente crede più che mai di formare una famiglia sola, un corpo solo. Noi pensiamo, invece, che il senso dell’unità dei cattolici fosse assai più vivo e radicato un tempo, quando non c’erano i computer e i social network, né la radio, né la televisione; quando c’era solamente il Vangelo, la Tradizione e la solida fede nella Comunione dei Santi, che abbracciava non solamente i vivi ma anche i morti, cioè le anime passate alla vita vera, e che noi chiamiamo "morti" perché siamo ancora legati a questo corpo di carne, che invecchierà e morirà, e tendiamo a confonderlo con qualcosa di permanente, mentre non è che un involucro e un mezzo di trasporto. Io credo nella Comunione dei Santi, si recita nel Credo: ma i nostri nonni pregavano con più fervore, capivano di più, erano più vicini alla verità, anche se avevano studiato di meno e anche se non potevano vedere il papa alla televisione, né ascoltare i suoi discorsi su Youtube; e anche se non compravano né leggevano riviste illustrate sfacciatamente adulatrici e quasi idolatriche, come Il mio papa, quasi che il papa, anche il migliore e il più santo del mondo, fosse più importante di Dio; come se venisse prima l’attenzione dovuta a lui che il culto di Gesù Cristo. Era semplice, la fede dei nostri nonni, ma non ingenua, se, per "ingenua", si intende "sprovveduta". La coda del diavolo, loro, l’avrebbero vista, e subito. E qualche volta, infatti, la vedevano.

Perché, altrimenti, Leone XIII volle che, alla fine di ogni santa Messa, si recitasse la preghiera di liberazione dal Maligno, rivolta a san Michele Arcangelo? Egli aveva visto: (come hanno visto Caterina Emmerich, e Lucia dos Santos, e Faustina Kowalska, e padre Pio da Pietrelcina, e tanti altri) ne era rimasto così turbato, da aver preso, su due piedi, quella decisione. sarebbe interessante cercar di capire chi, come e perché, in seguito, ha deciso che quella preghiera andava soppressa; a suo tempo ce lo siamo domandati (cfr. l’articolo A chi dava fastidio quella preghiera?, consultabile su vari siti). Per 80 anni, a partire dal 1884, milioni di fedeli hanno pregato san Michele Arcangelo perché li preservasse dalle insidie del diavolo; poi, con lo "spirito del Concilio", durante il pontificato di Paolo VI, quella preghiera è stata eliminata. Ecco: questo è stato uno di quei famosi indizi; è stato uno di quei momenti nei quali s’intravede la coda del diavolo, o il suo piede caprino. Ma subito dopo subentrano altre impressioni, risuonano altri discorsi: si parla di ecumenismo, di dialogo inter-religioso,  di apertura, di rinnovamento, di gioiosa collaborazione con la società, si afferma di voler andare con fiducia incontro al mondo moderno: e tutto sembra bello, ottimistico, "evangelico", torna la luce e le ombre scompaiono. Ma solo per un poco. Poi si vede il papa, sempre più spesso – a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II – che abbraccia i rabbini, che bacia il Corano, che chiede scusa a tutti e a ciascuno, che carica la Chiesa di tutte le colpe del mondo; poi si leggono i teologi e si odono i sacerdoti negare che Gesù sia stato messo a morte per volontà dei Giudei, e negare che i Giudei abbiano bisogno di confessare Cristo per meritare la salvezza; si vede un papa, questo papa, invitare i musulmani nelle chiese cattoliche, a pregare il loro Dio durante la santa Messa, e questo all’indomani del barbaro assassinio di un anziano sacerdote, mentre appunto celebrava il Sacrificio eucaristico, per mano di due fanatici islamici: e di nuovo s’intravede la coda, s’intravede lo zoccolo. Ma solo per un attimo; e ci si chiede, frastornati, quasi spaventati: Sogno o son desto? E intanto le folle applaudono, le folle osannano, le folle magnificano le qualità cristiane di questo papa così aperto, così buono, così dialogante e misericordioso. Ma allora perché mai, se è tanto buono, ha agito contro i Francescani e le Francescane dell’Immacolata come se fossero dei delinquenti, o poco meno, senza mai dare alcuna spiegazione? E perché, se è così dialogante, non ha degnato di una risposta i quattro cardinali che lo avevano interpellato su come interpretare il capitolo ottavo di Amoris laetitia, né ha concesso loro di riceverli in forma privata? Ecco di nuovo la coda, di nuovo lo zoccolo: sempre più velocemente, ma sempre più frequentemente. E quelle parole blasfeme, che hanno ferito gli orecchi di milioni e milioni di fedeli: Gesù si è fatto diavolo? E quelle altre: Gesù fa un po’ lo scemo? Da quale prete di provincia, rozzo e ignorante, ma che dico, da quale seminarista, inesperto ed imprudente, avremmo tollerato simili espressioni? O le avrebbe tollerate quel vescovo, nella cui diocesi fossero state pronunciate? Eppure teologi di grido, come Andrea Grillo ed Enzo Bianchi, e storici di fama, come Alberto Melloni e Franco Cardini, non hanno fatto una piega, anzi, si sono profusi in lodi sperticate per il magnifico stile "diretto" e "popolare" del santo padre. E nessun vescovo, nessun cardinale ha protestato; nessun sacerdote ha espresso riserve; nessun giornalista della grande stampa cattolica, di Famiglia Cristiana, di Avvenire, ha fatto "bah". Vorremmo aggiungere: nessun amico del papa gli ha fatto presente l’assoluta inopportunità di quel linguaggio, l’insopportabile rozzezza e leggerezza, per dire ancora poco, di quelle parole: come mai? Forse che intorno a lui non c’è neppure un amico, ma solo una corte di sfacciati adulatori e di servili cortigiani? Se l’amico è colui che dice il vero, e non solo ciò che torna gradito ai nostri orecchi, come mai nessuno, ma proprio nessuno, a quel che ci risulta, ha mai parlato con franchezza al santo padre, dicendogli quel che pensano, ormai, milioni e milioni di cattolici? E se il papa sa, come certamente sa, di scandalizzare, con le sue affermazioni e coi suoi atti, questi milioni di cattolici — non per niente c’è un ufficio stampa che lo tiene puntualmente informato — come si può spiegare il fatto che non desista da tali atteggiamenti, da tali esibizioni, ma che, al contrario, raddoppi continuamente le dosi e alzi ogni giorno il livello delle sue provocazioni? Fin dove vuole arrivare, quale scopo si ripromette di ottenere? Insegue forse la popolarità, sapendo che ciò che è di scandalo ad alcuni, piace tuttavia a molti altri? Possibile che ignori che la ragion d’essere della Chiesa non è quella di piacere ai più, ma di preservare la salvezza delle anime? E possibile che ignori che non sono le piazze piene di folla, ma il ritorno delle vocazioni, a indicare se la Chiesa insegna la divina Rivelazione nella maniera giusta, oppure no? E di un ritorno delle vocazioni religiose, in questi ultimi anni, non si vede neppure l’ombra…

Dai loro frutti li riconoscerete, è scritto nel Vangelo. Ora, quali sono i frutti dell’opera del diavolo? La perdita della fede; l’allontanamento degli uomini da Dio; la trasgressione della morale e l’indifferenza verso il peccato, visto, anzi, come la manifestazione di una necessaria libertà dell’uomo. Ebbene: questo è quanto sta accadendo, all’interno della Chiesa, da quando certi pastori, certi teologi, certi sacerdoti sono andati al potere, e dettano, dall’interno, le regole della vita cristiana; da quando è salito sul soglio di san Pietro questo papa, che dice queste cose, che fa questi gesti: che non s’inginocchia davanti al Santissimo; che non recita il Rosario quando si reca a Fatima; che non guida la processione del Corpus Domini; che dice che Dio non è cattolico; che, della Madonna, sa dire solo che è la nostra mamma, ma non che essa, negli ultimi due secoli, è apparsa agli uomini tante volte per ammonirli, per richiamarli, per esortarli alla penitenza, se vogliono scongiurare i castighi che la loro vita empia sta attirando su di loro. Non è ancora abbastanza? Che altro deve essere fatto e detto, da un clero che esalta l’omosessualità (Martin), che invoca le nozze gay in chiesa (Bonny), che ordina sacerdoti degli omosessuali dichiarati (Barrio), che celebra la santa Messa mescolandovi il rito induista del dio Shiva (Fonlupt), che nega l’esistenza del diavolo (Sosa), che afferma che Dio ha risparmiato Sodoma (Galantino), che esalta Pannella come perfetto modello di virtù umane (Paglia), che si dice pronto a nascondere i simboli cristiani, pur di conservare "l’amicizia" con gli islamici (Cipolla)? Manca ancora qualcosa, perché il quadro dell’apostasia sia competo e assolutamente evidente? No: manca solo il nostro coraggio, manca la nostra santa indignazione. A pedate nel sedere, vanno cacciati fuori i falsi pastori e i cattivi maestri, i quali non desistono dal seminare scandalo tra le anime semplici, e par che ci provino un gusto speciale, un satanico compiacimento. Se così non fosse; se si trattasse "solo" d’imprudenza, di leggerezza, come non sarebbero mai presi da un dubbio, non s’indurrebbero a parlare e agire con maggior sobrietà? E come non  risponderebbero alle richieste di chiarimento da parte dei fedeli, o da parte del clero stesso?

No: è in questa loro arroganza, in questo atteggiamento di continua provocazione e quasi di sfida, in questa totale indifferenza per ciò che le anime semplici possono provare, la conferma della loro volontà maligna: chi sbaglia involontariamente, infatti, non ha quel modo di fare, non ostenta compiacimento, non insulta e non irride quelli che non capiscono, quelli che rimangono turbati, ma rispetta il loro turbamento e, semmai, si chiede: dove ho sbagliato? Invece, potremmo riempire un vocabolario con le parole sprezzanti, ironiche, dure, impietose, che il papa riserva ai suoi critici, senza mai degnarli, però, di una risposta che entri nel merito delle questioni da essi sollevate: e un giornalista che se n’è preso la briga, Marco Tosatti, un tale vocabolario lo ha compilato davvero, sul suo blog Stilum Curiae, o meglio lo ha iniziato, perché la prima stesura risale al febbraio scorso, e adesso, che siamo a dicembre, la lista si è allungata di parecchio, visto che ogni giorno ce n’è a volontà. Trascegliamo dal mucchio: vecchie comari, fomentatori della coprofagia, sgrana Rosari, signor e signora piagnisteo, cristiani liquidi, mummie da museo, musi lunghi, cristiani con la faccia da sottaceto, che ripetono il Credo pappagallescamente, sterili nel loro formalismo, gente vecchia e nostalgica, gente dal cuore nero, cavillatori moralistici, e via di questo passo. Può bastare? Si può tollerare un simile linguaggio, che già riuscirebbe oltremodo inopportuno e molesto in bocca ad un qualsiasi sacerdote, da parte del papa, di un papa talmente misericordioso, equanime e delicato, da proibire a tutti di nominare il terrorismo islamico, sostenendo che non esiste un terrorismo islamico, ma solo qualche islamico che è terrorista, così come ci sono dei cristiani che ammazzano la moglie o la suocera? Ecco: anche da questo linguaggio, da questa ironia, da questo tipo di umorismo, se così lo si può definire, spunta, da sotto la veste, qualcosa che non avremmo voluto mai vedere: spunta la coda; spunta lo zoccolo… Proviamo a immaginare se il nostro unico, vero modello, Gesù Cristo, si sarebbe mai servito di tali espressioni canzonatorie e pesantemente offensive nel rivolgersi ai suoi stessi seguaci, laddove li avesse trovati troppo lenti a comprendere il suo messaggio. È in questo modo che li avrebbe apostrofati? Non avrebbe piuttosto domandato, per mezzo della preghiera, che Dio li illuminasse, che aprisse le loro menti e riscaldasse i loro cuori? E se Gesù è stato pieno di delicatezza e di rispetto nei confronti delle umane debolezze, se ha mostrato una pazienza incrollabile davanti alle loro stesse meschinità (si pensi a quando Giacomo e Giovanni chiesero i primi posti per sé in paradiso, e gli altri apostoli si sdegnarono contro di loro: vedi Mc., 10, 35-41) e ha tollerato con mitezza perfino il loro abbandono e il loro rinnegamento, senza rimproverarli (cfr. Lc., 22, 61), non dovrà il suo vicario in terra mostrare almeno altrettanta mitezza e benevolenza e sopportare con eguale pazienza le incomprensioni e le critiche a lui rivolte? Altrimenti, vorrà dire che non è il vero pastore. E chi dunque sarà costui, che si fa passare per tale?

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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