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Ciò che serve alla Chiesa è un bagno di spiritualità

Non crediamo che occorra essere dei geni o dei profeti per vedere, così, a colpo d’occhio, ciò di cui ha bisogno innanzitutto la Chiesa, se davvero vuol risollevarsi dal pantano in cui è miseramente scivolata: un bagno rigeneratore di spiritualità. Basta teologia della strada; basta retorica dell’inclusione e della solidarietà a senso unico; basta demagogia dell’accompagnamento alle umane fragilità; basta deliri ecumenici e interreligiosi; basta ospedali da campo e medicazioni che non medicano nulla, perché restano alla superficie delle ferite; basta sproloqui sulla misericordia che tacciono l’essenziale, ossia la necessità imprescindibile della conversione, del pentimento, del fermo proposito di mutar vita; e basta anche sincretismo, contaminazione religiosa, mescolanza truffaldina, confusione voluta fra la Verità di Cristo e le tante, troppe verità di questo mondo, false religioni comprese. Ciò di cui la Chiesa ha bisogno è un radicale movimento di ritorno a Dio; una franca ammissione di quanto si sia sviata dalla strada maestra; una chiara coscienza del fatto che, se Marta si agita e si angustia per molte cose, una sola è la cosa necessaria, la parte migliore della fede, che Maria si è scelta senza indugio: l’ascolto devoto e la meditazione della Parola di Gesù Cristo, il nostro Signore e Redentore.

Non saranno certo i Kasper, i Danneels, i Sosa, i Paglia e i Galantino, a portare la Chiesa fuori dal pantano; non saranno i condoni all’ingrosso per i peccatori, né le farse e gli spettacoli chiassosi del neoclero, né gli ammiccamenti dei vescovi, dei teologi, della stampa ex cattolica agli appetiti, alle lusinghe e alle mode del mondo; non sarà l’attivismo vuoto e roboante, non saranno le Giornate Mondiali della Gioventù trasformate in "sacre" gozzoviglie, né i campi scout quali iniziazioni alle gioie del sesso, magari omosessuale; e non saranno i preti di sinistra che parlano come sindacalisti arrabbiati, che inveiscono contro la sacra Tradizione, che ridicolizzano il culto degli Angeli, dei Santi e di Maria; né i (falsi) teologi che avanzano dubbi e seminano incertezze angosciose, affilate come spade, nel cuore dei fedeli, suggerendo che Gesù non è risorto, perché era solo un uomo; che non ci sarà alcun Giudizio, perché tutti andranno automaticamente in paradiso; che il peccato non è mai tale, perché gli appetiti naturali sono un diritto della persona e Dio non ci chiederà giammai di reprimerli e di sacrificarci… No, non sarà per questa via che la Chiesa potrà sperare di uscire dal pantano, ma seguendo la strada opposta: quella della riscoperta della spiritualità. Senza spiritualità, la religione è morta; al suo posto c’è un cadavere imbarazzante, ingombrante, inutile, che sa di decomposizione, per quanto lo si addobbi e lo s’imbelletti come se fosse un corpo vivo.

La crisi attuale della Chiesa non è solo una crisi di vocazioni, né solo una crisi morale: è anche una crisi intellettuale: smacco tanto più cocente, tanto più vergognoso, perché la neochiesa modernista e progressista si è gonfiata a dismisura proprio smerciando per grandi scoperte e necessarie innovazioni una serie di idee che, alla prova dei fatti, hanno mostrato tuta la loro inconsistenza, la loro miseria, la loro penosa incomprensione del fatto umano. Bisogna avere il coraggio di dire a voce alta che gran parte delle idee, e di conseguenza delle prassi, sulle quali si è basato il cosiddetto rinnovamento liturgico e pastorale inaugurato dal Concilio Vaticano II, erano, a ben considerarle, e spogliate degli abiti sgargianti con cui furono rivestite, idee vecchie e stravecchie, povere, banali, fatte passare per nuove da gente dalla vista corta, da miopi che credevano di avere un occhio d’aquila, da provinciali, nel senso più ottuso della parola, che si credevano raffinati cosmopoliti; e che, al contrario, le idee "vecchie" dei cosiddetti conservatori erano, quelle sì, perennemente giovani, vive e fresche, per la semplice, semplicissima ragione che poggiavano sulla roccia del Vangelo e attingevano vita e freschezza dalla sorgente perenne che non delude mai, che disseta anche le anime più ardenti ed esigenti, perché, come ha detto Gesù alla Samaritana, quella sorgente è Lui stesso: zampillo inestinguibile di vita, luce che non tramonta, giardino che non sfiorisce, roveto che non cessa mai di bruciare, indicando la via nella notte del mondo.

Perciò, lasciamo che il vescovo di Rodez benedica la sua papaya, o il suo ananas, o i suo mango, al posto del Pane e del Vino eucaristici; lasciamo che l’arcivescovo di Vienna trasformi la sua cattedrale in una tribuna dell’ideologia omosessualista, e che chiami ad esibirsi il cantante travestito Conchita Wurm, per la gioia dei fedeli; che il generale dei gesuiti se ne vada nei templi buddisti a meditare insieme ai monaci buddisti; che il parroco di Ceuta inviti i seguaci del dio Ganesha a portare la statua di costui, in processione, fin dentro la sua chiesa; che il vescovo di Anversa invochi un matrimonio "minore", ma sempre celebrato in chiesa, per due persone dello stesso sesso; che l’arcivescovo di Santiago di Compostela ordini sacerdoti due omosessuali notori e militanti; e che la basilica di San Pietro, a Roma, venga offerta come maxischermo notturno per la celebrazione naturalistica del mondo, delle tigri, dei leoni, degli squali, delle tartarughe, degli scimmioni e… dei cannibali con l’osso fra i capelli; lasciamo inoltre che dei teologi o pseudo teologi, che non sono neanche preti ma si spacciano per tali e si vestono, più o meno, come se lo fossero, o che si sono spretati (ragion per cui la neochiesa li ha cari come fossero la pupilla dei suoi occhi) sermoneggino, da radio e televisioni, per esecrare il passato oscurantista, intollerante, omofobo e antisemita della Chiesa cattolica e per inneggiare alle magnifiche sorti e progressive dell’era post-conciliare: lasciamo tutti costoro alle loro splendide iniziative, alle loro meravigliose opere di rinnovamento liturgico e pastorale, e vediamo di fare in modo, per quanto sta in noi, di spingere la vera Chiesa a tornare là da dove era partita, e da ciò che ha abbandonato: la sua essenza spirituale, la comunione intima con Dio, il senso della trascendenza.

La spiritualità è l’anima della religione e la dimensione principale della fede. Niente spiritualità, niente religione e niente fede. La fede, infatti, si esplica anche nel mondo materiale; ma non può esaurirsi in esso, perché, in tal caso, non sarebbe fede, cioè fede in Dio, ma sarebbe qualcos’altro: sarebbe fiducia nei poteri del mondo, la storia, la società lo Stato, la rivoluzione, i diritti, e chi sa che altro. Allo stesso modo, la religione può esplicitarsi anche in atti materiali: ma se quegli atti sono privi di spiritualità, sono privi anche di fede, e quindi non sono più atti religiosi: sono atti mondani, per quanto, in certi casi, possano essere lodevoli. Dar da bere all’assetato, dar da mangiare all’affamato: sono atti materiali; ma, se fatti con fede, da essi traspira la spiritualità di chi li compie, e che non è altro che il profumo del divino. La spiritualità è dischiudere una finestra sull’infinito nel mondo di ogni giorno; e, da quella finestra, permettere allo sguardo d’intravedere il volto di Dio. Gli stessi atti, compiuti su di un piano esclusivamente materiale, acquistano un altro significato: sì, possono sfamare e dissetare; ma la fame tornerà, e tornerà anche la sete. L’atto spirituale è sempre accompagnato da un qualcosa che toglie la sete e la fame per sempre, perché lascia intravedere Dio, che è il cibo e la bevanda universale, che non si esaurisce mai. Si direbbe che, da un po’ di anni a questa parte, la frenesia degli atti materiali, concreti, della carità, abbia fatto perdere la bussola a molta parte del clero e a moltissimi cattolici, o sedicenti tali. E allora ripetiamolo: non è solo l’atto di dar da mangiare e da bere, che è necessario, bensì l’atto di dar da mangiare e da bere in un certo modo: non come se quel cibo venisse dagli uomini, dallo Stato, dal partito, dall’istituzione, e via dicendo, ma lasciando vedere chiaramente che esso viene da Dio, e che gli uomini ne sono solamente il tramite. Se non si vede ciò, se non si permette all’affamato e all’assetato di vedere ciò, non gli si è offerto un nutrimento sostanzioso, ma solo un palliativo per riempire temporaneamente lo stomaco.

Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, assistere i malati, visitare i carcerati…, quando mai la Chiesa ha dimenticato di praticare le opere di misericordia corporale? Basta dare un’occhiata alle biografie dei Santi: quanti di essi hanno votato la loro intera esistenza a simili opere. Non si dica, però, che questa è sola la maniera di amare il prossimo: niente affatto; l’amore del prossimo passa per l’amore di Dio, e quindi si può amare il prossimo anche dal segreto d’un convento di clausura, pregando intensamente Dio per il bene di tutti. Eppure, da qualche anno in qua, una parte consistente del clero sembra essersi scordata della dimensione spirituale, e aver fatto propria l’idea, tipicamente profana, che solo le opere materiali giovano al prossimo. Si assiste, perciò, a un’enfasi, a una sovraesposizione, a una spettacolarizzazione, perfino, dei gesti e dei segni di solidarietà umana. Il papa che lava i piedi ai poveri, il Giovedì Santo: e quando mai non lo ha fatto? Non lo hanno sempre fatto, in silenzio, con discrezione, tutti i pontefici romani? La sola differenza è che, oggi, questo papa lava i piedi di preferenza ai musulmani, e che li lava anche alle donne: novità discutibili, e, in ogni caso, novità non essenziali. Il prossimo è il prossimo: Gesù lo ha spiegato magnificamente con la parabola del buon samaritano; non c’è bisogno di andar sopra le righe, di attirare l’attenzione dei media come se si fosse scoperto qualcosa di nuovo. Senza contare che la neochiesa, a forza di rivolgere tutta la sua attenzione ai poveri "stranieri", pare essersi dimenticata dei poveri di casa nostra… Quando mai si è vista una così estesa mobilitazione, anche di tipo ideologico e politico, a favore dei poveri italiani rovinati dalla crisi economica, o che hanno perso il posto di lavoro, o i cui risparmi si sono volatilizzati per mano delle banche disoneste? Quando mai si son viste parrocchie, e perfino chiese, trasformarsi in bivacchi permanenti, o semipermanenti, di poveri cristiani, come le si vede oggi ospitare bivacchi di poveri musulmani, provenienti dai luoghi più lontani? Bisogna aver la pelle scura per essere meritevoli di compassione cristiana? Ed è preferibile non essere cristiani, per attirare l’attenzione dei sacerdoti e dei fedeli cattolici desiderosi di fare un po’ di bene? Ricordiamoci tutti che non sempre chi protende le mani e mostra i suoi stracci, è davvero il più povero; vi sono molti poveri dignitosi e onesti, che non chiedono, perché si vergognano, e non spacciano droga per arrotondare le entrate, mentre già vengono assistiti, perché aborriscono le opere malvagie.

Voltando le spalle al soprannaturale, spogliandosi da se stessa della dimensione spirituale, la Chiesa ha tradito doppiamente il mondo, perché mai, come in questo momento storico, il mondo aveva bisogno che la Chiesa gli mostrasse la via del divino, dello spirituale. Invece la neochiesa ha fatto tutto il contrari: si è messa a gareggiare con i poteri di questo mondo nel far vedere che è sollecita del bene materiale degli esseri umani, e perfino degli animali e dell’ambiente. Tutta questa mobilitazione umanitaria, ecologista e ambientalista non ha nulla di spirituale, né d religioso: pare che la Chiesa cattolica abbia abdicato al proprio ruolo e che si sia trasformata un una sezione permanente di qualche organismo delle Nazioni Unite, o in una delle tante Organizzazioni umanitarie non governative. Fa le stesse cose, parla lo stesso linguaggio, vive degli stessi slogan; e se ne vanta. A cominciare dal papa, scendendo giù fino al semplice parroco di paese, pare che non ci sia cosa più degna e più bella, per un membro del clero cattolico, che nascondere il fatto di essere cattolico, anzi, nascondere perfino il fatto d’essere un sacerdote: del resto, non ha detto proprio il papa che Dio non è cattolico? Facendo così, nascondendo perfino l’abito sacerdotale (e vi sono ordini religiosi i quali, ormai, proibiscono ai loro membri di andare in giro con l’abito sacerdotale), la Chiesa abdica alla propria missione, sacrifica se stessa e lascia il mondo più vuoto e disperato di prima: Voi siete il sale della terra; ma se il sale dovesse perdere il suo sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null’altro serve che ad esser gettato via e calpestato dagli uomini, dice significativamente Gesù ai suoi discepoli (Mt., 5, 13). Ebbene, proprio questo ha fatto il clero modernista e progressista: si è spogliato del proprio sapore, ha rinunciato ad essere il sale della terra per confondersi con ciò che appartiene a questo mondo. Il mondo ha voglia di ballare? E il clero balla. Il mondo ha voglia di ridere? E il clero ride. Il mondo ha voglia di politica? E il clero si mette a far politica. Il mondo ha voglia di divertirsi? E il clero smette di parlare del peccato, dice che ciascuno ha diritto a seguire la sua strada verso la felicità, che ciascuno deve seguire "la propria coscienza". Non dice quel che ha il dovere di dire: che non esiste una strada "individuale" alla verità, né una "voce" della coscienza, che possano andar per conto loro, disgiunte dalla Verità in se stessa, che è Cristo, solo Cristo e sempre Cristo.

Un clero siffatto si è scordato di Cristo, si è scordato che Cristo è la Via, la Verità e la Vita. Che se ne vada per la sua strada, dunque: Dio lo ha abbandonato e lo lascia libero di correr dietro la mentalità del mondo, per andare in perdizione. Ma i vescovi fedeli, i preti fedeli, i cattolici fedeli non li seguiranno per quella via, ma torneranno a Cristo, perché Lui solo ha parole di vita eterna. Tutti gli altri hanno parole umane che piacciono sul momento e poi lasciano l’anima vuota e delusa. Anche il vangelo, se spogliato della dimensione divina non è più il vero Vangelo di Gesù: è un’altra cosa, una contraffazione, uno specchietto per le allodole. Lungi da noi seguire un simile "vangelo". Per noi c’è un solo Vangelo: quello in cui riconosciamo la voce del Pastore, come Lui conosce noi…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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