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Cari neoteologi e neopreti avete mai letto la Bibbia?

Il vescovo di Anversa Johan Bonny, degno allievo di Kasper e Daneels, propone che la Chiesa cattolica crei un "rito alternativo", una specie di "sacramento minore" (Dio ci perdoni la bestemmia, non sapremmo come altro definirlo), insomma una benedizione in chiesa da riservare, oltre che alle persone divorziate e risposate, anche alle coppie omosessuali.

Il presidente del Pontificio Istituto per la Famiglia, monsignor Vincenzo Paglia, afferma che è bene che per l’arcipelago delle convivenze non familiari si cerchino soluzioni patrimoniali e nel diritto privato, ma senza nulla togliere all’uguale dignità di ogni essere umano. È lo stesso Paglia che ha fatto raffigurare se stesso, nel blasfemo affresco del duomo di Terni, in mezzo a una folla di trans e gay, che Gesù Cristo porta direttamente in Cielo, così come sono, impenitenti e felici. Ed è lo stesso Paglia che ha fatto una superlativa apologia del defunto Marco Pannella, omosessuale dichiarato e strenuo difensore del riconoscimento delle coppie gay.

Il gesuita americano James Martin, consulente del Vaticano nel campo della comunicazione, scrive ed insegna che certamente ci sono stati diversi santi gay nella storia della Chiesa, e nel suo libro Building a Bridge esorta la Chiesa stessa ad accogliere, riconoscere e legittimare pienamente l’omosessualità; tanto che arriva ad affermare: Potresti essere sorpreso quando, in Cielo, verrai salutato da uomini e donne LGBT.

E che dire del sacerdote e teologo polacco Chrizysztof Charamsa, già segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale presso la Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale nell’ottobre del 2015, alla vigilia del Sinodo vescovile sulla famiglia, dichiarò la propria omosessualità, e presentò, baciandolo, il compagno con il quale conviveva da anni, affermando di essere "orgoglioso e felice" di essere gay e augurandosi di riuscire a "scuotere un poco la coscienza della Chiesa"? Concetti molto simili a quelli espressi dai succitati personaggi, con la sola differenza di una brutale sincerità sulla sua vita privata, ragion per cui venne subito sospeso "a divinis". Ma era davvero più colpevole degli altri?

La malinconica sequela delle citazioni potrebbe continuare, per pagine e pagine. Ormai sono legione i sedicenti teologi, e i vescovi e i sacerdoti, anche di spicco, che parlano apertamente del peccato contro natura come di una cosa normalissima, anzi, negano del tutto che sia un peccato e dicono che la Chiesa è in ritardo, che deve aggiornarsi e recuperare il tempo perduto, e che deve aprirsi a queste nuove forme di relazioni sociali, dando pieno diritto di cittadinanza alle unioni omosessuali. E chi ha dimenticato la celebre intervista in cui il papa Francesco, da poco eletto al soglio di san Pietro, alla precisa domanda di un giornalista, rispondeva, quasi spazientito: E chi sono io per giudicare un gay che vuole accostarsi a Gesù Cristo? Alla quale ci sembra che qualcuno, dentro la Chiesa cattolica, subito, per non lasciar passare l’equivoco, con rispetto ma anche con fermezza, avrebbe dovuto replicare: Ma, diciamo che lei è il vicario di Cristo e il capo della Chiesa cattolica? E che, come tale, ma anche come qualsiasi sacerdote e come qualsiasi cattolico, dovrebbe far capire a quelle persone che le due cose sono incompatibili: o si vive nel peccato, o si segue Gesù Cristo. Laddove per "peccato" – il Magistero lo ha chiarito e ribadito un sacco di volte – non s’intende la condizione omosessuale, almeno per quelle (poche) persone che la vivono sin dalla nascita, a differenza di quelle che l’hanno adottata come stile di vita per una scelta viziosa, non è, di per sé, peccaminosa, nondimeno è una condizione oggettivamente disordinata, perché contraria alla natura e alla legge divina; mentre è peccaminosa la pratica omosessuale.

Vale dunque la pena di rileggersi il racconto biblico della distruzione di Sodoma e Gomorra e della salvazione di Lot, il nipote di Abramo, il quale, pur abitando a Sodoma, ma non essendosi mai contaminato con i peccati dei suoi abitanti, meritò di essere risparmiato, insieme alla sua famiglia (Genesi, 19, 1-29; traduzione dalla Bibbia di Gerusalemme):

I due angeli arrivarono a Sodoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto sulla porta di Sodoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. E disse: "Miei signori, venite in casa del vostro servo; vi passerete la notte, vi laverete i piedi, e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada". Quelli risposero: "No, passeremo la notte sulla piazza". Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere gli azzimi e così mangiarono. Non si erano ancora coricati, quand’ecco gli abitanti della città, cioè gli uomini di Sodoma, si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. Chiamarono Lot e gli dissero: "Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!". Lot uscì verso di loro sulla porta, e, dopo aver chiuso il battente dietro di sé, disse: "No, fratelli miei, non fate del male! Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate di loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all’ombra del mio tetto!". Ma quelli risposero: "Tirati via! Quest’individuo è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!". E spingendosi violentemente contro quell’uomo, cioè contro Lot, si avvicinarono per sfondare la porta. Allora dall’interno quegli uomini sporsero le mani, si trassero in casa Lot e chiusero il battente; quanto agli uomini che erano alla porta della casa, essi li colpirono con un abbaglio accecante dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta.

Quegli uomini dissero allora a Lot: "Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo. Poiché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande ed egli ci ha mandati a distruggerli". Lot uscì a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le sue figlie, e disse: "Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città". Ma parve ai suoi generi che egli volesse scherzare. Quando apparve l’alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: "Su, prendi tua moglie e le tue figlie che hai qui ed esci per non essere travolto nel castigo della città". Lot indugiava, ma quegli uomini presero per mano sua moglie, le sue due figlie, per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui; lo fecero uscire e lo condussero fuori della città. Dopo averli condotti fuori, uno di disse: "Fuggi, per la tua vita. Non guardarti indietro e non fermarti dentro la valle; fuggi sulle montagne, per non essere travolto"!". Ma Lot gli disse: "No, mio Signore! Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato una grande misericordia verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia. Vedi questa città: è abbastanza vicina perché io mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù — non è una piccola cosa? — e così la mia vita sarà salva". Gli rispose: "Ecco, ti ho favorito anche in questo, di non distruggere la città di cui hai parlato. Presto, fuggi là perché io non posso far nulla, finché tu non vi sia arrivato". Perciò quella città si chiamò Zoar.

Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta a valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale.

Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore; contemplò dall’alto Sodoma e Gomorra e tuta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.

Così, quando Dio distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece fuggire Lot dalla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.

Di fronte a tanta chiarezza, a una tale assenza di appigli per interpretazioni "liberali" e "moderne" (o piuttosto moderniste), viene da chiedersi se i succitati teologi e monsignori abbiamo mai letto realmente la Bibbia. Perché i casi sono due: o non l’hanno letta, e allora non si capisce cosa ci stanno a fare nella Chiesa cattolica, o l’hanno letta, e allora se ne infischiano di quel che c’è scritto, ogni qual volta ci trovano delle cose che non sono di loro gusto. In questo secondo caso, il loro è un atteggiamento di tipo protestante: leggono e interpretano le Sacre Scritture in tutta libertà e non gradiscono che qualcuno, vale a dire il Magistero, venga loro a dire come esse vadano lette e interpretate. Ci sarebbe una terza possibilità: che le abbiano lette e meditate, ma che ritengano di avere il diritto e il dovere di "aggiornarle", tenendo conto della sensibilità e della cultura dei tempi moderni, nei quali viviamo. La Chiesa, essi dicono, non predica e non insegna nel vuoto; predica e insegna in un contesto preciso, in un ambiente definito (espressioni molto care a padre Sosa Abascal): dunque, essa non può leggere e interpretare la Bibbia secondo una mentalità arcaica e superata, ma deve tener conto degli aggiornamenti, anche di tipo filologico e scritturistico. Quel che importa soprattutto, essi dicono, è cogliere il significato profondo della Parola di Dio, che è amore: dunque, bisogna sempre e comunque mettere in luce la misericordia e il perdono di Dio. Anche senza il pentimento del peccatore? A quanto pare, sì: sempre e comunque. Solo così si spiega l’incredibile affermazione di un altro neovescovo tipicamente progressista e modernista, monsignor Nunzio Galantino, il quale nel luglio del 2016, in una chiesa affollata di giovani, ha dato loro pubblicamente scandalo, stravolgendo il brano della Genesi sopra citato, con queste testuali parole:

[Quanto ad Abramo,] la sua preghiera di intercessione e la sua voglia di osare salvano Sodoma. La città è salva perché ci sono i giusti, anche se pochi ma la città è salva soprattutto perché c’è Abramo, uomo di preghiera, che non fa da accusatore implacabile, non parla contro ma parla a favore. Abramo, uomo di preghiera, non denuncia i misfatti, ma annuncia la possibilità di qualcosa si nuovo. Abramo, uomo di preghiera, annuncia e invita a guardare alle possibilità positive. Abramo, uomo di preghiera, è un instancabile cercatore di segni di speranza da presentare al Signore perché li valorizzi.

Queste esatte parole diceva monsignor Galantino, il 24 luglio dell’anno scorso, in una chiesa di Cracovia piena di ragazzi venuti per la Giornata Mondiale della Gioventù: che Dio non distrusse Sodoma, ma la risparmiò; e questo per merito di Abramo, uomo di preghiera (concetto ripetuto quattro volte consecutive: repetita iuvant), il quale presenta a Dio i "segni di speranza" che Lui sa valorizzare. E quali sarebbero stati, a Sodoma, i segni di speranza? Il fatto che non tutti gi abitanti erano dei sodomiti, nel senso tecnico dell’espressione? Non è possibile, perché il libro della Genesi dice chiaramente che Dio si impegnò a non distruggere Sodoma, a patto che vi avesse trovato anche solo dieci "giusti" (dopo che Abramo era partito da un "minimo sindacale" di cinquanta, per poi abbassare gradualmente, e abilmente, la cifra dei giusti che Dio avrebbe potuto trovarvi). Dunque, tutti gli abitanti di Sodoma erano peccatori, a eccezione di Lot e dei suoi familiari; i quali, infatti, vennero salvati. Ma sugli altri piombò il castigo di Dio e la città, anzi, l’intera valle, venne distrutta da una pioggia di fuoco e zolfo. Ora, ricordate la vicenda del teologo domenicano Giovanni Cavalcoli, punito per aver affermato che le catastrofi naturali possono essere un castigo di Dio, cioè per aver detto quel che dice la Bibbia, né più e né meno? E cosa insegna, invece, monsignor Galantino, ai giovani cattolici venuti ad ascoltare la Parola di Dio, lui che non è un sacerdote qualsiasi, ma un pezzo da novanta della Chiesa cattolica, nientemeno che il segretario generale della CEI? Che gli uomini di preghiera non devono mai accusare, ma sempre parlare a favore: anche a favore del peccato? Devono presentare il peccato come se non fosse tale, ma come se vi fossero, in esso, dei non meglio precisati "segni di speranza", delle "possibilità positive", da presentare al Signore? Vi ricorda qualcosa, questo? A noi ricorda il § 303 di Amoris laetitia, dove si dice che colui che vive nel peccato può offrire a Dio, generosamente, proprio il suo peccato, per giunta "con onestà e sincerità": testualmente: [il peccato è] ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio. Fino a pochissimo tempo fa, la Chiesa insegnava che l’uomo deve puntare alla propria santificazione, chiedendo a Dio l’aiuto della grazia per vincere le occasioni di peccato; ora la neochiesa ci viene a dire tutto il contrario, che il peccato è una offerta generosa fatta a Dio con sincerità e onestà. Non stiamo forzando le parole del papa. Al contrario: se egli avesse avuto timore di venire male interpretato, non sarebbe rimasto zitto quando Galantino diceva quelle cose assurde, né avrebbe bacchettato tramite l’arcivescovo Angelo Becciu, padre Cavalcoli per aver detto il vero…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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