
La neochiesa rifiuta la croce perché rifiuta Cristo
28 Novembre 2017
È un non senso il “dialogo” fra Cristo e mondo
28 Novembre 2017Nel libro-intervista che Jean Guitton ha pubblicato con il titolo Il secolo che verrà (Le siècle qui s’annonce; traduzione di Antonietta Francavilla, Milano, Bompiani, 1997, pp. 141 sgg.), in cui risponde alle domande di Philippe Guyard, parlando del Concilio Vaticano II e del cardinale Newman, di cui era un grande ammiratore e che considerava come il precursore di quell’evento, il filosofo francese, fra l’altro, diceva:
Penso che il Concilio attuale, nei tempi futuri, considererà con ragione che il personaggio che lo ha più ispirato e meglio spiegato a quelli che non lo comprendono sia il cardinale Newman. Perché? Perché un Concilio ha due aspetti: è un agente della verità, e la verità è che "due più due fanno quattro". Di conseguenza il Concilio è newmaniano nella misura in cui si dedica alla ricerca della verità. Però nel XX secolo la verità è cambiata. E la difficoltà di questo Concilio consiste nell’armonizzare l’identità col cambiamento, cioè nell’adattamento; quello che il papa Giovanni XXIII chiamava l’aggiornamento. […]
[Alla domanda se la santa Messa esprima il ministro dell’eternità nel tempo] Sì, però penso che la messa attuale sia una messa di decadenza, e che la formula "wonderful solemnity" [di Newman] non possa applicarsi alle messe sconsacrate che ci hanno presentato talvolta dopo la fine del Concilio. […]
Il problema fondamentale della filosofia, e del resto di tutto il pensiero, consiste nel conciliare ciò che è a ciò che cambia. Lo si è sentito fino al dramma, nel Concilio, con la successione di due papi, uno dei quali sosteneva ciò che è, per esempio Pio XII; e l’altro che sosteneva sostanzialmente ciò che cambia, come Giovanni XXIII. […] Come la Chiesa è l’Eternità presente nel tempo, così il problema della Chiesa sarà la riconciliazione dell’essere e del divenire. […] Nell’atto di fede collaborano tutte le potenze dell’anima, come nella persona di Cristo collaborano, se così ci si può esprimere, la divinità e l’umanità. Il cristianesimo è la religione dei contrari che sono simili. […]
[Sulla centralità del mistero dell’Incarnazione:] È evidente. È il mistero dell’unione, nell’uomo Gesù, di Dio e dell’uomo. Per concludere su Newman, io direi che come Origene, come san Paolo prima di lui e come san Tommaso dopo (e come ancor prima Aristotele e Platone), il personaggio Newman ci permette, in un istante che può durare ore, di fare la sintesi del’umanità nei suoi rapporti con se stessa e con Dio. […] Penso che Newman, come Origene, sia uno "gnostico cattolico" di primo piano.
La prima cosa che colpisce, in questo dialogo, è che Jean Guitton, a trentadue anni di distanza dalla chiusura del Concilio Vaticano II, ne parla al presente, come fosse ancora in corso: lo chiama il Concilio attuale, forse senza neanche rendersi conto dell’anacronismo. Ciò dimostra che, per i cattolici progressisti, il Concilio Vaticano II non è stato un evento storico paragonabile ai venti concili ecumenici che l’hanno preceduto, anche se, a parole, se ne dicono persuasi; no: per loro esso ha assunto le proporzioni e la natura di un evento puramente metafisico, assoluto, e, come tale, senza tempo, perciò sempre presente, sempre attuale. A questo modo di pensare il Concilio, trasformandolo da evento reale, storico, concreto, a evento immateriale, metafisico, assoluto, corrisponde, nel vocabolario dei cattolici progressisti, l’espressione caratteristica: lo spirito del Concilio, ovviamente "spirito" con l’iniziale minuscola, perché essi non hanno in mente lo Spirito Santo, che è Spirito di Verità, ma lo "spirito" nel senso tutto umano del termine: una non meglio specificata intenzionalità che sarebbe stata alla base del Concilio stesso e che avrebbe continuato ad aleggiare sulla Chiesa anche in seguito, trasformandosi in un vero e proprio destino: il destino della Chiesa cattolica e della religione cristiana. Inutile sottolineare che il concetto di "destino" non è un concetto cristiano, ma pagano.
La seconda cosa che balza evidente, la più sorprendente, la più sconcertante, specie se esce dalla bocca di un filosofo, è che un Concilio ha due aspetti: è un agente della verità, e la verità è qualcosa di certo, assoluto e definitivo (la verità è che "due più due fanno quattro"); però, nello stesso tempo, nel XX secolo la verità è cambiata. Jean Guitton ne trae la conclusione, che è alla radice dell’idea stessa del Vaticano II, che il Concilio deve sforzarsi di armonizzare l’identità col cambiamento, operazione che egli, poco filosoficamente, chiama adattamento, e inoltre, adottando il linguaggio di Giovanni XXIII, aggiornamento. Ora, il nodo della questione sta proprio qui; e siccome cambiamento e adattamento sono anche le parole chiave del pontificato di Bergoglio, il quale ha annunciato fin da subito di voler cambiare la Chiesa e di voler adattare il Vangelo ai tempi moderni, è indispensabile operare un chiarimento sia su questo tipo di linguaggio, sia sulle sue implicazioni logiche e concettuali. Abbiamo detto che il modo di ragionare di Jean Guitton è poco filosofico: vediamo perché. Dapprima egli dice che il Concilio è espressione della verità (ma usa la minuscola; e già su questo ci sarebbe da dire; come ci sarebbe da dire sul fatto che egli scrive, o lascia che si scriva, "messa" invece che Messa, anzi, la santa Messa), e che la verità è la verità e basta, non modificabile, non negoziabile, come lo è una verità matematica: che altro significa, se no, l’esempio del due più due che fa quattro? Subito dopo, però, con perfetta nonchalance, afferma che si tratta di armonizzare (e riconosce che è una cosa "difficile") l’identità, ossia il permanere della verità in se stessa, col cambiamento. Una simile affermazione farebbe sobbalzare sulla sedia un qualsiasi studente al primo anno di filosofia: possibile che un filosofo di professione come lui non ci veda nulla di strano sotto il profilo della logica e della coerenza concettuale? Cambiare, adattare, aggiornare la verità: ma è mai possibile? Avesse almeno detto: si tratta di cambiare, adattare, aggiornare il modo di annunciare la verità. In ogni caso, un pasticcio insolubile, una contraddizione in termini: la verità è, la verità permane; "armonizzarla" col cambiamento vuol dire modificarla.
C’è poco da fare, se le parole hanno un senso, lui dice che la verità non è più certa, non è più assoluta; si tratta di armonizzarla col cambiamento. E perché, poi, bisognerebbe sforzarsi di compiere questa operazione impossibile? Semplicissimo: per la ragione che nel XX secolo la verità è cambiata. Di male in peggio. Qui si confonde e si mescola tranquillamente la "verità" del mondo, nel senso profano del termine "verità", con la Verità cristiana (ed ecco che viene al pettine l’incongruenza di averla designata come "verità", anch’essa, con la lettera minuscola). E allora, mettiamoci d’accordo: di quale verità stiamo parlando? Perché se parliamo della verità profana, è chiaro che si tratta di un concetto storico, che evolve continuamente, per cui oggi non è più vero quel che era vero ieri, e domani non lo sarà più quello che era tale oggi. Ma se stiamo parlando della Rivelazione divina, quella è la Verità assoluta (con la maiuscola) e non muta, è sempre se stessa e nessuno potrebbe ardire di cambiarla, aggiornarla, armonizzarla o adattarla. La prima, essendo storica, diviene sempre altro da sé; la seconda no, perché è l’espressione di Dio, e Dio è il padrone della storia, non viceversa. Ma gli uomini, obietteranno i sostenitori della assoluta necessità e del valore, del pari assoluto, del Vaticano II, vivono nella storia. Nossignori: questa è l’idea profana e materialista di "uomo"; l’idea cristiana è un’altra: l’uomo è per un lato immerso nella storia, ma per un altro lato è rivolto verso l’Eterno. In lui vi sono entrambe le dimensioni: ed è chiaro che la prima serve solo da preparazione alla seconda, che è la sua meta finale. Errore madornale, quindi, è voler calare e abbassare la dimensione dell’Assoluto in quella del relativo; idea che è stata, in effetti, alla radice stessa del Concilio, e la cui espressione materiale, visibile, e al tempo stesso simbolica, è il rovesciamento degli altari delle chiese in funzione dell’assemblea dei fedeli: un errore teologico che si è tradotto in una serie di orrori architettonici.
E cosa significa, poi, che il problema della Chiesa sarà la riconciliazione dell’essere e del divenire? L’essere è l’Essere, cioè Dio: e Dio si è già riconciliato con gli uomini, precisamente nel fatto dell’Incarnazione, ricordato da Guitton. Dunque, che c’è da "riconciliare" ulteriormente? Dio non si è già abbassato a sufficienza? Facendosi uomo, nascendo in una stalla, soffrendo la Passione, morendo sulla Croce, tutto come un semplice uomo, non ha riconciliato a sufficienza la natura umana con quella divina, non per se stesso, ma per noi? Tutto il resto, i discorsi sull’adattamento, sull’aggiornamento, eccetera, non sono che chiacchiere: che nascono dalla pretesa, da parte degli uomini, di fare più e meglio di ciò che ha già fatto Gesù Cristo per armonizzare e riconciliare noi a Dio. Se non ci bastano l’Incarnazione e la Passione del Verbo, che altro vorremmo? Evidentemente, il pensiero nascosto che sta dietro a simili discorsi è che l’uomo vorrebbe innalzare se stesso, e, non potendolo fare, vuole abbassare ulteriormente il sacro. Ma il sacro, così abbassato, perde la sua sacralità, diventa mondano. E il bello è che lo stesso Guitton lo riconosce, allorché parla, con molta durezza, di una Messa "attuale" che è una messa di decadenza, addirittura di una messa sconsacrata; e ammette, in qualche modo, che tali messe sconsacrate sono state un retaggio del Concilio, perché dice: quelle messe sconsacrate che ci hanno presentato talvolta dopo la fine del Concilio. Altro che armonizzare l’Eternità con il tempo, allora; altro che riconciliare la divinità con l’umanità. Si è arrivati, e lo ammette proprio lui, alla "sconsacrazione" della Messa, cioè proprio del rinnovarsi del Sacrificio di riconciliazione operato da Gesù. Possibile che non gli sorga il dubbio, da filosofo, che la strada era sbagliata, e ancor più sbagliati erano i mezzi? E poi, da cristiano, possibile che non gli sovvenga l’aforisma di Gesù: L’albero buono non può dare frutti cattivi, né l’albero cattivo, frutti buoni? Se l’albero del Concilio era così buono, così provvidenziale, così necessario, come mai ha prodotto, fra le altre cose, delle messe sconsacrate? E come mai Paolo VI, il papa che lo ha concluso, e del quale Jean Guitton era un amico personale, parlando proprio delle speranze che il Concilio aveva accese, osservava tristemente, poco tempo dopo la sua fine: Ci aspettavamo la primavera, invece è venuto l’inverno?
Ma la cosa che più colpisce, nel discorso di Jean Guitton, è la terza: là dove, non si sa se per una forma estrema di "candore" o di sfrontatezza, lascia cadere la maschera e dice chiaro e tondo ciò a cui tendono i "riformatori", i fautori del Concilio e del suo misterioso "spirito", i cattolici progressisti come lui: un cattolicesimo "gnostico", ispirato a Newman e… ad Origene. Ma un cristianesimo gnostico, come quello che, effettivamente, fiorì in certi ambienti, specie alessandrini, nei primi secoli della Chiesa, sarebbe la riproposizione di una eresia semi istituzionalizzata. Benché le opere di Origene non siano state condannate dalla Chiesa, tutta la sua concezione teologica si muove sul filo del’eresia gnostica; fra le altre cose, pare proprio che Origene fosse di quei fanatici i quali, odiando le cose terrene e prendendo alla lettera il Vangelo, dalla prima all’ultima riga, si eviravano per non incorrere in tentazioni peccaminose. Cominciamo col dire che lo gnosticismo pagano, nelle sue varie forme e correnti, è incompatibile con il cristianesimo, proprio per la pretesa di condurre l’iniziato alla salvezza per mezzo di una "conoscenza" occulta, riservata a pochi, diversa da quella che viene offerta alle persone comuni. Quanto allo gnosticismo cristiano, si è trattato di un assorbimento dello gnosticismo nel corpo delle dottrine cristiane, con una fortissima componente esoterica, fondata sull’idea che il mondo materiale è malvagio e opera di satana, e pertanto che Gesù non può essere risorto, o almeno non con il corpo, perché dopo la sua morte fisica sarebbe tornato direttamente a Dio, senza contaminarsi ulteriormente con la carne. Ritroviamo queste idee dualistiche in altri movimenti tardo antichi e medievali, dal mandeismo al catarismo; e il catarismo è stato la più pericolosa eresia che abbia minacciato la Chiesa nell’arco di parecchi secoli, tanto che, per sradicarlo, il papa Innocenzo III bandì addirittura una crociata, nel 1208. Ora, è chiaro che lo gnosticismo è quanto di più lontano si possa immaginare dal vero spirito del Vangelo di Gesù, il quale non a caso ha reso lode a Dio per aver nascosto la verità ai sapienti e agli intelligenti, e averla rivelata ai piccoli; e ha sempre raccomandato che, per entrare nel regno ei Cieli, è necessario deporre ogni superbia e farsi piccoli e semplici, nonché miti e umili di cuore come dei fanciulli. Ebbene, una parte di queste idee — una parte, non tutte — sembrano riaffiorare in taluni aspetti della neochiesa postconciliare dei nostri giorni. Ascoltando certe affermazioni, sempre più ambigue, o scioccanti, di altissimi esponenti del clero sedicente cattolico, si direbbe che costoro si ritengano degli iniziati, membri di una chiesa che non è la nostra, sacerdoti di una chiesa che non è quella che abbiamo sempre conosciuto. Sembra che esistano due livelli di cristianesimo, e nei discorsi stessi del papa si parla sempre più di un Dio che non pare specificamente cristiano, come non lo sono molte asserzioni di Sosa, Paglia e Galantino. Perfino il Gesù Cristo di cui parlano loro sembra somigliar poco al Gesù della fede cattolica e del Credo di Nicea. Ma tutto questo è normale?
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