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È la bellezza della liturgia a educare il cuore

Anche il cuore deve essere educato, non solo la mente; anche e soprattutto per quanto riguarda la sfera religiosa. I nostri nonni, i nostri antenati, lo sapevano benissimo; noi, non più. Il cattolicesimo aveva una tradizione straordinaria, ricchissima, invidiata da tutti: la Chiesa ha sempre saputo che la liturgia non è solo la forma, ma la anche sostanza del servizio divino. Poi è arrivata la conclamata "stagione" del Concilio, i modernisti hanno rimesso fuori la testa dalle fogne nelle quali s’erano rintanati per una sessantina d’anni, si sono silenziosamente impadroniti, con un colpo di mano, del timone della Chiesa, non senza inconfessabili, ma potenti spinte, "suggerimenti" e connivenze da parte dei grembiulini e dei circoncisi, ed è iniziato lo smantellamento sistematico, anche dal punto di vista architettonico, della sacra liturgia. E chi cambia la liturgia, cambia tutto, cambia la sostanza stessa di una religione. Si sono spezzati e rovesciati gli altari, venduti all’ingrosso i secolari arredi sacri, e si sono costruite chiese nuove secondo lo spirito nuovo, che non paiono luoghi sacri, ma brutte scatole di cemento, paiono fabbriche, o palazzi amministrativi, o spelonche da quanto sono buie; si è gettato via il latino dopo duemila anni, e chi si ostina a usarlo viene discriminato, guardato con estremo sospetto, perseguitato (vedi i Francescani dell’Immacolata); è stata radicalmente riformata la liturgia della Parola, che è diventata liturgia della parola, cioè di una parola puramente umana, non più della Parola divina; alla musica d’organo, in molte chiese, si sono sostituite le chitarre, al canto gregoriano, le danze e i balletti moderni, magari in versione multietnica; le omelie sono diventate improvvisazioni neomarxiste e neomoderniste, senza un’ombra di spiritualità, le "preghiere dei fedeli" sono diventate delle banali e ripetitive giaculatorie laiciste e progressiste; e, da ultimo, si è iniziato a modificare perfino la traduzione delle Sacre Scritture, sulla base di nuovissimi criteri filologici il cui scopo è, come direbbe padre Sosa Abascal, "contestualizzare", cioè individuare l’ambito preciso, il destinatario preciso, in cui quella certa frase di Gesù, o di san Paolo, è stata pronunciata, in modo da evitare "l’errore" di assolutizzarla: errore, evidentemente, in cui per duemila anni la chiesa pre-conciliare si era attardata, per sua colpevole ignoranza.

Il risultato è che entrare in una chiesa, oggi, molto spesso, fa un effetto penoso, specialmente alle persone di una certa età, che ben ricordano quale aspetto avessero le chiese fino a qualche decennio or sono, specialmente nelle festività più solenni, come in occasione delle Quarantore pasquali. Vi sono dei parroci, e noi li abbiamo visti e sentiti con i nostri orecchi, che sgridano le pie donne se si azzardano a portare dei fiori freschi per l’altare della Madonna, con la scusa che i fiori "fanno sporcizia"; che dileggiano le persone le quali frequentano la Messa tridentina, benché la cosa sia perfettamente lecita e regolare, specie dopo il motu proprio di papa Benedetto XVI Summorum pontificum (ma la verità è che il latino non era mai stato abolito, neppure dal Concilio: e chi lo afferma, provi a tirar fuori il documento conciliare in cui sta scritta una cosa del genere, se ne è capace); ve ne sono altri che officiano la santa Messa con i burattini, oppure che cantano dal pulpito canzoni di musica leggera (questo lo fanno anche certi vescovi), altri ancora invitano coppie di omosessuali a presentarsi all’altare, per ricevere l’applauso dei fedeli; e altri ancora i quali fra battute, frizzi e lazzi, applausi a scena aperta, atteggiamenti buffoneschi e lepidezze d’ogni genere (c’è anche chi spara l’acqua santa con un fucile di plastica sui fedeli) trasformano i sacri riti in spettacoli da circo, o da stadio, o da discoteca. C’è persino chi fa entrare in chiesa i seguaci di un’altra religione, in processione, colle divinità pagane che sfilano davanti all’altare del Santissimo; e chi, in nome dell’arte, della modernità e del dialogo, concede una chiesa tuttora consacrata affinché un artistoide da strapazzo vi esponga una mucca crocifissa sopra l’altare, denominata "la vacca sacra": e questo nel Paese in cui un professore viene licenziato da una scuola cattolica per aver equiparato l’aborto alla soppressione di una vita, ossia per l’orrendo crimine di aver detto esattamente quel che la Chiesa e la morale cattolica pensano e affermano (oppure no?) su tale argomento. Se le cose non stanno più in tal modo; se l’aborto è diventato una cosa ammissibile e facilmente scusabile; se non è più un peccato mortale, simile, per gravità, all’omicidio, allora qualcuno dovrebbe spiegarci come, quando e in che modo la dottrina cattolica è stata modificata a questo riguardo. Infatti, quando si pone la precisa domanda: Ma la dottrina cattolica, sotto il pontificato di papa Francesco, è stata cambiata? (per esempio, in tema di indissolubilità del matrimonio: vedi l’esortazione Amoris laetitia), i membri del clero allineati con le sue posizioni rispondono, sdegnati: No, nessun cambiamento; semmai, un approfondimento, un aggiornamento, un supplemento di discernimento. Approfondire, aggiornare, discernere: ma che belle parole; hanno un suono così amabile e grazioso. Peccato che sappiano terribilmente di truffa. Mandano un cattivo odore; e lo si sente da un chilometro di distanza. Ma questi signori ci hanno presi proprio per dei deficienti? Davvero pensano che noi possiamo berci le loro storielle: che stanno solo aggiornando e approfondendo, ma non modificando la dottrina? Se è così, vuol dire che l’orgoglio e la superbia li hanno ottenebrati, e s’immaginano che tutti gli altri, i cattolici che non la pensano come loro, non siano altro che una massa d’idioti, che si possono manipolare a volontà, e ai quali si può rifilare qualsiasi genere di moneta falsa, spacciandola per buona, anzi, per ottima.

Stavamo dicendo dell’importanza della liturgia per la trasmissione del sentimento religioso e per l’educazione ai valori e ai misteri del cristianesimo (sì, abbiamo scritto proprio "misteri": cari cattolici modernisti e razionalisti, fatevene una ragione: questa non è una nostra personale opinione, questa è la teologia cattolica, con il suo linguaggio preciso, collaudato in duemila anni di storia). E stavamo dicendo che, fino all’epoca del Concilio, la Chiesa conosceva benissimo tale importanza, e ben sapeva che la liturgia non è l’abito esteriore della religione, che si può indossare o togliere a piacere, o modificare a volontà, ma che è l’espressione puntuale della sostanza del sentimento religioso, per cui non investe affatto la sola forma, ma l’essenza e il cuore del Vangelo di Gesù Cristo. Ebbene: delle varie confessioni cristiane oggi esistenti, è nel cristianesimo ortodosso che la liturgia continua a svolgere la funzione decisiva che le spetta; solo gli ortodossi, ormai, sembrano consci del fatto che modernizzare la liturgia e portarla al livello della sensibilità profana, razionale e materiale, equivale a uccidere la religione. Solamente loro, pertanto, restano attaccati, con fedeltà ammirevole, al patrimonio liturgico tradizionale; solo loro appaiono ricordarsi che, per un vero cristiano, non esiste, a rigore, una tradizione della Chiesa, o una serie di tradizioni, ma esiste la Tradizione e basta, ossia un elemento di origine soprannaturale, divina, e di natura non-umana, che si pone come sorgente e strumento per l’accesso dei fedeli alla dimensione del sacro. Perché questo, e non alto, dovrebbe essere lo scopo, questa la ragione di esistere della Chiesa, vorremmo dire di qualunque chiesa: aiutare i fedeli a entrare in contatto con il sacro, farsi tutt’uno con il divino, sbarazzarsi del fardello dell’io e aprirsi all’azione di grazia dello Spirito Santo, affinché l’uomo vecchio possa morire una buona volta, con la sua concupiscenza e le sue torbide passioni, e nascere, o rinascere, al suo posto, l’uomo nuovo, ossia l’uomo che non pensa, non sente, non spera né teme secondo la misura degli uomini, ma solo ed esclusivamente secondo quella di Dio.

Lo scrittore-viaggiatore Colin Thubron, che ha ripercorso la Via della Seta per verificare quanto della modernità è penetrato nelle regioni più interne e appartate dell’Asia e quanto sopravvive della tradizione, s’è imbattuto in una minuscola comunità russa ortodossa, a Samarcanda, e ne ha ritratto queste vive impressioni (da: C. Thubron, Ombre sulla via della Seta; titolo originale: Shadow of the Silk Road, 2006; tr. dall’inglese di R. Belletti, Milano, Salani, 2006, e TEA, 2010, pp. 226-228):

Sono così pochi ormai. Undici donne e due uomini anziani chini nell’aria impregnata di incenso. Stanno in piedi, i russi ortodossi, in un’adorazione oscillante, oppure si trascinano lungo le pareti per accendere una sottile candela. Ma gli spazi tra loro dolgono per l’assenza di quelli che sono tornati in una Russia che conoscevano appena. In quindici anni la popolazione slava dell’Uzbekistan — che un tempo ammontava a due milioni di individui — si è ridotta a meno della metà. La congregazione canta appena. Il piccolo coro la supera di numero. Acanto a ogni fedele c’è una famiglia-fantasma di altri che sono stati portati via dalla paura dell’isolamento. I superstiti si inginocchiano barcollando e abbassano la fronte sul pavimento freddo. Le loro voci si levano tremanti, vecchie."Kyrie eleison"… Di nuovo in piedi, continuano a segnarsi come se nulla potesse purificarli. "Signore pietà". Il prete — magro, biondo e più giovane di chiunque altro qui — sta ritto come un angelo davanti all’altare. La liturgia palpita e canta nelle cadenze prolungate del rito russo, le cui strofe si effondono come un sospiro salmodiato. Una donna si avvicina all’icona per baciare la guancia del Bambino, i piedi trafitti, lo splendore della candela su una mano dipinta. Donne anziane vittime da bambine di carestie, collettivizzazioni, lutti — cosa c’è da avere pietà? Una di loro, piangendo, fa scivolare il bastone che stringe nella mano sul pavimento. Vorrei sollevarla. Ma questo dolore, lo so, non è solo suo. È diffuso, quasi impersonale. Non bisogna averne compassione. La sofferenza è il crogiolo della redenzione. È sancito dalle sofferenze di Cristo: nutrite, gelosamente custodite, ricreate.

Le ondate della liturgia ci travolgono. Mentre la congregazione si inchina all’Ostia, la mia mente non può fare a meno di rivolgersi al passato della Russia, alla sofferenza sopportata come qualcosa di naturale, come la pioggia che cade. A volte sembra quasi che negli occhi dei russi non ci sia una colpa individuale: solo il peccato, vasto e comune. Ma mentre avanza tra di noi, incensando le icone disposte lungo le pareti e i pilastri, il prete potrebbe benissimo star consacrando un museo. I pallidi martiri sollevano le spade e i libri come incantesimi infranti.

Voglio chiedergli — ora sediamo nel cortile — del passato del suo popolo e della coscienza, ma il mio russo mi tradisce, perciò si limita ad aggrottare le ciglia e a sorridere. È la bellezza della liturgia, dice, a educare il cuore. Attribuisce il fatalismo e la disperazione degli anni del gulag all’intorpidimento di un popolo degradato. "Avevano vissuto già troppo a lungo nelle tenebre. Non potevano sentire nulla. Quella era l’epoca di Satana".

Ho un moto di repentina insofferenza. Alcuni, dico spietatamente, hanno trovato una premonizione degli anni di Stalin nella Chiesa ortodossa stessa, nell’eterna sottomissione della gente all’autorità.

Il prete rimane imperturbabile. "Ogni qualvolta pecchiamo, diciamo addio a Dio. Si allontana da noi. A quei tempi, all’epoca di Satana, pensavano solo alle cose materiali, come voi in Occidente, sebbene non le avessero". Mi lancia uno sguardo troppo mite per essere un rimprovero. Sopra il viso giovane mi stupisco di vere che i capelli biondi, tirati indietro da una fascia elastica, si vanno ingrigendo. Perciò Satana aveva capovolto il mondo, rovesciandone fuori l’umanità. Si era scaricata la colpa su uno spettro […]

"Questa chiesa è stata costruita un secolo fa da una coppia senza figli. Dicevano; chiunque preghi qui diventa nostro figlio. è protetta dalle ali degli angeli". I suoi occhi verdi si fidano di me. "Proteggerà anche lei, che ha pregato qui. Ora dive se ne va, tutto solo? […]

Mi fa un rapido segno della croce. "Dio la protegga!". Quindi attraversiamo il cortile illuminato dal sole alla volta del portone. Per un istante le sue mani indugiano delicatamente sul lucchetto, riluttante a lasciarmi andare. "Stia attento. Solo qui, in questa chiesa, c’è la lue. Non varco mai il portone senza pensare che sto entrando nelle tenebre".

Quanta saggezza di vita nelle parole di questo pope ortodosso. È la bellezza della liturgia a educare il cuore. La teologia ortodossa ha sviluppato tale concetto, che risale alla filosofia greca e a Platone, passando per la teologia bizantina, specialmente nel culto delle icone. L’icona è segno visibile della bellezza invisibile di Mara, dei Santi e del Signore Gesù Cristo: meditando su di essa, il credente si avvicina a Dio più di quanto potrebbe mai fare per la sola via razionale. E le chiese ortodosse, anche più delle cattoliche, celebrano la bellezza invisibile di Dio: probabilmente perché l’Italia e l’Europa occidentale hanno conosciuto il fenomeno dell’Umanesimo e del Rinascimento, e quella esperienza storica ha prodotto una serie di opere d’arte "sacra", che sacre non sono, bensì mondane; e troppe chiese cattoliche, a partire dal XV secolo, si sono arricchite di opere certo notevoli, ma ispirate da uno spirito pagano, non cristiano. Angeli e Santi son pretesto per rappresentare la bellezza del corpo umano, in senso puramente immanente. A un certo punto, il cattolicesimo ha cominciato a smarrire la via, si è mondanizzato; e lo stesso è accaduto alla liturgia. L’errore, perciò, risale addietro nel tempo, anche se esplode con il Concilio. Ma se non avvicina le anime a Dio, a che serve la liturgia? Questo aveva chiaro il cardinale Robert Sarah e perciò la neochiesa si è subito mossa per fermarlo…

Fonte dell'immagine in evidenza: Catalogo Generale dei Beni Culturali | Giovan Andrea Commodi - Sant'Ignazio celebra la messa (1622-1638)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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