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La neochiesa è falsa perché non crede alla Chiesa

Ha fatto bensì scalpore, ma non quanto avrebbe dovuto, e non abbastanza da indurre il papa a intervenire in modo chiaro e deciso, l’affermazione del generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa Abascal, nel febbraio scorso, parlando al giornalista Giuseppe Rusconi, del sito Rossoporpora, con tono di disinvoltura mondana e quasi di leggerezza salottiera: che noi non sappiamo cosa abbia detto realmente Gesù Cristo, nonostante i Vangeli, perché, a quei tempi, non c’erano dei registratori per fermare le sue parole. Precisamente, ha detto proprio così:

Intanto bisognerebbe incominciare una bella riflessone su che cosa ha detto veramente Gesù… A quel tempo nessuno aveva un i per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito…

Questi inverosimili concetti, espressione chiara ed esplicita di una fede storicista e non certo della fede cattolica, diventano ancora più gravi se si considera che padre Sosa li ha esposti nel contesto (visto che a lui piace tanto "contestualizzare") di una polemica indiretta, ma chiarissima, con quanto detto sulla indissolubilità del matrimonio dal cardinale Gerhard Ludwig Müller, allora prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede (poi silurato dal misericordioso papa Francesco). E padre Sosa, che in tutta l’intervista, e non certo solo in quella, si è costantemente proclamato seguace di papa Francesco — si badi bene: non di Gesù Cristo, ma di papa Francesco — intendeva mettere in dubbio che Gesù, come attestano i Vangeli, abbia affermato, nel modo più netto e reciso, l’indissolubilità del matrimonio. La malizia di Sosa nasce dunque dalla volontà di aprire spiragli alla solvibilità del matrimonio, e, pur di creare tali spiragli, non ha esitato a mettere in dubbio l’attendibilità complessiva di tutti e quattro i Vangeli, con la miserevole argomentazione che, a quei tempi, non esistevano i registratori. Padre Sosa ha agito come un ladro rozzo e inesperto, il quale, pur di rubare dei gioielli, ha scassinato un intero palazzo, e lordato e rovinato decine di altri oggetti, ancor più di preziosi di quelli che stavano a cuore a lui.

Comunque, padre Sosa a parte, la questione della certezza della divina Rivelazione è una questione importantissima, fondamentale; e proprio a questo serve la Chiesa, istituzione divina e non creazione umana, come il clero modernista e progressista sembra credere: a garantire l’assoluta fedeltà e verità di ciò che Dio ha voluto far conoscere agli uomini.

Scriveva Pier Carlo Landucci (1900-1986), l’insigne teologo del quale è in corso il processo di beatificazione, nel suo importante saggio Esiste Dio? (Assisi, Edizioni Pro Civitate Christiana, 1957, pp. 208-210):

Sembra cioè di essere giunti a un vicolo senza uscita, a un ASSURDO nell’opera di Dio. Egli ha detto divine cose. Ce le ha imposte per nostro bene: "credete, infallibilmente, fino all’ultima mia parola". Nessuna difficoltà a credergli, anzi è la cosa più ovvia e il nostro più grande onore e il nostro più grande bene, avendoci date le prove della sua divinità e quindi della sua infallibile verità: credendogli, noi ci appropriamo, in qualche modo, la stessa mente divina. Ma quella parola noi con i nostri orecchi non l’abbiamo sentita. Ha parlato a un ristretto numero di uomini, là nella Palestina. Ha parlato prima della morte e dopo la risurrezione, ma poi è salito al cielo e ha visibilmente lasciato la terra. È stato Dio visibile sulla terra, ma per quei pochi uomini là, non per noi. La documentazione delle sue biografie storiche è sufficiente a garantire il fatto massiccio della sua realtà divina, ma come può garantire la genuina trasmissione al nostro orecchio di TUTTO l’insegnamento che ha impartito venti secoli fa? Egli non ha lasciato scritta nemmeno una parola. Sono stato scritti bensì i Vangeli, ossia le quattro preziose narrazioni della sua vita e del suo insegnamento e altri libri e lettere, ma dai suoi seguaci, occasionalmente, alcuni anni dopo la morte e senza alcuna pretesa di dire tutto, tanto è vero che uno di tali scrittori sente il bisogno di affermare, sia pure con amplificazione retorica: "Ci sono poi molte altre cose fatte da Gesù le quali, se a una a una si volessero scrivere, neppure il mondo intero, credo, potrebbe contenere i libri che ne sarebbero scritti" (Gv 21, 25). Tali scritti sono, per così dire, episodici: hanno fissato all’inizio una parte, sia pure fondamentale, non tutta la TRAMISSIONE ORALE dei suoi insegnamento. E il resto? Mentre si sa come è facile, nel trasmettere le notizie di bocca in bocca, deformarle progressivamente. Che dire, poi, quando si tratta di insegnamento che investono gli interessi più intimi della vita e non possono non suscitare la reazione degli umani egoismi e delle umane passioni? E anche la parte scritta sarà stata trasmessa proprio tutta, obiettivamente? Quali libri avranno autorità, quali no? E si noti quale speciale autorità debbono essi presentare: tale da giustificare un’adesione di fede sicura come se fosse ascoltata la parola stessa del Divino Maestro.

Non deve trattarsi dunque di autorità puramente storica, umana — pur capace, come abbiamo visto, di documentare il FATTO della divinità di Gesù — ma di autorità di libri divinamente e quindi INFALLIBILMENTE ISPIRATI. Quali libri o quali loro parti hanno questo carattere? E come potrà il libro steso testimoniare di sé? Se poi anche in tali scritti fosse contenuta, con tale divina autorità, tutta la sua dottrina — il che è escluso dal loro carattere episodico — come evitare, sotto l’impulso delle interessate passioni e per l’intrinseca difficoltà di taluni passi, la diversità delle INTERPRETAZIONI? Prova ne sia la divisione determinatasi nel Cristianesimo, per la diversità di tali interpretazioni, in religione cattolica, religione ortodossa e religione o meglio innumerevoli religioni protestanti, con immensa diversità, sia nella dottrina, sia nella pratica, specialmente per ciò che riguarda la verità e l’uso dei sacramenti. Come si può dunque credere SICURAMENTE e INTEGRALMENTE a una divina parola, che non giunge SICURAMENTE e INTEGRALMENTE al nostro orecchio? Se un ELEMENTO NUOVO non interviene a modificare la situazione, siamo effettivamente avanti all’insipienza, all’assurdo d’un precetto imposto a noi da Dio, per bocca del suo divino Inviato, senza possibilità di adempierlo. Ma questo assurdo, in Dio sapientissimo e giustissimo, è impossibile. O egli non doveva parlare o, avendo parlato come ha parlato PER TUTTI GLI UOMINI, deve avere nella sua onnipotenza GARANTITO l’esatta trasmissione, per tutti i secoli, della sua parola: così da essere praticamente — con essa — a tutti PRESENTE. Questa GARANZIA è l’"elemento nuovo" che toglie l’assurdo, e altro non se ne può trovare. È tanto certo che esso debba esservi, quanto è impossibile tale insipienza e tale assurdo in Dio. Si tratta di vedere dove si trovi. Non dipende dunque da noi, se non possiamo senz’altro far punto alla nostra indagine. Siamo obbligati a fare un ultimo sforzo, un ultimo passo avanti nella ricerca, perché senza di esso crollerebbe PRATICAMENTE tutto il lavoro fatto: invano avremmo innalzato lo sguardo a Dio invisibile e alla sua visibile incarnazione. Egli resterebbe muto per noi. Poiché una parola INCERTA non è più divina, non è più sua. […]

La divina onnipotenza aveva tre possibilità evidentemente per garantire l’integra trasmissione della sua parola la perfetta conservazione del suo timbro divino: una, per dir così, a carattere soggettivo e due obiettive. Soggettivamente poteva DIRETTAMENTE illuminare e difendere dall’errore le singole menti degli uomini, in tutti i tempi, mettendosi in misterioso personale contatto con esse. Obiettivamente poteva conferire la missione di trasmettere il suo insegnamento e di illuminare gli uomini o ad alcuni PRIVATI, privilegiati, da lui infallibilmente assistiti o a un privilegiato organismo gerarchico PUBBLICO, appositamente costituito e infallibilmente assistito contro ogni errore circa tale insegnamento stesso.

Di queste tre possibilità, monsignor Landucci mostra come le prime due siamo da scartare. Una illuminazione interiore di tutti gli uomini avrebbe dovuto, necessariamente accompagnarsi a dei doni di discernimento intellettuale proporzionati ad essa, il che manifestamente vediamo non essere: tanti sono gli uomini, e tante le tendenze a interpretare la parola di Dio. Una rivelazione esclusiva a dei soggetti privati, del pari, risulta impraticabile: con quale criterio Dio avrebbe scelto quei soggetti, affinché, poi, fosse risultata universalmente credibile la loro testimonianza? L’unico mezzo sicuro per ottenere questo scopo sarebbe stato quello di attestare la loro autorevolezza mediante dei miracoli: ma il miracolo, osserva Landucci — che era teologo, sì, ma di formazione matematica, aveva insegnato per anni Filosofia delle Scienze presso la Pontificia Università Lateranense, e ragionava da scienziato, fin dove umanamente possibile — è un fatto straordinario e assai raro, il quale, a sua volta, abbisogna di indagini molto serie prima di essere inoppugnabilmente certificato come tale. Ora, l’esperienza ci mostra che non si riscontra questa frequenza dei miracoli laddove si tratta di constatare che dei soggetti privati sono effettivamente portatori di una divina rivelazione; il che dimostra che Dio non si è servito neanche di questa seconda strada. Resta, per esclusione, la terza: che è quella della Chiesa. E che altro è la Chiesa cattolica, se non quel soggetto pubblico cui Dio ha voluto affidare infallibilmente la sua parola, dotandola, nello stesso tempo, certissimamente e perennemente, degli strumenti straordinari di grazia affinché essa rimanga sempre nel solco della verità divina e non se ne discosti mai, neppure per un attimo? Questo è la Chiesa, e non altro. Non un organismo di origine umana; e la parola che essa trasnette, non è una parola umana, ma la Parola di Dio.

Questo, evidentemente, non ha capito Sosa Abascal, e non capiscono tutti i teologi, i cardinali, i vescovi e i sacerdoti i quali, oggi, infestano la Chiesa stessa, ebbri di orgoglio umano e di umana presunzione, e hanno costituito, al suo interno, una neochiesa, che poi è una falsa chiesa, una conventicola di modernisti i quali hanno perso la fede, perché hanno perso la fiducia nella grazia di Dio e nella sua divina assistenza, e spacciano le loro parole, parole totalmente e irrimediabilmente umane, per Parola di Dio. Ai tempi di Gesù non c’era un registratore per registrare esattamente le sue parole… Sono parole in cui sente il profumo del divino, queste? Sono parole di un uomo di Chiesa che crede nella Chiesa, crede nella missione universale e perenne della Chiesa, che è quella di trasmettere infallibilmente la verità divina? Come sacerdote, chi annuncia il Vangelo ha anche il dovere di credere che Dio, nella sua bontà infinita, una volta costituita la sua Chiesa — e lo ha fatto Gesù Cristo in persona, affidandola a san Pietro, il capo degli apostoli — non l’ha lasciata in balia di se stessa, registratori o non registratori; le ha assicurato il suo sostegno, la sua ispirazione, il suo incoraggiamento e la sua protezione, e questo per tutti i secoli dei secoli. Ed ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo, dice Gesù. Non Budda, che Sosa Abascal ama pregare, inginocchiato nella posizione del loto, in un tempio buddista, insieme agli altri buddisti. Non Mosè, non Maometto, non Confucio, non Lato Tzu; e nemmeno Lutero, Calvino o Zwingli, sebbene questi ultimi vadano assai di moda, ai nostri giorni. Crede a queste cose, il padre Sosa? Ci credono i Paglia, i Galantino, eccetera? Oppure credono solo alla teologia della liberazione, alla opzione preferenziale per i poveri, al diritto di cittadinanza per gli stranieri, che siano dei profughi veri oppure falsi? O, ancora, essi credono solo ai registratori, agli strumenti scientifici, alle macchine, per cui, se non ci sono i registratori, non si sa più cosa abbia detto realmente Gesù Cristo? Ma che razza di fede sarebbe mai questa? E, come se non bastasse, una domanda ancora più inquietante: perché, se i registratori sono indispensabili alla trasmissione autentica della Parola di Dio, in tal caso, che cosa ha insegnato la Chiesa cattolica per duemila anni? Ha forse spacciato delle congetture, delle ipotesi, dei dati incerti e approssimativi, ossia delle conoscenze e delle parole meramente umane, per Parola divina? La Chiesa è stata una falsaria bimillenaria, una distributrice fraudolenta di mezze verità, di semi-verità, di balbettamenti travestiti da fede certa e sicura? Ecco, da questo si capisce che il clero della neochiesa è profondamente, intimamente, irrimediabilmente eretico: perché non crede nella validità infallibile del Magistero; e ciò per la buona ragione che non crede alla perenne, amorevole, infallibile assistenza dello Spirito Santo alla Chiesa che Gesù in persona ha costituito su questa terra. La differenza fra monsignor Landucci e padre Sosa è tutta qui. Il primo è umile davanti alla Rivelazione, l’accoglie con fede e la trasmette con coerenza e con amore: non per niente è stato proclamato Servo di Dio e presto sarà Beato. Il secondo è orgoglioso, si fida solo della ragione: se Landucci ha una mentalità scientifica, lui ha una mentalità scientista; e lo scientismo è nemico della fede, perché esclude una verità diversa da quella scientificamente dimostrabile. Se, poi, padre Sosa dia testimonianza di santità, e sappia rafforzare la fede dei cattolici, lasciamo che parlino i fatti…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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